CAPITOLO 10 - IL MAESTRO SENZ'ANIMA

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Appena entrammo nella popina, rividi il lupanare in cui il nonno mi aveva portato tanti anni prima: stessa aria imperlata di umori e profumi intensi, stesso vociare sguaiato, stessi gemiti provenienti dal piano superiore.

«Sei certo che siano qui?» mormorai, aggrappandomi al braccio di Sabino.

Lui fece per rispondere, ma la sua voce fu coperta da un ululato.

«Cosa succede?!»

«È stata la donna laggiù» sbuffò, aumentando il passo «Suvvia, Virgilio, smetti di fissarla! È una lupa e svolge il suo lavoro». Non attese una risposta e mi condusse in una stanza immersa nel fumo delle torce, dove i nostri compagni erano intenti a gozzovigliare.

«Sabino! Non credevo ci avresti raggiunti» Marco Catone gli fece spazio senza, tuttavia, lasciarne un po' per me, e io rimasi in mezzo alla sala con le braccia conserte. Non sapevo né dove spostarmi né che posizione assumere e, più passava il tempo, più speravo di diventare invisibile. Ridicolo al promontorio e fuori luogo qui, soffiava una voce nella mia testa, devi...

«...Sederti?» era stato Sesto a parlare «Ti cedo volentieri il mio posto: in questa popina non hanno messo nemmeno un cuscino e stare in piedi è un sollievo». Era una scusa: Sesto, da ragazzo attento qual era, aveva notato il mio disagio.

"Ripagherò tutti i favori che ti devo" promisi, mentre prendevo posto accanto a Vario e mi soffermavo a studiare Sabino. Lui evitava di guardarmi, quasi si sentisse in colpa per quanto accaduto sul promontorio. O, forse, agisce così perché adesso c'è Marco. Non vedi come gli parla? Un amico non accarezza in quel modo, non si preoccupa di sistemargli la veste, non beve dallo stesso calice, non.... «Basta.»

«Ti do fastidio?» Vario mi fissò mortificato.

«No... io... scusami» farfugliai, allungando la mano verso il vino. Stranamente, bere mi sembrava l'unica soluzione per sopportare la serata.

«È un Falernum del Petrino alquanto scadente» Sesto indicò il suo calice «L'ho assaggiato con grandi aspettative, e invece...»

«E invece è squallido, come l'intero locale» Quinto Cicerone apparve sulla soglia insieme a una giovane discinta.

«Hai fatto in fretta al piano di sopra» lo punzecchiò uno dei nostri compagni «Più svelto di Filippide!»

Seguì una sonora risata a cui mi sforzai di partecipare.

«Perdonaci, puella» esclamò Marco Catone, ritornando composto «Immagino che sarai stanca. Perché non ti fermi un istante? Desideri dell'uva?»

«Non perdere tempo a sedurla» Quinto si riempì il calice fino all'orlo e lo mostrò ai presenti «Costa tre assi: poco più di questo bicchiere.»

Catone alzò gli occhi al cielo ma, prima che la discussione ricominciasse, portarono in tavola un canestro colmo di pesciolini e le attenzioni dei miei compagni si riversarono sulla nuova pietanza.

Sesto ne afferrò uno con due dita. «Ha un odore terribile.»

«E tu dovrai mangiargli la testa!» ridacchiò Quinto «O non intendi onorare la promessa?»

«Se mio padre sapesse...»

«Tuo padre, tuo padre, sempre tuo padre! Se continui così, Pompeo tormenterà persino le visioni che avrai a breve.»

Rivolsi a Vario uno sguardo interrogativo. «Visioni?»

«Il pesce dei sogni» spiegò lui «Chi ne mangia la testa sentirà voci che non esistono e avrà gli occhi colmi d'immagini inspiegabili. Qualcuno ha vagato per ore credendosi un felino, qualcun altro è stato colto dall'irrefrenabile desiderio di spogliarsi, e chiunque perde il controllo. Si smette addirittura di percepire il dolore!»

Acheronta MoveboWhere stories live. Discover now