Raramente aveva del tempo per sé e, quando capitava, le era vietato uscire dal palazzo. Così si limitava a suonare il suo amato violino e io ad ascoltarla di nascosto.

Mi ricordavo quando, da bambina, veniva da me con i grandi occhioni azzurri e grigi colmi di lacrime. Piangeva dicendo che era triste perché il violino la odiava. Ammetteva che non era brava e che dallo sfregare dell'archetto sulle corde proveniva solo uno stridio. Cercavo di consolarla e di tirarla su di morale: quando si rifugiava nella sua stanza, andavo a cercare l'alstroemeria, un fiore che lei adorava e che simboleggiava l'amicizia, e glielo posavo davanti alla porta.

Le volevo bene. Era come la mia sorellina, anche se avevamo la stessa età. Mi mancava la mia amica e il periodo spensierato che avevamo trascorso insieme.

Io, invece, avevo impiegato quel tempo ad allenarmi. Mio padre era un maestro severo ma bravo, considerato il migliore soldato del re Antoine De Maris. Dopo tanto tempo e molto duro lavoro, finalmente era arrivato anche per me il momento di divenire un soldato a tutti gli effetti.

Durante il corso degli anni avevo combattuto molte battaglie e avevo sempre vinto. Il mio petto veniva adornato da medaglie luccicanti e il mio cuore si riempiva di orgoglio.

Mio padre era fiero di me. Mia madre era fiera di me. Io ero fiero di me.

Volevo che anche Edith, la dolce bambina che era ormai diventata grande e che io non avevo più visto dalla morte della madre avvenuta tanti anni prima, fosse fiera di me. E quel momento, che io stavo aspettando ormai da tanto, era arrivato. Edith aveva raggiunto la maggiore età e quello sarebbe stato il giorno della sua incoronazione.

Indossai la mia divisa, sistemai le medaglie al valore, lucidai la spada e ordinai i miei capelli biondi. Mi guardai allo specchio e vidi ciò che avevo sempre voluto diventare: un soldato. Ci ero davvero riuscito. Avevo realizzato quel sogno, però avrei dovuto dimostrare che me lo meritavo.

Mi teletrasportai a palazzo e, una volta entrato nella sala del trono, mi sedetti in prima fila vicino a mio padre. Edith stessa ci aveva assegnato quei posti, come comunicato dall'uomo che sedeva accanto a me.

La sala del trono era ornata magnificamente. Gli invitati sfoggiavano i loro abiti eleganti e i loro occhi saettavano in ogni direzione, per poter scovare qualche particolare fuori posto. Una volta suonate le trombe, il re fece la sua entrata e tutti noi ci alzammo in piedi, abbassando il capo al suo passaggio.

«Vostra Maestà, il re Antoine De Maris!»

Il re era un brav'uomo e un eccellente regnante. Una volta preso posto davanti al suo trono, le trombe suonarono di nuovo.

«Sua Altezza Reale, la principessa ereditaria Edith De Maris!»

Ci alzammo di nuovo in piedi e voltammo il capo verso l'entrata. Edith era semplicemente splendida: i capelli corvini le ricadevano sulle spalle e il vestito rosso che indossava le calzava a pennello. La pelle candida sembrava quasi brillare sotto la luce dei raggi solari che filtravano dalle grandi vetrate. I suoi occhi, grandi e luminosi come me li ricordavo, erano concentrati davanti a sé ed erano messi in risalto dalla collana di diamanti preziosi che portava al collo. Quando il suo sguardo incrociò il mio, un sorriso affettuoso si formò sul suo volto.

Iniziò a camminare lungo la navata centrale fin quando non arrivò ai piedi della piccola scalinata che portava al trono. Appoggiò il ginocchio sinistro a terra, il gomito sul ginocchio destro e abbassò il capo.

«Siamo qui oggi per celebrare l'incoronazione della mia prima e unica figlia, la legittima erede al trono: Edith De Maris!» dichiarò a gran voce il re, per poi posare il mantello d'oro sulle spalle della ragazza.

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