36. "May the queen have a long life!"

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«Iria, non lo capisci? Il trono non può rimanere vagante. Tu hai perso una migliore amica, io ho perso una sorella, ma lei non avrebbe voluto questo. Vai nella tua stanza, piangi e grida quanto vuoi. Sfogati, se necessario, ma domani si svolgerà il funerale e subito dopo avverrà la tua incoronazione. Se rifiuterai il ruolo assegnatoti da Edith, decreterai la fine di questo regno. A te la scelta» affermai con la massima serietà.

Non volevo passare per una persona senza cuore, ma dovevo pensare razionalmente. Edith avrebbe voluto quello, perché amava il regno più di sé stessa.

«Se lei ha scelto te, un motivo ci sarà» dedussi.

«E quale sarebbe il motivo? Non so come si possa governare un regno! Non conosco l'etichetta e non me ne intendo di politica!»

«Ma puoi sempre imparare. Edith non ti ha scelto per le tue competenze, lei ti ha scelto per il tuo cuore. Ha visto la bontà e la purezza, ovvero quello che serve a un buon regnante.»

«Mi dispiace così tanto...» si mortificò, abbassando lo sguardo, gli occhi colmi di lacrime.

«Anche a me» risposi con le sclere umide.

All'improvviso sentii delle esili braccia cingermi la schiena, e un tenue profumo di rose mi invase le narici. Ricambiai l'abbraccio di Iria stringendola a me, per poi sentire la sua guancia posarsi sul mio petto a causa della differenza d'altezza. Eravamo entrambi in lutto. Tutti e due avevamo perso la nostra amata amica e regina.

«Lo farò, per lei, per te e per il popolo del Regno del Nord. Sarai al mio fianco?» domandò senza spostarsi.

«Sei la mia regina, ti servirò e ti proteggerò come ho fatto con Edith» risposi a bassa con un dolce sorriso, una volta staccatasi dall'abbraccio.

Chris si avvicinò a noi e afferrò la mano della giovane, quindi si diresse nella sua stanza per farla riposare.

Rimasi da solo. Alzai lo sguardo e guardai quel castello, così tanto freddo e monotono senza di lei.

«Nathan?» sentii una voce femminile dietro di me e, appena mi voltai, vidi la figura di mia madre.

«Oh, grazie al cielo sei vivo!» esclamò avvicinandosi in fretta. Mi abbracciò con slancio.

«Mamma...» sussurrai, per poi stringerla a me più forte che potevo.

«Nathan, cosa succede? Dov'è Edith?» domandò, lasciandomi delle leggere carezze sulla schiena.

«È morta, mamma. Lei non c'è più...» confessai, e le lacrime ripresero a scorrere senza freni.

«Cosa...?» domandò esterrefatta.

«Non l'ho protetta, mamma. È stata uccisa sul campo di battaglia» spiegai, chiudendo gli occhi e rifugiandomi nell'abbraccio di mia madre come facevo da piccolo.

«Sono sicura che hai fatto del tuo meglio, figliolo. La sua morte era già stata decisa nel momento in cui fu concepita. Nel libro del suo destino era già stato segnato con accuratezza tutto quanto. Non avresti potuto fare niente, pur volendolo...» tentò di consolarmi con delle carezze delicate sul capo. «Ricordati, tesoro mio: la vita va avanti.»

***

Azrael

Mi teletrasportai via dopo aver adagiato il corpo di Edith nella sua stanza. Più tempo avrei trascorso in quel castello, più dolore si sarebbe fatto largo in me.

Appena raggiunto il mio studio, una carica di rabbia mi invase. Lanciai il bicchiere di vetro e la bottiglia di whiskey contro la parete.

Ero stanco, dannatamente stanco. Ogni volta, ogni singola volta lei doveva morire. Ogni volta che mi innamoravo di lei dovevo soffrire in agonia. Ero sfinito.

Mi ero ripromesso di non innamorarmi più, ma cedetti appena la vidi in quel vestito nero dai ricami rossi. Appena i miei occhi del colore della notte incontrarono i suoi luminosi come le stelle, mi arresi. Appena le nostre dita si sfiorarono, appena sorrise.

Era morta.

Se solo avessi letto quel dannato biglietto un po' prima, l'avrei salvata a costo di finire in esilio. L'avrei salvata.

«Fratello...»

Alzai lo sguardo e incontrai gli occhi chiari di mia sorella.

«Hayat...» bisbigliai.

Lei si diresse verso di me e posò la sua piccola mano sul mio viso.

«Mi dispiace così tanto...» mi attirò in un abbraccio.

«Rimettiti in sesto, fratello, hai un compito da portare a termine» mi ricordò prima di teletrasportarci nel dipartimento delle anime, luogo in cui risiedevano i cupi mietitori.

«Perché mi hai portato qui?» domandai mentre percorrevamo i corridoi in cui vi erano le stanze dei mietitori.

«Sei l'Angelo della Morte, fratello, il tuo compito è quello di accogliere le anime dei nuovi cupi mietitori» disse, e si fermò davanti a una porta invitandomi a entrare.

Abbassai la maniglia ed entrai nella stanza indicata. Mi voltai in direzione del letto e, appena la vidi, spalancai gli occhi in preda allo sconcerto.

Tornai a guardare mia sorella, che mi sorrise e mi fece cenno di porre la fatidica domanda che solevo fare a ogni cupo mietitore per verificare se avessero ancora i loro ricordi.

«Come ti chiami?» chiesi, perso in quegli occhi particolari e splendenti.

«Edith» rispose con l'accenno di un sorriso.

Sgranai ancor di più gli occhi e mi voltai verso Hayat in cerca di spiegazioni.

«Edith è giunta qui perché è stato deciso dall'alto che sarebbe stato meglio per tutti che diventasse un cupo mietitore. E sempre dall'alto è stato ordinato di non cancellarle i ricordi» rispose sorridendomi. Dopodiché, salutò la donna davanti a me con un cenno e si dileguò.

Mi voltai verso Edith e continuai a non credere che si trattasse davvero di lei. I capelli corvini le accarezzavano la schiena, gli occhi eterocromi mi fissavano e le labbra rosee erano distese in un sorriso. Niente corona, vestiti appariscenti o tacchi. Indossava una camicia bianca di seta, che teneva dentro la lunga gonna nera.

Mi avvicinai a lei fin quando a dividerci non restò solo un millimetro.

«Mia regina, sei davvero tu?» domandai, carezzandole la guancia pallida per accertarmi che fosse reale.

«Sono davvero io» rispose.

A quelle parole la strinsi forte a me, quasi avessi paura che potesse nuovamente scivolarmi via.

«È tutto finito?» domandai ancora incredulo.

«È tutto finito» confermò lei, ricambiando l'abbraccio.

Non avrei più sofferto. Lei era lì con me e non le avrei permesso di abbandonarmi, non di nuovo. Finalmente avremmo potuto vivere una vita serena insieme.

«Hai le stelle negli occhi, mia regina» dissi, alzandole delicatamente il capo affinché potesse concatenare le sue magnetiche iridi nelle mie.

«Non dovrai dire niente agli altri. Voglio che vivano le loro vite serenamente. Se qualcuno dovesse vedermi, manderebbero Iria al patibolo e non posso permetterlo.»

«Sei sicura?» domandai incerto.

«Sono sicura.»

Anche dopo la morte non pensava a sé stessa, ma alle persone che amava.

«Ti amo, mia regina.»

«Ti amo anch'io, Azrael.»

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