Una promessa

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La luce dell’alba entrava sbiadita dalle finestre della nostra camera, ero appoggiata sul suo petto mentre lui accarezzava la mia schiena. Quella notte in pratica non avevamo dormito, l’avevamo passata quasi tutta a fare l’amore su quel letto che mi sembrava troppo grande. Si trovava proprio di fronte alle finestre, vetrate ampie da cui si poteva ammirare il sole sorgere da dietro le montagne. Quella era la seconda volta che Dylan mi regalava l’alba, ed io speravo che ce ne sarebbero state tante altre.
<Fino a quando possiamo rimanere qui?>
Mi appoggiai con il mento al suo petto per guardarlo.
<Fino a quando non ti sentirai pronta ad affrontare il mondo.>
Gli passai una mano tra i capelli, lui continuò a muovere la sua sulla mia schiena.
<Ti ricordo che ho un lavoro.>
<Ci ho pensato io.>
<Cioè?>
<Ho chiamato Mason dal tuo cellulare e gli ho detto che non stavi bene, ti coprirà lui.>
Forse a quel punto lo amavo un po' di più.
Si alzò dal letto mentre le lenzuola ricadevano scoprendo il suo corpo nudo, mi soffermai ad ammirare la sua bellezza, domandandomi come potesse essere possibile che qualcosa di così bello appartenesse a me. Io di bello non avevo avuto mai niente.
<Vestìti.>
Mi lanciò i miei vestiti che per fortuna erano ormai asciutti dopo la pioggia della sera prima.
<Andiamo da qualche parte?>
Si infilò i pantaloni ed io quasi piagnucolai, avrei preferito guardare il suo corpo nudo ancora per un po'.
<C’è un piccolo paese qui vicino, voglio mostrartelo, faremo colazione lì.>
Mi illuminai di gioia.
Un piccolo paese in cui nessuno ci conosceva, potevamo camminare tenendoci per mano, avremmo potuto baciarci per quelle strade senza la paura di essere visti.
<Ci sto!>
Saltai giù dal letto ed iniziai a vestirmi.
Quando arrivammo in paese mi sembrò quasi di aver viaggiato nel tempo, tutto profumava di antico e magico.
Il profumo del pane appena sfornato si librava nell’aria ed io mi riempii le narici, c’erano piccole bancarelle qua e là e la leggera musica di un pianoforte che doveva arrivare da una delle abitazioni.
Dylan mi guidò verso una piccola pasticceria, mentre io mi guardavo intorno stupefatta da tutta quella vita. All’interno della pasticceria c’era di tutto, dolcetti colorati, brioche con gocce di cioccolato, croissant, bagel, panini di tutti i tipi e forme. Forse, pensai, stavo sognando la mia vita perfetta.
Io e lui in una casetta appartata, le montagne intorno a noi e un piccolo paesino in cui tutti ti regalano un sorriso. Ci immaginavo a vivere così, con dei cani e magari dei bambini. A fare l’amore in quella casa con l’alba dietro di noi, fare colazione in questa pasticceria, passeggiare per le piccole strade di quel paese mano nella mano mentre la gente ci saluta. La vita sarebbe stata più leggera, più felice.
<Ciao Dotty.>
Dylan salutò l’anziana signora che stava dietro al bancone della pasticceria, intenta a contare monetine. Alzò lo sguardo verso di noi ed i suoi occhi brillarono quando vide lui.
<Oh Dylan!>
Allargò un sorriso e quasi si mise a correre per raggiungerlo e abbracciarlo.
<Aly, lei è Dorotea.>
L’anziana signora riservò un meraviglioso sorriso anche a me, mentre mi stringeva la mano e mi studiava appena.
<Ti prego, chiamami Dotty.>
Ricambiai il suo sorriso, nel frattempo mi domandai che legame potesse esserci tra loro.
<Piacere di conoscerla, Dotty.>
Ancora sorridendo lasciò la mia mano e tornò a guardare Dylan.
<Non ti fai vedere da un po'.>
Lo studiò per bene dalla testa ai piedi, quasi per accertarsi che fosse tutto intero.
<Lo so, mi dispiace.>
<Spero che le cose vadano meglio dell’ultima volta.>
Dotty girò nuovamente intorno al bancone e si mise un paio di guanti, prese due brioche con le gocce di cioccolato e ne porse una a me e una a lui, io le sorrisi per ringraziarla.
<Ma forse non serve chiedertelo, lo vedo da sola.>
Aggiunse, guardando me e sorridendo ancora.
<Ho sentito Aidan suonare.>
Ripensai alla dolce melodia che avevo sentito per la strada.
<Oh si, non fa che allenarsi, prenderà parte ad un concerto a Boston tra due settimane.>
Rimasi zitta ad ascoltare la loro conversazione e a gustare la mia brioche, continuando a chiedermi chi potesse rappresentare quella donna per lui.
<Avete ancora quel vecchio pianoforte?>
<Naturalmente, hai voglia di suonare?>
Lo guardai, immaginando le sue dita danzare su quei tasti bianco e neri, ma vidi i suoi occhi spegnersi appena.
<No.>
Rispose freddo, ed il sorriso di lei un po' si affievolì.
<Dobbiamo andare purtroppo, ma è stato un piacere rivederti.>
Mi prese la mano e si avviò verso la porta.
<Anche per me è stato un piacere, sai che puoi passare a trovarci quando vuoi.>
<Lo so, stammi bene Dotty.>
<Anche tu tesoro, e salutami tanto la tua mamma.>
Dylan si bloccò per un attimo davanti alla porta, con la mano sulla maniglia, io lo guardai confusa ma non dissi una parola. Poi aprì la porta e uscimmo mentre sentivo la signora aggiungere:
<Ciao cara!>
Non ebbi il tempo di ricambiare il saluto.
Camminavamo mano nella mano per quelle vie, nel silenzio totale, finché non mi voltai a guardarlo e notai che la sua brioche era ancora intatta fra le sue mani, non l’aveva addentata neppure una volta.
<E così tu suoni?>
Dissi, per rompere il ghiaccio.
<Suonavo.>
Il suo sguardo rimase spento a guardare avanti.
<Perché non lo fai più?>
Tirò un lungo respiro carico di ricordi e malinconia.
<È stata mia madre ad insegnarmelo, io non...>
Si bloccò un’altra volta ed io non mi sentii in grado di dire nulla, mi limitai a stringere un po' più forte la sua mano.
<Ho chiuso con lei e con tutto ciò che la riguarda.>
Concluse la frase con tono aspro, qualcosa dentro di me mi disse che non era del tutto la verità, pensai che forse non voleva ricordare quei momenti felici in cui lei gli insegnava a suonare, prima di abbandonarlo.
<Quella donna non sa di lei, non è così? Non sa che lei non...>
<No.>
Mi interruppe, come se non volesse sentire quelle parole.
<Perché no?>
<Perché non è un argomento di cui mi piace parlare, soprattutto con una persona che ha conosciuto una madre e non una drogata del cazzo.>
Quasi rabbrividii per quelle sue parole colme di rabbia, ma lo capivo.
<Ma magari...>
Tentai di cacciare fuori un discorso di speranza.
<Basta così Aly!>
Alzò la voce ed io smisi di camminare, lasciando la sua mano.
<Smettila di aprire questo argomento, non voglio parlare di lei.>
Urlò con così tanta rabbia negli occhi da farmi indietreggiare di un passo.
<D’accordo, scusami.>
Risposi abbassando lo sguardo, sapevo che quelle parole non erano state pronunciate per ferire me, eppure in qualche modo il suo tono lo fece.
Senza dire una parola riprese la mia mano e ricominciammo a camminare, restammo in silenzio per tutta la strada, anche quando arrivammo allo chalet nessuno dei due aprì bocca.
Capivo che non volesse parlarne, ma questo non lo autorizzava a parlarmi in quel modo, alzando la voce come…come faceva Alex.
Forse però era colpa mia, non avrei dovuto porgli tutte quelle domande su sua madre, sul suo passato. Forse avrei dovuto aspettare che fosse abbastanza pronto da parlarmene di sua volontà, come aveva fatto la notte precedente.
Forse avevo innescato io quella reazione, perché non so tenere la bocca chiusa.
Passammo gran parte del nostro tempo lontani in casa, io me ne stavo seduta sul portico a godermi il silenzio e la pace di quel posto, lui se ne stava sul divano a fissare il soffitto come avevo fatto io la sera prima.
Continuavo a chiedermi se spettasse a me fare il primo passo, se forse sbagliavo a prendermela così tanto.
Non mi mossi quando sentii la porta alle mie spalle aprirsi ed i suoi passi avvicinarsi a me, non mi girai a guardarlo quando si sedette sul gradino successivo al mio.
<Mi dispiace.>
Sussurrò ad un certo punto, entrambi fermi a guardare la natura di fronte a noi.
<Va bene così.>
Non cambiai la mia espressione. Dissi che andava bene così perché non volevo mostrarmi melodrammatica, quella per chiunque poteva essere una scenata di poco conto, ma non per me. Non dopo Alex.
<No, non va bene.>
<Non importa.>
<Aly, guardami.>
Mi voltai a guardarlo e vidi il dispiacere nei suoi occhi, un dispiacere che non avevo mai visto in quelli di Alex.
<Non avrei dovuto alzare la voce, e non voglio che tu mi dica che va bene così perché con lui bastava dire questo per chiudere la conversazione.>
Si passò una mano fra i capelli, poi poggiò i gomiti sulle ginocchia e appoggiò il mento sulle mani giunte.
<Io non sono come lui, non voglio che sia tu a sentirti in colpa quando io faccio lo stronzo.>
Sembrò quasi che mi avesse letto nel pensiero. Mi stavo dando la colpa così come avevo sempre fatto con Alex, perché lui mi faceva sempre sentire sbagliata, per lui le colpe erano solo le mie. Lui non era Alex, ma io faticavo ancora a fidarmi, la mia paura me lo impediva.
<Voglio che tu mi dica quando mi sto comportando da stronzo. Urla, rinominami con le peggio parolacce, fai come preferisci. Ma ti prego, non sentirti sbagliata al posto mio, quel ruolo spetta a me.>
Quelle parole mi scaldarono il cuore, era l’ennesima dimostrazione della sua differenza con Alex.
<D’accordo, signor stronzo.>
Sorrisi e finalmente lui si girò a guardarmi.
<Ecco, così andrà bene.>
Sorrise a sua volta.
<Hai un foglio e una penna?>
Si stupì per quel mio improvviso cambio di argomento.
<A che ti servono?>
<A scrivere, non è ovvio?>
Mi alzai dal gradino e gli tesi una mano, un gesto per dirgli che accettavo le sue scuse.
Prese la mia mano e si alzò, posò le sue mani sui miei fianchi e avvicinò la sua bocca alla mia.
<Cosa devi scrivere?>
<Mi è venuta un’idea per la bozza di un libro.>
Sorrisi, era da tanto tempo che avevo perso la voglia di scrivere, ma adesso la sentivo di nuovo. Viva dentro di me, si espandeva, cresceva, si illuminava e volteggiava nelle mie vene.
<Scriverai di quanto sono sexy?>
Mi avvicinai a lui e gli stampai un caldo bacio sulle labbra.
<No.>
Risposi, dopo il bacio.
<Scriverò una promessa.>
Mi strinse forte a lui ed io mi lasciai avvolgere come se dovesse ripararmi dal freddo.
Avrei scritto di lui, di noi, della nostra promessa d’amore.
L’avrei spiaccicato su un foglio quell’amore, per renderlo indelebile, per non dimenticarlo mai.

Come amano le stelleWhere stories live. Discover now