CAPITOLO 13 - NIENTE PIU' FAVOLE

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Mi sdraiai sul letto a pancia in su e rimasi a fissare il soffitto, perdendo la cognizione del tempo e di me stesso. Probabilmente ricominciai a piangere; magari, a un certo punto, caddi in un sogno fatto di nulla. Per un istante, ebbi persino il dubbio di essermi tramutato in uno spettro e di non appartenere più alla Terra. Poi Flacco mi saltò addosso, ricordandomi che ero tutt'altro che un'entità incorporea.

«Sei qui!» gridò entusiasta «Volevi farmi una sorpresa? Per questo non hai detto niente e ti sei nascosto sul mio letto?»

«C...cosa?» mi tirai a sedere di scatto, con Flacco sempre avvinghiato al petto.

«Ho detto che sei sul mio letto» ripeté lui.

"Ero davvero così sconvolto da sbagliare l..." guardai meglio la stanza. Era diversa dall'ultima volta in cui ci ero stato: nuovi mobili, abiti da neonato, giocattoli e amuleti differenti.

«Sì» mi anticipò Flacco «Condivido la camera con Cerbero... Ehm... Silone.»

«E io?» la domanda mi sfuggì dalle labbra senza il mio permesso. Ero il fratello maggiore, ero quello con le risposte, che non si lamentava e non metteva in discussione le scelte dei nostri genitori. Eppure, in quell'istante e solo per un momento, i ruoli s'invertirono.

«Tu andrai a Roma» dichiarò Flacco con naturalezza «Papà voleva tenere tre letti in questa camera, però stavamo stretti e mamma continuava a ripetere che ti sarebbe servita una stanza da adulto, in cui poter tornare anche con la donna che sposerai.»

Serrai le labbra, sforzandomi di non far trapelare le mie emozioni. Le ricacciai a una a una nello stomaco e m'imposi d'ignorare le fitte che mi provocarono.

La stanza in cui sei cresciuto non esiste più, sentivo sibilarmi nelle orecchie, Nulla della tua infanzia esiste più. Arrenditi!

«Fratellone?» di nuovo, Flacco mi riportò bruscamente al presente «Non dici niente?»

Scossi il capo. «Ti lascio il letto: è tardi e tu devi dormire.»

«E i nonni non verranno a prenderti nella notte?»

«No» inspirai a fondo, allontanai mio fratello e mi alzai con la lentezza di un vecchio «Non andrò da nessuna parte fino al giorno della partenza per Roma.»

«Giura!»

«Giuro» "ma devo scrivere al nonno una lettera di scuse" cominciavo a rendermi conto di ciò che avevo fatto: scappare di casa, rubare il cavallo più bello, mettere in discussione il Futuro che stavano costruendo per me... Come avevo potuto essere tanto ingrato ed egoista? Assecondare la mia fantasia era stato un errore.

"Il mondo non ha bisogno di un altro ragazzino sognatore" sentenziai tra me, ignorando le parole con cui Flacco m'invitava a dormire insieme a lui. «Vado a salutare i nostri genitori» sospirai già sulla soglia «Buonanotte.»

«Ma Publio...»

«Buonanotte» non gli avrei raccontato la solita favola per addormentarsi e lui, presto o tardi, ne avrebbe capito il motivo.

Avanzai lungo il corridoio, cercando le parole giuste con cui spiegare a mamma e papà quanto era accaduto a Cremona, e mi fermai non appena li scorsi seduti sul portico. Restavano spesso a guardare le stelle mentre il resto della casa dormiva, ma quella notte notai qualche filo argentato tra i loro capelli, le prime rughe sulla pelle e una postura più stanca e composta.

"Stanno invecchiando" conclusi, scosso da un tremito. Era una consapevolezza nuova: finora li avevo sempre visti due punti fermi intorno a cui ruotavano troppe memorie, immortali e immutabili proprio come gli Dei. Erano i miei genitori e basta. Quella sera, invece, divennero umani tutto d'un tratto.

Acheronta MoveboWhere stories live. Discover now