CAPITOLO 1 - VITA NUOVA

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Marzo, 697 AVC

Mi guardavo riflesso nella fontana come se, da un momento all'altro, potessi scorgere una persona diversa. Speravo che l'acqua cristallina mi regalasse sembianze nuove. Chiedevo solo lineamenti più duri, qualche ruga e un accenno di barba. Volevo apparire un uomo. O, quantomeno, uno studente abbastanza maturo da cominciare la scuola di grammatica in una città grande come Cremona.

"Niente da fare" scossi la testa, sfilando i sandali e immergendo le punte dei piedi nell'acqua "I nonni saranno molto delusi".

I nonni... Da quanto non li vedevo? Un anno? Forse di più: non ci avevano raggiunti ad Andes nemmeno per i Saturnalia e mio fratello ricordava a stento i loro volti. Per lui erano dei non meglio definiti parenti di fronte a cui mostrarsi impeccabili. Ora, però, stavano per farsi carico della mia istruzione, convinti che nostro padre non fosse all'altezza.

"Certo che è all'altezza" avrei voluto urlare. Invece ero rimasto in silenzio e avrei continuato a tacere. Tacere e ubbidire.

Lanciai un'occhiata a mia madre, seduta accanto a me e assorta in pensieri lontanissimi. "Chissà se è contenta" mi chiesi "Chissà perché resta zitta. Non mi guarda neanche. Eppure la rivedrò tra otto mesi... non ha proprio niente da dirmi?". Non sembrava felice, ma gli animi dei genitori, a quel tempo, erano casseforti di cui non possedevo la chiave e le ragioni che tormentavano il cuore di mia madre rimasero impenetrabili.

«Mamma?» riuscii a mormorare dopo un silenzio infinito.

Lei si voltò piano verso di me. I suoi occhi smeraldo erano ancora assorti, tuttavia si sforzò di abbozzare un sorriso.

«Davvero qui mi chiameranno Virgilio?»

«Sì.»

«Persino i nonni?»

«Sì.»

Feci per ribattere e lei mi fermò con un gesto della mano. «Quando andrai a Roma» dichiarò solenne «Tu rappresenterai la tua stirpe, la gens Virgilia, e chiunque, sia esso un maestro, un politico, un amico o un servo, ti conoscerà come Virgilio. Per questo occorre che io parta oggi stesso e ti affidi a chi, meglio di noi, potrà guidarti. È necessario che tu ti abitui al più presto.»

«Ma non è il mio nome» protestai «I nonni mi hanno sempre chiamato Publio!»

«Lo so.»

«Allora, perché deve cambiare?»

«Perché stai diventando grande» sentenziò perentoria.

Serrai le labbra e chinai il capo. Iniziare a usare il nome della mia gens invece che il praenomen era un dettaglio insignificante, eppure mi toglieva quel poco di certezze che ancora avevo. Una nuova casa, una nuova città, nuovi precettori e nuovi compagni di classe... rinunciando al mio nome, avevo la netta sensazione di dovermi abituare anche a un nuovo me.

"Il me che, un giorno, sarà un grande avvocato" era la mia strada, il mio Fato, e io l'avrei perseguito con onore. "È ciò che desidero" pensai, osservando il paesaggio specchiato nello stagno "è ciò che è giusto" mi corressi subito dopo.

Poi, sentii un tocco leggero sulla spalla. «Rimetti i sandali» mia madre indicò una sagoma sul lato opposto del giardino «Tuo nonno è tornato a casa.»

Annuii, mentre il cuore mi batteva forte nel petto. Significava che mia madre stava per partire. Significava che stavo per immergermi in quella nuova vita che desideravo desiderare, ma continuavo a temere.

Riuscii a malapena ad allacciare i sandali, che mio nonno ci venne incontro con la sua andatura sicura e la schiena dritta. Non assomigliava per niente alla mamma e, checché ne dicessero in famiglia, nemmeno a me. Avevo i suoi stessi colori - una carnagione abbronzata per natura, folti capelli scuri e occhi verdi - ma le nostre anime non potevano essere più distanti e questo, a mio giudizio, si rifletteva chiaramente nell'aspetto fisico.

«Maia» esordì lui, accarezzando la guancia di mia madre «Il ragazzo è pronto?»

«Certo. È brillante e disposto a dimostrare il suo valore» replicò, con un bagliore nello sguardo che mi fece sentire speciale «Te ne accorgerai, padre. Pub... ehm... mio figlio è destinato a grandi cose.»

Lui sollevò un sopracciglio. «Staremo a vedere» sospirò «Da ciò che ricordo, il ragazzo ha la stessa indole remissiva di Stimicone» mia madre provò a intervenire, ma il nonno le voltò le spalle e allungò una mano verso di me, sfiorandomi i capelli. Mi studiava con aria perplessa. Forse, non ero l'unico a pensare che non gli assomigliassi per niente. «Gli hai rammentato la Lex Cornelia Sullae de sicariis et veneficiis?»

«Sì» ora mia madre aveva gli occhi spenti. Stava mentendo, lo sapevamo entrambi, e se ne accorse anche il nonno.

«Maia!» esclamò in tono di rimprovero «Perché ti ostini a crescerlo come se non fosse un degno discendente di Romolo? Ormai ha dodici anni!»

«Padre io...»

«Ragazzo» proseguì mio nonno, prendendomi per le spalle «Dimmi, cosa succede a chi pratica le arti magiche?»

«Ehm... lui...»

«Avanti, conosci la Legge.»

«È da considerarsi alla pari di un assassino» risposi d'un fiato, tenendo lo sguardo fisso a terra.

«Bene.»

«Padre, nessuno insegna le arti magiche in casa nostra, né lui le pratica» s'intromise mia madre «È nato con un dono: vede cose che al resto del mondo sfuggono. Talvolta, le vede prima che si realizzino, quando sono semplici idee, suggestioni o proget...»

Mio nonno incrociò le braccia. «Non è un dono.»

«Sì, invece» ribatté secca mia madre «Ma su una cosa hai ragione: deve imparare a nasconderlo, o la sua vita sarà in pericolo.»

Dopo mi osservarono entrambi e tra noi calò un silenzio carico di angosce: cosa avrei fatto quando, l'indomani, sarei entrato nella mia nuova scuola?


NdA:

Ehilà! Innanzitutto, vi ringrazio per aver letto. Grazie, grazie, grazie! Spero continuerete a seguire le disavventure di Virgy e, nel frattempo, faccio un paio di precisazioni:

1) AVC = ab urbe condita; lo so, adesso si usa a.C. e d.C., ma all'epoca non era ancora nato Mr. C., e il povero Virgy non era sufficientemente veggente da prevedere il sistema di datazione del futuro. 697 AVC corrisponde al 57 a.C.;

2) La scuola iniziava a fine marzo e a 12 anni si passava dai Ludi Magister alla scuola di grammatica (le nostre superiori? Bah, diciamo così...);

3) Andes è nel mantovano e Virgy è da considerarsi come originario di Mantova.

4) I romani si complicavano la vita in fatto di nomi: c'erano il praenomen, ossia il nome proprio, usato in famiglia; il nome della gens o nomen gentilius, abbastanza simile al nostro cognome; il cognomen, alias una sorta di soprannome (il fatto che si chiami "cognomen" rende la questione ancora più confusa) che, tuttavia, durante la Repubblica e l'Impero, si trasmetteva di padre in figlio, un po' come un secondo cognome.

Acheronta MoveboDonde viven las historias. Descúbrelo ahora