Vetri rotti

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Mi svegliai in piena notte, sentendolo parlare piano in bagno. Mi alzai dal letto e mi avvicinai alla porta per sentire meglio.
<No, adesso non posso.>
Silenzio.
<È tardi, dovrei andare a dormire.>
Parlava al telefono.
<Si, ti chiamo domani...anch’io...buona notte.>
Lo sentii muoversi e capii che la telefonata era conclusa. Per non farmi trovare davanti alla porta ad origliare, corsi verso il letto e mi ci sdraiai, fingendo di essermi appena svegliata quando lui uscii dal bagno.
<Ehi.>
Dissi, stropicciandomi gli occhi.
<Cosa fai sveglia?>
Si sdraiò al mio fianco.
<Mi sono svegliata e ho visto che non c’eri, con chi stavi parlando?>
<Con mia zia.>
<A quest’ora della notte?>
<Si, non si sentiva molto bene.>
Si avvicinò e mi accarezzò il viso.
<È tutto okay?>
<Si, voglio solo tornare a dormire abbracciato a te.>
Sorrisi, prendendogli la mano.
<È meglio se torno a casa, mio padre si preoccuperà se non mi trova domani.>
Sbuffò, dispiaciuto.
<Vuoi che ti accompagni?>
<Non serve, prenderò un taxi.>
Nel frattempo mi ero già alzata e mezza vestita.
<Torna pure a dormire.>
<Difficile senza di te.>
Mi avvicinai al letto e mi sedetti, gli presi il viso tra le mani e lo baciai.
<Non andare.>
<Devo.>
Cercai di tirare via la mano che nel frattempo lui stringeva, tentando di convincermi a restare. Mi lasciò andare ed io sorrisi, avvicinandomi alla porta, girandomi a guardarlo un’ultima volta prima di andare.
<Ci vediamo domani al bar, sarò il primo cliente.>
Mi sorrise, io feci lo stesso, poi gli mandai un bacio con la mano e uscii.
Mentre tornavo a casa, su quel taxi, mi sentivo come la protagonista di un film. Una di quelle scene in cui lei guarda fuori dal finestrino, pensierosa. Mi sentivo felice. Mi sentivo innamorata. Lui aveva conquistato ogni parte di me, l’amavo e niente avrebbe mai potuto cambiarlo. Volevo stare con lui, domani e tutti i giorni a seguire. Aveva migliorato ogni cosa, aveva preso tutto ciò che di rotto c’era in me e l’aveva ricostruito. Delicatamente, con attenzione, con cura, aveva incollato insieme di nuovo tutti i pezzi. Finalmente, dopo un tempo che mi era parso infinito, mi sentivo di nuovo tutta intera. Completa. Aveva aggiustato il mio cuore ferito.


La mattina dopo andai al lavoro pensando a quella notte, consapevole che a momenti l’avrei rivisto. Poi ripensai alla sceneggiata che aveva fatto a Mason qualche giorno prima, e mi chiesi come si sarebbe comportato rivedendolo al bar. Decisi in ogni caso di parlare con Mason. Non sapevo bene cosa dirgli, ma prima o poi avremmo dovuto avere questa conversazione, non volevo che il rapporto che stavamo costruendo si perdesse, volevo che fossimo amici e colleghi. Volevo fargli capire che non doveva privarsi di questo per via di Dylan.
Quando arrivai lo trovai già a lavoro.
<Ciao.>
Dissi entrando.
<Ciao.>
Rispose freddo, ed io mi chiesi se fosse arrabbiato con me.
<Senti Mason, forse dovremmo parlarne.>
<Di cosa?>
<Di quello che è successo l’altro giorno, sai con il mio...>
Neanche stavolta riuscii a finire quella frase, non ne capivo il motivo, era come se il mio cuore mi suggerisse di non chiamarlo “fidanzato”.
<Aly a me non importa, davvero. Volevo solo esserti amico ma se questo può crearti dei problemi preferisco lasciar perdere.>
<No, non crea nessun problema, anch’io voglio esserti amica.>
Mi guardò dubbioso.
<E al tuo arrogante fidanzato andrà bene?>
<È solo un po' iperprotettivo.>
Dopo questa mia frase sentimmo la porta aprirsi e ci girammo entrambi. Dylan entrò, con un’espressione rilassata. Speravo con tutto il cuore che si comportasse bene, che non esagerasse ancora.
<Ciao.>
Dissi, un po' sulle spine.
<Ciao.>
Si girò verso Mason e il mio cuore iniziò a battere forte, pregai che non lo importunasse un’altra volta.
<Credo che abbiamo iniziato con il piede sbagliato.>
Tirai un sospiro di sollievo, fiera di lui.
<Abbiamo? Io non ho fatto proprio niente.>
Notai l’espressione di Dylan cambiare, irritandosi per quella risposta.
<D’accordo, forse sono stato un po' troppo scontroso, mi dispiace.>
Mason non rispose, allora Dylan allungò una mano verso di lui.
<Amici?>
<Ci possiamo provare.>
Rispose Mason, stringendogliela.
Quella mattina per fortuna il mio umore non fu rovinato, ero felice che Dylan si fosse fatto avanti con Mason, scusandosi. Significava che aveva capito, che si fidava di me. Non l’avrebbe rifatto, aveva migliorato questo suo aspetto per me.
Dopo il lavoro passai a trovare nonna Anna e trascorsi con lei il resto della giornata. Lei c’era sempre per me, ma nell’ultimo periodo l’avevo un po' trascurata. Non ero passata spesso a trovarla, ero così presa da Dylan e il resto. A volte dimenticavo che, ahimè, non sarebbe stata eterna. L’aiutai con le faccende domestiche e a preparare la cena, dopo aver mangiato ci ritrovammo in camera sua a piegare il bucato. Era una cosa che facevamo sempre, ed io l’adoravo. Mi piaceva chiacchierare con lei mentre mi lasciavo coccolare dal profumo dei panni appena lavati.
<Allora tesoro, come va?>
A quella domanda sentii un nodo in gola, come se qualcosa volesse uscire fuori. Dopo la morte della mamma, lei era rimasta l’unica persona con cui potevo parlare così come si fa con una madre. Sapevo che la storia con Dylan doveva rimanere un segreto al momento, ma volevo tanto parlarne con lei. Volevo dirle tutto, raccontarle di quanto bene faceva al mio cuore. Avevo bisogno di buttare fuori tutte quelle emozioni che tenevo dentro.
<Mi sono innamorata, nonna.>
Andai dritta al punto. Lei posò la tovaglia, che nel frattempo stava piegando, e si sedette sul letto vicino a me, allargando un sorriso e prendendomi le mani.
<Lui chi è?>
<Si chiama Dylan, studia alla Northern Arizona University. È un amico del ragazzo di Ellie e un cliente abituale del bar dove lavoro, è lì che l’ho conosciuto.>
Non smise di sorridere.
<E dimmi, che tipo è? Ti tratta bene?>
<Mi tratta più che bene, nonna. Lui è gentile, è premuroso, dolce e romantico. Quando sto con lui sento come se il cuore stesse per esplodere, sento le farfalle svolazzare nello stomaco. Mi sento come se potessi toccare il cielo con un dito. È come se fosse scomparso tutto il nero dal mondo, lasciando spazio soltanto ai colori.>
<Ti ama?>
Il sorriso scompare dal suo volto, lasciando il posto ad un’espressione seria, quasi preoccupata.
<Io lo amo, sono sicura di amarlo. Sono totalmente ed immensamente innamorata di lui.>
<Non è quello che ho chiesto. Lui ti ama?>
Mi accarezzò il viso dolcemente, mentre anche il mio sorriso si spegneva, portandomi a riflettere su quella domanda. Non aveva mai detto di amarmi, ma infondo neanch’io l’avevo ancora fatto, eppure l’amavo. Infondo, cos’era un “ti amo”? Erano solo due semplici parole. Era davvero necessario dirselo? Lui aveva conosciuto le sfumature di grigio che c’erano dentro di me ed era rimasto, questo non è amore?
<Io...io credo di si. Non ce lo siamo ancora detti, ma fa tante cose che me lo lasciano pensare.>
<Fai attenzione bambina mia, non lasciarti ingannare dalle belle parole. Assicurati che lui provi ciò che provi tu prima di buttarti a capofitto, non lasciare che spezzi il tuo cuore.>
Mi alzai di scatto, infastidita da quelle parole. Lei non lo conosceva, non sapeva quanto amore mi dava. Non mi avrebbe mai fatto del male, mai. Ed io ne ero certa.
<Tu non lo conosci.>
<Cerco solo di metterti in guardia, tesoro.>
<Non serve, lui non mi farebbe mai del male.>
Si alzò anche lei e si avvicinò a me.
<Se ne sei sicura meglio così. Vivi questo amore con tutta te stessa, fai in modo di non rimpiangere niente.>
Mi spostò una ciocca di capelli dal viso e poggiò la sua mano sulla mia guancia.
<Meriti di essere felice, mia piccola stella.>


Quando tornai a casa, quella sera, supponevo di trovare papà e Noah già a letto, ma quando entrai in casa notai la luce della cucina accesa. Mi tolsi le scarpe per mettermi comoda e poi andai a controllare se ci fosse qualcuno.
Trovai papà seduto al bancone della cucina, con un bicchiere di scotch quasi finito davanti. Accanto a questo la bottiglia, anche lei quasi finita. Teneva la testa abbassata su quel bicchiere, impedendomi di vederlo in faccia. Sembrò non accorgersi neanche del mio arrivo, perché non si mosse.
<Ehi papà, che fai sveglio?>
Mi avvicinai piano.
<Non riuscivo a dormire.>
<Va tutto bene? Come mai stai bevendo?>
Alzò la testa e mi guardò, alzando il bicchiere come se stesse brindando.
<Festeggio.>
Ne prese un sorso.
Mi avvicinai ancora un po', lentamente per non spaventarlo. Sapevo benissimo cosa stava succedendo.
<Cosa festeggi?>
<Il mio anniversario di matrimonio.>
Sentii il cuore rompersi un’altra volta, un altro po'.
Ero ormai arrivata davanti a lui, poggiai la mano sulla sua che reggeva il bicchiere, e cercai di parlare in maniera pacata per tranquillizzarlo.
<Forse è meglio se vai a dormire adesso, che ne dici?>
<No, devo festeggiare.>
Mossi piano la mia mano sulla sua, cercando di strappargli via il bicchiere senza fare movimenti bruschi.
<Credo basti così per stasera papà, ti accompagno a letto.>
<Sto bene Alya, va’ tu a dormire, lasciami in pace.>
<No papà, è meglio se...>
Non feci in tempo a finire la frase che lui si spostò di scatto, togliendo la sua mano ed il bicchiere da sotto la mia. Alzò il bicchiere e lo lanciò sulla parete alle mie spalle, si frantumò. I pezzi di vetro caddero rumorosi sul pavimento, e con loro anche i pezzi del mio cuore finirono in frantumi, cadendo per terra come vetri rotti.
Mi allontanai di qualche passo, con il cuore che batteva veloce per la paura, e le lacrime agli occhi. Dopo qualche minuto cercai di tornare in me, di essere forte come sempre. Mentre lui si risedeva sullo sgabello, io mi chinai per raccogliere i pezzi.
<Lascia stare Aly, faccio io.>
Disse, quasi in un sussurro.
<Non importa, ce la faccio.>
Sentii la gola chiudersi a causa delle lacrime che non stavo lasciando scendere. Raccolsi i pezzi in fretta, mentre uno di loro feriva il palmo della mia mano. Mi alzai dopo averli raccolti tutti e li gettai nella pattumiera, presi uno straccio e lo avvolsi sulla mano, decidendo di non pensare al taglio per il momento. Mi avvicinai a papà, che intanto si era appoggiato al bancone con la testa fra le mani.
<Posso accompagnarti a letto?>
Annuì, poi si alzò. Lo presi per mano e lo accompagnai in camera sua, lo aiutai a sdraiarsi e mi sedetti per un attimo vicino a lui. Gli accarezzai il viso mentre lui chiudeva lentamente gli occhi.
<Mi dispiace.>
Sussurrò.
<Lo so.>
Restai lì a guardarlo per un po', mentre lui piano si addormentava, poi andai nella mia stanza. Chiusi la porta alle mie spalle e mi lasciai scivolare a terra, poggiai la testa sulle ginocchia e piansi. Lacrime che sapevano di amore e di odio. L’odiavo per tutte quelle volte che si lasciava inghiottire dall’oscurità, per tutte le volte in cui si perdeva. Lo odiavo perché non capiva, perché non si svegliava da quell’incubo che lui stesso aveva creato, risucchiando dentro anche me. Lo odiavo perché a volte mi sembrava un mostro. Ma lo amavo perché sapevo che quel mostro non era il mio papà. Non era colpa sua, lui non era così. Semplicemente non era abbastanza forte per cacciare via quella maledetta malattia che si era insidiata nella sua testa, consumandolo da dentro, trasformandolo. Portandolo via da me.
Mentre alleggerivo il mio cuore, lasciando scendere quelle lacrime che avevo trattenuto per troppo tempo, sentii il cellulare vibrare dentro la mia tasca. Lo presi, mentre fiumi di lacrime inondavano ancora il mio viso, e risposi.
<Ciao stellina.>
Non appena sentii la sua voce il mio cuore si rimpicciolì ancora un po', e le lacrime iniziarono a scendere più in fretta, come se volessero affogarmi.
<Ciao.>
Risposi tra i singhiozzi.
<Ehi, tutto okay?>
A quella domanda non riuscii a dare una risposta, perché niente era okay, io non ero okay.
<Dammi un attimo.>
Chiuse la telefonata ed io rimasi lì seduta per terra con il telefono all’orecchio, incapace di muovermi, di pensare, di smettere di piangere.
Dopo dieci o forse quindici minuti un rumore mi spinse ad alzare gli occhi, la finestra della mia camera si aprì e Dylan saltò dentro. Rimase per un attimo in piedi, a fissare quella scena che avrei preferito non vedesse mai. Avrei preferito non mi vedesse mai un quelle condizioni. Fragile, inerme, distrutta, nuda.
Senza dire nulla si avvicinò, sedendosi davanti a me a gambe incrociate. Prese il mio viso e mi costrinse ad alzare lo sguardo che tenevo abbassato, quasi per nascondermi, per non mostrargli quella parte debole di me.
<Cos’è successo?>
Avrei voluto dirglielo, avrei voluto raccontargli tutto per liberarmi dal peso di quella sera, ma non ci riuscii. Non riuscivo a fermare le lacrime, non riuscivo a parlare tra i singhiozzi, non riuscivo a prendere aria.
Sembrò capirlo, capirmi. Avvicinò il mio viso al suo petto, permettendomi di appoggiarmi a lui, di bagnargli la maglietta con le lacrime. Mi lasciai cullare dal suo calore, dal suo profumo ormai così familiare, dal suo corpo accogliente. Piansi. Piansi senza sosta, senza limiti, senza nascondermi o impormi di smettere. Lui rimase lì ad ascoltare il rumore della mia disperazione, e per un attimo le mie lacrime sembrarono anche le sue. Mi sentii come se stesse prendendo un po' del mio dolore, rendendolo per metà anche suo, alleggerendo il mio cuore ormai troppo stanco per reggerlo tutto.
<Non andartene.>
Dissi, mentre le lacrime scivolavano sulle mie labbra.
<Mai.>
Rispose, poi con un gesto veloce si alzò in piedi, mi prese in braccio e mi depositò sul letto. Si avvicinò a me e mi posò un bacio sulle labbra, un bacio caldo, che sapeva di amore puro.
<Sarò un soldato per te, ti proteggerò sempre da tutto e tutti. Sarò un fuoco quando sentirai freddo, un riparo per quando ti troverai sotto la pioggia. Sarò la stella che illumina la tua notte, Aly. Sarò tutto ciò di cui hai bisogno.>
Lo abbracciai forte, mentre stavo seduta sul letto, lui in piedi davanti a me.
<Non posso sopportare di vederti piangere, le tue lacrime mi annegano, mi soffocano. Il mio mondo diventa nero quando non sorridi.>
Fa una pausa, guardando in basso verso di me, poggiandomi le dita sul mento e alzando il mio viso così che io possa incontrare il suo sguardo.
<Sei troppo bella per stare male.>
Si chinò e mi baciò un’altra volta.
Quella era la risposta alla domanda di nonna Anna, io non avevo bisogno di quelle due parole, non avevo bisogno che mi dicesse che mi amava. L’aveva appena fatto, con altre parole, parole che avevano colpito il mio cuore come una freccia colpisce il bersaglio.
La stella che illumina la mia notte.
Quello, quella frase apparentemente banale, era il nostro “ti amo”.
<Vieni.>
Mi prese le mani per aiutarmi ad alzarmi e mi condusse in bagno, mi alzò e mi fece sedere sul lavandino, posizionandosi di fronte a me. Prese la mano con ancora lo straccio avvolto e slacciò il nodo, scoprendo un palmo sporco di sangue ormai asciutto. Prese l’asciugamano accanto al lavandino e la bagnò con l’acqua del rubinetto, poi la tamponò sulla mia mano per pulirla.
<È stato un incidente.>
Dissi, per impedire che si faccia una strana idea.
<Lo so.>
Pulito tutto il sangue rimase solo un piccolo taglio superficiale. Passò piano il pollice sul mio palmo, costeggiando il taglio, con delicatezza per non farmi male.
<Non è niente.>
Notai il suo sguardo pensieroso.
<Non meriti tutto questo.>
Vederlo così in pensiero per me mi fece sia male che bene contemporaneamente. Tolsi la mano da sotto il suo pollice e gli presi il viso tra le mani, facendolo girare verso di me, costringendolo a guardarmi negli occhi.
<Io sto bene.>
Lo tranquillizzai. Improvvisamente percepii la voglia di lui, volevo cancellare ogni brutto ricordo di quella sera, sostituendoli con ricordi più belli. Con ricordi nostri.
Saltai giù dal lavandino, costringendolo a indietreggiare di qualche passo. Mi tolsi la maglietta e poi i pantaloni. Lo guardai mentre la sua espressione cambiava, si straniva. Mi tolsi il reggiseno e le mutandine, mi spogliai dai vestiti e dalla tristezza. Lui mi guardò ancora senza dire una parola. Mi avvicinai piano, poi iniziai a spogliare anche lui. Gli tolsi la maglietta, poi sfibbiai la sua cintura e lo spogliai completamente. Non si mosse, non parlò, non mi toccò. Mi avvicinai alla doccia e aprii l’acqua, poi entrai sotto il getto. Lo guardai e gli porsi la mano.
<Laviamo via i cattivi pensieri.>
Prese la mia mano ed entrò anche lui in doccia. Presi la spugna e ci versai un po' di bagnoschiuma sopra, poi iniziai a passargliela sul petto. Insaponandolo, toccandolo, studiando tutti i nei sul suo corpo.
Prese la spugna dalle mie mani e copiò i miei movimenti. La passò sul mio petto, sui miei seni, sulla pancia. Mi studiò anche lui, come se fosse la prima volta che vedeva il mio corpo nudo. Passò la spugna, mi insaponò, lavò via tutto ciò che mi faceva male.
Mi alzai in punta di piedi e lo baciai, incrociando le mani dietro al suo collo. Questa volta un bacio pieno di passione, un bacio pieno di desiderio. Un bacio che urlava la mia voglia di essere sua, per cancellare tutto il nero che si era creato intorno a me.
Gettò per terra la spugna, mi strinse i fianchi e mi fece appoggiare alla parete alle mie spalle. Iniziò a baciarmi veloce, le nostre lingue danzarono, rotearono, si toccarono. Gli morsi il labbro, desiderosa. Prese le mie gambe e le alzò, lasciando che circondassero il suo bacino, mi aggrappai a lui. Iniziò a baciarmi il collo, i seni, fece scivolare piano le sue mani sul mio corpo bagnato.
<Ti voglio.>
Dissi, ansimando.
<Sei sicura?>
<Non c’è nient’altro che vorrei in questo momento. Voglio essere tua.>
Delicatamente si lasciò scivolare dentro di me, ed io mi sentii completa. Sentii il male abbandonare il mio corpo, mentre iniziava a muoversi sicuro e veloce dentro di me.
Lo sentii ansimare vicino al mio orecchio, mi sentii piena di lui. Toccò i miei seni, strappandomi gemiti di piacere, baciò e mordicchiò la mia pelle sul collo, facendomi sentire al culmine del piacere.
<Sei mia.>
Sussurrò.
<Dillo, dì che sei mia Aly.>
Mi sentii ormai sopraffatta, inondata dal piacere.
<Sono tua.>
Si mosse ancora veloce dentro di me ed io mi lasciai sopraffare da quelle sensazioni, da quel piacere dolce. Lui si lasciò cadere su di me, poggiando la testa sulla mia spalla, anche lui al culmine del suo piacere.
<Sei la cosa migliore che potesse capitami.>
Disse, ansimando ancora. Sorrisi e lo baciai sulla testa, desiderando che durasse per sempre.

Come amano le stelleWhere stories live. Discover now