CAPITOLO 7 - PORTA DI CORNO, PORTA D'AVORIO

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"Buon compleanno, Publio" mi stiracchiai, un po' assonnato. Il Sole e i miei compagni di stanza stavano ancora dormendo, ma io non potevo più restare nel letto. Appoggiai i piedi a terra e, adagio, raggiunsi la cassetta in cui tenevo gli effetti personali. Accanto ai migliori esercizi svolti durante l'anno, c'erano due amuleti d'auguri che mi erano stati donati il giorno precedente. Sfiorai il primo e le mie labbra si tesero in un sorriso.

Ogni tanto, devo pur dimostrare che sono soddisfatto del tuo lavoro, aveva brontolato Palaimon mentre mi passava il suo regalo. Forse quell'uomo non era un celebre oratore, ma il tempo trascorso nella bottega mi aveva insegnato moltissimo e lui, nonostante i modi rudi, diventava sempre più una figura di riferimento.

"E cosa dovrei pensare di te?" osservai il secondo gioiello con gli occhi bagnati dalla commozione "Per quale motivo sei così... gentile, Ottavio?". Conoscevo il nipote di Giulio Cesare da alcuni mesi e non riuscivo a comprendere la sua ammirazione nei miei confronti. Alle volte, mi sembrava di rivedere Flacco in quel ragazzino dai tratti sottili e la salute cagionevole. "Ha chiesto a Palaimon il giorno del mio compleanno, si è ricordato di comprarmi un dono e ha scritto una dedica in cui sembro un eroe: non merito tanto affetto".

Iniziai a frugare nella cassetta in cerca di una collana. "Quella dei crepundia andrà bene" sfilai a uno a uno i ciondoli, avvolgendoli con cura in un panno di lino, inserii i nuovi amuleti nella fettuccia e annodai il gioiello al collo. Poi richiusi la scatola, presi la tavoletta che mi sarebbe servita per l'ultima lezione e la levigai finché non fu il momento di andare in classe.

Mancavano sia Sesto che Quinto Cicerone e l'aula era molto più vuota del solito, magari perché quel giorno si celebrava il sacrificio dell'October Equus.

«Persino Marco ha preferito andare alla corsa delle bighe» Sabino sorrise «Siediti pure qui»

Io esitai. Marco Catone non mi aveva perdonato l'incidente della necropoli e, al di là di qualche frase di circostanza, si era mantenuto distante. Chissà se avrebbe approvato che gli occupassi il posto.

«Avanti» mi esortò lui «Epidio arriverà a breve: non vorrai farti trovare in piedi!»

Annuii, malgrado stargli vicino avrebbe reso difficile ascoltare. Il tempo non aveva acquietato il mio cuore e, più conoscevo Sabino, più sentivo di appartenergli. All'emozione provata fin dal principio, adesso si aggiungevano le lezioni frequentate insieme e i pomeriggi a discutere le leggende del Nord, infiniti sguardi rubati e decine di notti in cui avevo scorto la sua immagine in sogno.

«L'hai già letto?» la voce di Sabino mi riportò al presente.

«C... cosa?»

«L'encomio di Elena» estrasse una pergamena e me la passò, assicurandosi che le nostre mani si toccassero «È un testo interessante.»

Finsi di abbassare lo sguardo sullo scritto, ma studiai le sue dita, ancora a contatto con le mie. 

Per fortuna, Epidio entrò in aula poco dopo e cominciò subito a spiegare. Il suo fare era più spiccio del solito, probabilmente perché anche lui sperava di ritagliarsi un po' di tempo per partecipare alla festa. Io, invece, avrei raggiunto il nonno nel pomeriggio e sarei tornato ad Andes per l'inverno.

«Non tutti i sogni si possono esplorare» esordì il rhetor, leggendo dal diciannovesimo libro dell'Odissea «Parlano con lingua oscura e ambigua.»

"Oscura e ambigua" la mia mente volò alla visione. Per cinque volte mi aveva fatto visita e per altrettante volte ero stato incapace di comprendere. Era come se, di tanto in tanto, entrassi nella vita del fanciullo – una vita orribile, colma di soprusi, brutture e arti proibite – senza, tuttavia, coglierne il senso.

Acheronta MoveboWhere stories live. Discover now