Dominare il gioco

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Recuperare la mia auto e arrivare a casa mia aveva richiesto più tempo del previsto.
Per questo, io e Dylan ci eravamo praticamente saltati addosso una volta superata la porta d’ingresso, lasciando una scia di vestiti lungo il tragitto verso la mia camera.
La parte più ribelle di me avrebbe voluto fermarsi in un vicolo buio e lasciare a Dylan la libertà di fare di me ciò che più desiderava proprio sulla sua moto, la parte razionale, invece, aveva optato per condurlo nel mio letto.
Avevo scoperto però, durante tutta quell’attesa nel tragitto verso casa, che più lo aspettavo più lo desideravo, e a quanto pare valeva anche per lui.
È per via di tutto quel desiderio cresciuto con l’attesa che mi ritrovai completamente privata della ragione, distesa sul mio letto con la testa di Dylan fra le mie gambe a banchettare come se stesse morendo di fame ed io fossi il suo piatto preferito.
Per lo stesso motivo, mi ritrovai ad urlare il suo nome quando finalmente entrò dentro di me, portandomi al culmine del piacere per la seconda volta.
Si muoveva veloce, rude, senza il minimo accenno alla dolcezza, ed io scoprii con piacere che era esattamente ciò che volevo.
Chiudeva la bocca sui miei seni, alternando denti e lingua in un gioco che mi portò sul punto di impazzire.
<Dio...>
Sussurrò vicino al mio orecchio, passando la lingua sul lobo.
<Non hai idea dell’effetto che mi fai.>
Inarcai i fianchi in risposta al suo sussurro, muovendomi al suo ritmo, guardandolo mentre spostava i suoi occhi su di me, il mio nome un bisbiglio fra le sue labbra.
I nostri gemiti si fusero, diventando uno solo, strappando al silenzio il suo posto in casa mia.
I nostri fianchi si muovevano all’unisono, quasi fosse una danza, le sue mani erano dappertutto su di me e la sua bocca assaggiava ogni centimetro della mia pelle.
Mi lasciai invadere da tutto, presi ogni pezzo, ogni parte, perfino il suo respiro irregolare diventò parte di me, trasformandosi nella mia canzone preferita.
E quando si svuotò dentro di me, con gli occhi incastrati ai miei, mi lasciai andare anch’io, sprofondando per la terza volta in quel mare di piacere e lussuria.
I nostri sguardi non si persero mentre i nostri respiri piano si calmavano ed il cuore ritrovava la giusta frequenza, la sua bocca si incurvò in un sorriso ed io mi sentii più persa di quanto non lo fossi già.
<Che c’è?>
Alzò una mano e la passò dolcemente fra i miei capelli.
<È solo che sei così bella.>
Posai la mia mano sulla sua guancia ed iniziai a disegnare piccoli cerchi con il pollice.
<Anche tu.>
Si spostò da sopra di me ed io lo guardai incantata mentre si alzava in piedi e si dirigeva in bagno, lasciò la porta aperta permettendomi di osservarlo ancora mentre si sfilava via il preservativo e lo gettava nel piccolo cestino accanto al bidet.
Tornò a letto consapevole di avere il mio sguardo addosso, si sistemò al mio fianco ed io appoggiai la testa sul suo petto mentre lui mi faceva scivolare una mano dietro la schiena e l’altra fra i capelli.
Iniziai ad accarezzare il suo petto con un’andatura lenta e stanca, sfinita da tutto quel piacere.
Nessuno parlò per un po', ed io mi lasciai cullare dal battito del suo cuore mentre il mio corpo piano si rilassava.
Avrei voluto prendere una macchina fotografica e immortalare quel momento, renderlo un quadro o scolpirlo.
Per me, quello, era il ritratto dell’amore.
Due corpi nudi e avvinghiati mentre si accarezzano stanchi dopo aver fatto l’amore.
Se avessi potuto anche scegliere un titolo, l’avrei chiamato “Puro”.
Perché così era quel momento, puro.
Proprio come quello precedente, mentre ci perdevamo l’uno nell’altra.
<Vuoi ancora smettere di pensare a me?>
Domandai ironica, per zittire quel silenzio.
<Aly...>
Il suo tono mi colpì come una pioggia d’acqua gelida. Non mi aspettavo quella risposta, né tanto meno quel tono, dopo quello che avevamo condiviso un attimo prima.
La mia era solo una battuta per smorzare quel momento di silenzio quasi imbarazzante, credevo che fosse tutto risolto, credevo che quel momento fosse bastato per rimettere le cose a posto, per cambiare la direzione dei suoi pensieri.
<È così?>
Temevo la risposta, ma non domandarlo e illudersi che andasse tutto bene non avrebbe portato a nulla. Il pensiero che desiderasse ancora smettere di pensare a me mi provocò un pugno allo stomaco, ma se era così dovevo saperlo.
<È complicato.>
<Dimmelo lo stesso.>
Tutto mi sembrava complicato con lui, ed era ormai troppo tempo che rispondeva alle mie domande con “è complicato”. Quella, di certo, non era una risposta, ed io ero stanca di doverle ipotizzare imboccando vie probabilmente sbagliate.
<Io non...non posso.>
Ecco un’altra non risposta.
Non poteva che cosa? Non poteva rispondermi? Non poteva stare con me? Non poteva amarmi?
Come sempre, alle sue (non) risposte seguivano solo altre mie domande.
<Perché?>
Altra domanda.
<Aly, ti prego, lascia perdere.>
Ero sempre stata in grado di capire quando in una discussione conveniva lasciare perdere, e quello non era il caso.
<Dylan, parlami, per favore. Voglio sapere cosa ti passa per la testa, ho bisogno di saperlo.>
Era così, infatti. Perché più che un desiderio il mio era un bisogno, avevo bisogno di sapere cosa gli passava per la testa, altrimenti probabilmente sarei impazzita per stare dietro a tutti i suoi pensieri che cambiavano giorno dopo giorno.
<È che con te è diverso, non riesco a comportarmi come facevo prima.>
Il mio cuore fece una capriola quando mi resi conto che forse stava finalmente parlando, parlando davvero.
<Intendi con tutte le ragazze che ti portavi a letto?>
<Si.>
Molte altre domande invasero la mia mente dopo quella risposta, ma un ricordo fece capolino da un cassetto.
Mi ricordai di una ragazza, una ragazza che lo aveva salvato da un periodo buio, una ragazza di cui si era innamorato.
<Una volta ti sei innamorato però, non è così?>
Forse era azzardato ipotizzare che con me fosse la stessa cosa, che potesse essersi innamorato anche di me. Ma se non riusciva a comportarsi come con tutte quelle ragazze che si portava solo a letto, quale altra spiegazione poteva esserci?
<È successo.>
Sospirò, sollevando il petto sotto la mia testa, e il mio cuore si fece un po' più pesante.
Non volevo essere invadente, non volevo riportargli alla mente ricordi che forse non voleva rivivere, però io dovevo sapere qualcosa, qualunque cosa che potesse dare delle risposte al centinaio di domande che avevo in testa.
<Qual è il suo nome?>
<Kelly.>
Quel nome rievocò un ricordo nella mia mente, un ricordo sbiadito a cui non sapevo dare un colore o una direzione, sapevo che c’era qualcosa collegato a quel nome nella mia memoria, eppure non sapevo cosa.
<Amavi Kelly?>
Pronunciai quella domanda con la consapevolezza che la risposta avrebbe potuto farmi molto male.
<Si, l’amavo.>
Le paranoie sbucarono arroganti nella mi testa, dando libero accesso ai brutti pensieri.
Amava lei, non te.
Non ti amerà mai come amava lei.
Di lei si è innamorato, di te no.
Li cacciai via meglio che potevo, cercando di sgombrare la mente e concentrarmi solo su quella conversazione, inspirai e ripresi.
<Cos’è successo tra voi, perché è finita?>
Sentii il suo petto muoversi sotto di me, mentre di scatto scivolava via facendomi ritrovare con la testa sul materasso.
<Senti, lascia perdere.>
Si alzò dal letto ed iniziò a cercare i suoi vestiti in mezzo al mucchio gettato per terra, mentre io mi rendevo conto che non mi avrebbe dato altre risposte, stava scappando da me un’altra volta.
<Facciamo finta che tutto questo tra noi non sia mai successo e amici come prima, d’accordo?>
Probabilmente avevo sentito male, forse ero ancora frastornata dopo tutto quel sesso.
<È meglio così, credimi.>
Non avevo sentito male, diceva sul serio.
Aveva davvero osato chiedermi una cosa del genere.
Mi alzai dal letto senza pormi il problema di essere nuda, mentre il sangue mi ribolliva nelle vene.
<Facciamo finta che non sia mai successo?>
Sbottai avvicinandomi a lui.
<Amici come prima? Quando mai siamo stati amici io e te.>
Mi avvicinai ancora mentre lui sembrava essersi piantato a terra con indosso solo i pantaloni, i suoi occhi stavano puntati sui miei che erano diventati di fuoco.
<Dio, non puoi averlo detto sul serio.>
Mi portai le mani ai capelli spostandoli dal viso, mi voltai dandogli le spalle improvvisamente incapace di sorreggere il suo sguardo.
<Ci siamo solo divertiti Aly, non era niente.>
Lo sentii parlare piano dietro di me, se non fossi stata così furiosa avrei giurato di aver sentito la sua voce tremare.
<Niente? Ci siamo solo divertiti? E tu questo lo reputi niente? Solo un divertimento,  come se fossimo amici di letto che si danno piacere a vicenda.>
Tornai a voltarmi verso di lui e mi avvicinai al punto da stragli ad un centimetro dalla bocca. Lui riuscii a sorreggere il mio sguardo senza il minimo accenno a cedere, sicuro di sé, potente, ineluttabile come sempre.
<E tutto quello che è successo? Tutto quello che abbiamo vissuto, insieme, cos'è per te?>
Rimase a fissarmi zitto per un po', la sua bocca ancora ad un centimetro dalla mia.
Quel tempo mi parse infinito, mentre aspettavo quella risposta che avrebbe potuto cambiare ogni cosa all’istante.
Avrei voluto sentirgli dire che era tutto per lui. Che quei momenti erano tutto, così come lo erano per me. Che quello che era successo tra noi esisteva perché ci eravamo innamorati e non avevamo avuto via di scampo.
Avrei voluto sentirgli dire che senza di me era perso, così come lo ero io senza di lui.
Che non voleva vivere senza di noi, perché noi eravamo giusti, eravamo puri.
Avrei voluto che dicesse che quell’amore gli faceva paura come ne faceva a me, ma che insieme avremmo conquistato il mondo, che non avrebbe lasciato mai la mia mano.
Volevo che dicesse che accanto a me, con me, era l’unico posto in cui voleva stare.
<Niente.>
Disse invece, mentre i suoi occhi si spegnevano ed il mio cuore si spaccava un po' di più.
Niente.
Come poteva quella parola fare così male?
Non ero niente per lui, il nostro amore non era niente, tutto quello che era successo era niente.
Aveva riassunto tutto con una parola, mentre io ci avrei scritto dozzine di libri, imbrattato i muri.
Niente.
Quella parola era pesante come un masso.
Però avevo finito di essere debole, con lui e con chiunque altro.
Non gli avrei mostrato la mia disperazione, non l’avrei implorato di restare con me, non avrei mai pronunciato quelle cinque lettere che ardevano dentro di me da tutto quel tempo.
Sarei stata forte, come mi aveva insegnato la mamma.
Non mi sarei lasciata schiacciare da quel dolore che conoscevo bene, l’avevo previsto, mi ero preparata.
<Ah si? Perciò ti andrebbe bene se iniziassi a uscire con un altro?>
Pronunciai quella frase decisa, senza il minimo accenno a ciò che stava succedendo dentro di me, senza mai mostrargli il cuore scoperto.
Ero pronta a sfidarlo un’altra volta, l’ultima.
Quella sarebbe stata la risposta definitiva, dipendeva tutto da lui ma ero io che lo avevo condotto in quella direzione.
<Accomodati.>
Mi resi conto, a quel punto, che eravamo davvero due bravi giocatori.
I nostri sguardi erano inespressivi, entrambi avevamo chiuso il cuore al sicuro dentro una teca di vetro impenetrabile. Nessuno avrebbe vinto quel gioco, perché entrambi giocavamo sporco.
<Vattene, Dylan.>
Non volevo che se ne andasse, non volevo che quello fosse il nostro addio.
Ma, ancora una volta, avevo bisogno di rimettere insieme i pezzi, non volevo più giocare secondo le sue regole.
E così, mentre lo guardavo andare via dalla mia camera, decisi che da quel momento volevo comandare il gioco, volevo dominarlo.

Come amano le stelleWhere stories live. Discover now