Luna e sole

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Tornai a casa con un taxi, non mi sarei mai messa alla guida in quelle condizioni. Spiegai ad Ellie che non mi sentivo bene e che preferivo tornare a casa, le lasciai le chiavi della mia auto e promise di riportarmela domani.
Quando finalmente mi ritrovai nella pace della mia camera, assaporai il silenzio. Mi sedetti sul bordo del letto, riflettendo su tutto quello che era successo. Ero stata una stupida, forse Dylan aveva ragione ad infuriarsi, gli avevo mentito. Non avrei mai voluto che scoprisse così del ritorno di Alex, avrei voluto spiegargli che non c’era da preoccuparsi perché non mi avrebbe aggredita un’altra volta. Stavolta non poteva succedere, e non perché lui era cambiato, ma perché io ero cambiata. Questa volta non l’avrei permesso, non di nuovo. Eppure non ne avevo avuto il tempo, ero corsa ai ripari mettendomi sulla difensiva, l’avevo ferito. Anch’io però ero arrabbiata con lui, non mi aveva lasciata spiegare, si era comportato un’altra volta come se io fossi un suo giocattolo o come se fossi un animaletto indifeso da proteggere.
Io non ho bisogno della sua protezione, so proteggermi anche da sola, il più delle volte.
Vorrei solo il suo amore, nient’altro.
Non voglio una guardia del corpo, qualcuno pronto a picchiare chiunque in mio nome, io voglio solo essere amata.
Ero infuriata perché se n’era andato, lasciandomi lì come se non significassi nulla per lui.
Ero tremendamente infuriata, seppur provassi un minimo di rimorso.
Ero infuriata, ma anche malinconica.
Avevo immaginato per una settimana il momento in cui finalmente saremmo stati di nuovo insieme, avevo immaginato la mia testa poggiata sul suo petto mentre mi accarezzava i capelli, le sue labbra sulle mie, il suo profumo, il suo calore.
Le sue mani sulla mia pelle chiara, i suoi occhi, la sua voce.
Mi era mancato, mi mancava.
Ma forse quel sentimento non era destinato a svanire molto presto.
Mi alzai dal letto e andai in bagno, mi lavai i denti e indossai una t-shirt.
Tornai a letto e mi rannicchiai sotto le coperte, la mia testa rimbombava affollata di pensieri, come dentro ad una galleria d’arte si sentivano bisbigli provenire da tutte le parti.
Un rumore proveniente dalla mia finestra mi fece trasalire, ed io balzai in piedi afferrando la prima cosa che mi capitasse, pronta ad aggredire il ladro intento ad entrare.
Però quello non era un ladro. Era Dylan.
Saltò dallo spavento dopo essersi accorto di me, in piedi davanti a lui, con in mano una statuetta di ceramica della Tour Eiffel.
<Perché hai in mano la Tour Eiffel?>
Abbassai lo sguardo sulla statuetta, sentendomi stupida la posai dove l’avevo presa.
<Credevo fossi un ladro, come ti viene in mente di entrare così?>
Accennò un sorriso.
<Sono sempre entrato così.>
Prese la statuetta ed iniziò a studiarla, mentre io mi rilassavo dopo lo spavento e mi rimettevo a letto.
<Avresti usato questa per difenderti?>
Non risposi, era evidente che fosse in vena di scherzare, ma io non lo ero dopo la nostra discussione.
<Perché sei qui? Credevo fossi arrabbiato con me.>
Dissi seria, non avrei lasciato correre fingendo che non fosse successo.
<Lo sono, ma volevo controllare che stessi bene.>
Posò finalmente la statuetta e mi guardò negli occhi.
<Sto bene.>
Si avvicinò a me, ed il mio cuore iniziò a battere veloce, mentre lui scostava le coperte e si stendeva accanto a me. Il suo profumo mi arrivò violento, facendomi venire voglia di sorridere, ma mi trattenni.
<Cosa fai?>
Gli chiesi invece.
<Mi stendo accanto a te.>
<Questo lo vedo, ma perché? Io non ti ho invitato a dormire qui.>
<So che soffri di incubi. Tempo fa ti ho promesso che semmai fossi stata mia sarei stato qui al tuo risveglio da qualsiasi incubo, perciò è ciò che farò.>
Quasi scoppiai a ridere.
<Grazie ma so gestire i miei incubi.>
<Lo so.>
<Non serve che tu stia qui.>
<Lo so>
Iniziai a perdere la pazienza, mi stava innervosendo. Non poteva venire qui con una simile scusa e aspettarsi che io acconsentissi come se la nostra discussione non fosse mai avvenuta.
<Non ho bisogno di te.>
Dissi seria, quasi come se fossimo tornati in camera di Ellie qualche ora prima.
<Ma io si!>
Urlò alzandosi dal letto, io rimasi zitta a fissarlo mentre ancora una volta camminava
avanti e indietro passandosi la mano tra i capelli.
<Vuoi la verità Aly?>
Non parlai ancora, semplicemente lo guardavo.
<Sono stra incazzato con te, incazzatissimo, e so che non hai bisogno di me per gestire i tuoi incubi. Ma io ho bisogno di te per dormire stanotte.>
Mi misi in ginocchio sul bordo del letto, pronta a ribattere, ma lui continuò a parlare prima che potessi farlo.
<Aspetto questo momento da una settimana, ho immaginato ogni giorno per sette lunghi giorni di dormire tenendoti stretta tra le mie braccia. Perciò non sarà il tuo sociopatico ex o una stupida discussione ad impedirmelo stanotte.>
Rimasi ancora zitta, mentre lui riprendeva fiato come se avesse parlato senza respirare.
Adesso c’era silenzio, c’erano solo i nostri occhi immersi gli uni negli altri e le nostre anime che già si baciavano.
Anch’io.
Avrei voluto urlargli.
Anch’io ho contato i giorni, le ore, i minuti.
Anch’io ho immaginato di dormire tra le tue braccia.
Anch’io ho aspettato questo momento.
Invece dissi soltanto…
<Baciami ti prego.>
I suoi occhi si sgranarono, ma dopo un attimo la sua bocca era sulla mia e le nostre lingue già danzavano.
Le sue mani accarezzavano le mie gambe nude mentre piano mi faceva stendere sul letto e si posizionava su di me.
<Non pregarmi mai più Aly.>
Disse, iniziando a baciarmi il collo.
<Non devi mai pregarmi di baciarti, o di toccarti.>
Mi sfilò la t-shirt lasciandomi nuda, mentre passava i pollici sui miei capezzoli e mi guardava dritto negli occhi.
<Sono tuo, sono tuo quando vuoi, dove vuoi.>
Fece scivolare una mano tra le mie gambe, spostando le mie mutandine e stuzzicando quella parte sensibile del mio corpo, mentre io mi lasciavo scappare qualche gemito.
<Non devi pregarmi.>
Entrò deciso dentro di me con due dita, mentre io mi sentivo già consumata, da lui, da quel piacere che tanto mi era mancato.
<Non devi chiedere.>
Iniziò a muoversi più veloce, ed io volevo già di più. Tra un gemito e l’altro trovai la forza di togliergli la maglietta ed accarezzai il suo petto nudo, mentre mi contorcevo sotto il suo tocco.
<Devi solo dirmi cosa vuoi, dimmelo e ti sarà dato.>
Iniziò a stuzzicare i miei capezzoli con i denti, ed io mi sentii quasi al culmine.
<Dimmelo Aly, che cosa vuoi?>
Disse, passando la lingua tra i miei seni.
<Io voglio...>
Mi sentivo così sopraffatta che quasi non riuscivo a parlare.
<Cosa piccola?>
<Te.>
Dissi ansimando.
<Voglio te.>
Estrasse le dita da dentro di me e con un gesto rapido si sfibbiò i pantaloni, li abbassò quanto bastava per mettersi il preservativo che intanto aveva estratto dalla tasca posteriore e aperto con i denti.
Entrò dentro di me senza neppure darmi il tempo di riprendere fiato, e finalmente mi sentii di nuovo completa.
Piena di lui, riempita da quel piacere che era sia sesso che amore.
Perché per noi non era solo corpi che si uniscono, ma anime che danzano, cuori che battono all’unisono.
Si mosse veloce mentre tutti i pensieri che prima affollavano la mia testa si accasciavano sul pavimento, ero libera.
Quando raggiungemmo entrambi l’apice, mentre udivo il suo respiro pesante vicino al mio orecchio, mi sentii leggera come una piuma.
Era stato malattia e cura, ferita e cerotto, dolore e piacere.
In quel momento capii che questo eravamo noi, tutto il male del mondo ma anche il bene più profondo.
Eravamo il bianco e il nero, il giorno e la notte, la luna ed il sole.
Ma come potrebbe la luna risplendere senza il suo sole?
Non può.
Hanno in egual modo bisogno l’una dell’altro.
E così eravamo noi, così sbagliati ma al contempo perfettamente giusti.

Come amano le stelleWhere stories live. Discover now