Le luci della città

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Era sabato pomeriggio, me ne stavo seduta in giardino a lasciarmi coccolare dai caldi raggi del sole mentre sorseggiavo la mia limonata ed aspettavo Ellie.
L’avevo invitata per raccontarle ciò che era successo con Mr. Antipatia, io ci avevo riflettuto di continuo negli ultimi giorni ma non ero riuscita a prendere una decisione. Alla fine pensai fosse meglio parlarne con lei, in fin dei conti era la diretta interessata.
Nel frattempo Noah giocava con un amico di scuola che aveva invitato, giocavano a nascondino e Noah non faceva altro che barare, mi faceva così ridere. Anch’io ero così da piccola, ero competitiva, baravo per vincere, non mi è mai piaciuto perdere.
Quando arrivò Ellie passammo un po' di tempo a guardarli, ricordando quando eravamo al loro posto. Due piccole pesti che giocavano, io baravo, lei barava. Finivamo sempre per litigare.
Dopo un po',impaziente, mi chiese di raccontarle tutto, ed io l’accontentai.
<Aly non sono mica una bambina, non ho bisogno della babysitter, so stare lontana dai guai.>
<Lo so Ellie, ma io...>
<Infatti, lo sai, per questo mi stupisce che tu mi stia chiedendo se ho bisogno di te che mi tieni d’occhio ad una festa. Forse l’unica a cui dovresti porre delle domande sei proprio tu. Tu vuoi andare a quella festa?>
La sua domanda confuse le mie idee, finora avevo solo pensato di doverlo fare per lei, non mi ero chiesta se volessi farlo ma se dovevo farlo.
Iniziai a porre quella domanda a me stessa mentre continuavo a guardare Noah giocare, e all’improvviso tutto fu più chiaro.
Come da bambina quando giocavo con Ellie, a me non piaceva perdere, mai.
E quello per lui era un gioco, mi aveva sfidata, ed io non volevo perdere.
<Passo a prenderti alle nove.>
Ellie mi sorrise.
<Inizia a piacermi questa te così ribelle.>
Scoppiammo a ridere entrambe, ci versammo altra limonata e iniziammo a pensare a cosa avremmo indossato.
Più tardi, chiamai nonna Anna per chiederle se poteva pensare lei a Noah e papà anche quella sera.
<Certo tesoro, verremo io e il nonno. Sono felice che finalmente esci un po', ma non sarà che c’è qualche bel ragazzo di mezzo?>
<Nonna sai bene che non mi interessano queste cose, voglio solo passare più tempo con Ellie.>
<A tutte le ragazze della tua età interessano queste cose, non sei mica diversa dalle altre.>
Lo ero invece, io ero diversa dalle altre. Le altre non dovevano mandare avanti una casa, una famiglia. Non dovevano occuparsi di un bambino di sei anni che faceva i capricci o di un padre con una malattia mentale, le altre avevano una mamma. Io ero diversa, io non avevo tempo per innamorarmi e non lo volevo neanche. L’amore è anche sofferenza ed io non volevo più soffrire.

Quella sera vestirmi risultò più difficile senza Ellie, ero rimasta un’ora seduta sul letto a fissare il mio armadio, nulla mi sembrava adatto ad una festa dato che avevo per lo più jeans, pantaloni della tuta e t-shirt.
<Vuoi una mano tesoro?>
Nonna Anna si vestiva molto bene, ma era abbastanza avanti con l’età per sapere cosa si indossava alle feste al giorno d’oggi.
<Non credo ci sia molto da fare nonna, non ho nulla di adatto a una festa, io non vado mai alle feste.>
Lei si fermò un attimo, come a riflettere.
<Sai, forse so dove possiamo trovare qualcosa che potrebbe andare bene, aspettami qui.>
Dieci minuti più tardi si affacciò dalla porta della mia stanza.
<Chiudi gli occhi.>
Lo feci, ridendo, immaginando che mi avesse portato uno dei suoi vestiti da signora che teneva chissà dove in casa mia.
<Apri.>
Quando aprii gli occhi la vidi sorridere quasi con le lacrime agli occhi mentre reggeva in alto un meraviglioso vestito rosso.
<È stupendo, ma dove l’hai preso?>
<Era di tua madre. Ricordo perfettamente che lo indossò per andare ad una festa con tuo padre prima che tu nascessi.>
Scese qualche lacrima anche dai miei occhi, ma non erano lacrime di tristezza.
Da quando mamma non c’era più cercavo di vivere per due, come se lei fosse sempre con me, come se vivesse attraverso me. Indossare quel vestito significava avere un pezzetto di lei con me quella sera, era come sentirla più vicina.
Lo indossai alternando momenti in cui piangevo ad altri un cui sorridevo orgogliosa.
Il vestito mi calzava alla perfezione, come se mi fosse stato cucito addosso. Aveva un’ampia scollatura e non mi dispiaceva affatto, era aderente, disegnava le mie forme e le risaltava. Era meraviglioso. Se volevo vincere quel gioco, dovevo giocare bene le mie carte.
Senza Ellie ad acconciarmi i capelli decisi di lasciarli sciolti, pur sapendo che me ne sarei presto pentita dato che erano fastidiosamente lunghi. Misi un po' di ombretto, un po' di mascara ed il mio gloss preferito. Pronta.
Quando scesi a salutare tutti, anche gli occhi di papà si appannarono di pianto vedendo il vestito. Pensai che probabilmente doveva riportargli alla mente tanti ricordi e mi sentii in colpa per questo.
Si avvicinò senza dire niente, fissando il vestito, poi mi abbracciò.
<Ha ancora il suo profumo.>
A quel punto anch’io iniziai a piangere, ero così concentrata a prepararmi che non mi ero resa conto che profumava ancora di lei. Dopo tutto quel tempo, sentivo di nuovo quel profumo, ce l’avevo addosso. Profumo di casa.
<Sei così bella scimmietta, proprio come tua madre.>
Sospirai, cercando di calmarmi e smettere di piangere, ma era molto difficile dato che ormai piangevano tutti, nonno compreso.
<Basta lacrime, vai e divertiti, ti voglio bene.>
Dopo queste parole di papà praticamente mi cacciarono di casa, forse avevano intuito che stavo già iniziando a ripensarci.

La festa era in spiaggia, il bel tempo di Maggio ed i vari falò accesi qua e là creavano un’atmosfera da sogno. Rimasi incantata per un attimo, pentendomi di non aver mai partecipato prima ad una festa del genere.
<Vuoi bere o cercare il tuo bello?>
<Non è il mio bello.>
Ellie rise, notando la mia espressione quasi offesa.
<Resta il fatto che sia bello.>
Risi anch’io, spintonandola in modo scherzoso.
<Decisamente bere, comunque.>
Arrivammo al bar a fatica, facendoci largo tra la gente che ballava, già ubriaca. Dopo la festa precedente mi ero ripromessa di non bere di nuovo, ma non avrei mai potuto affrontare quella serata senza farlo, raccomandai a me stessa di farlo con contegno questa volta.
Dopo il primo drink Ellie era già a ballare tra la folla, eravamo riuscite a trovare Liam e lei mi aveva già abbandonata. La guardavo ballare e la invidiavo, io non riuscivo ad essere come lei, per quanto lo volessi, io non riuscivo a lasciarmi andare così facilmente.
Mentre ero lì da sola a guardare tutti divertirsi mi domandai cosa ci facessi lì, quello non era il mio posto. Mi sentivo così sbagliata, così diversa. Tutti ballavano, cantavano, perché io no? Io non ci riuscivo, io volevo solo andarmene da lì.
All’improvviso una mano accarezzò il mio fianco, un’altra spostò i miei capelli e delle labbra si avvicinarono al mio orecchio.
<Allora sei venuta stellina, ne ero sicuro.>
Mi allontanai di scatto, voltandomi. Il mio cuore iniziò a scalpitare, sentivo ancora il calore di quella mano sul mio fianco, mi sentii avvampare.
<Non sono venuta per te.>
<No? Allora per chi?>
Girò lo sguardo verso Ellie che ballava con Liam, vicini, sul punto di baciarsi.
<Per lei? Non si direbbe.>
Iniziavo ad agitarmi, ad arrabbiarmi. Poi mi ricordai che era il suo gioco, un gioco che volevo vincere io. Pensava che fossi lì per lui, pensava probabilmente che sarebbe riuscito a portarmi a letto, potevo usare tutto questo a mio vantaggio.
<Offrimi da bere.>
Lo guardai, stavolta ero io a stuzzicarlo, il mio sguardo non traspariva nessuna emozione. Anche lui rimase a fissarmi per un attimo, poi sorrise.
<Vieni.>
Un secondo drink non mi avrebbe ridotta male, sarei rimasta concentrata, manipolando la sua mente fino a convincerlo del fatto che non mi avrebbe mai avuta.
<Io offro, io scelgo.>
<Cosa? Che dovrebbe significare?>
<Che scelgo io cosa berrai, altrimenti puoi prendertelo da sola.>
Cavolo, nella mia vita non avevo assaggiato una gran quantità di alcolici, perciò le possibilità erano due:
- Trovavo qualcosa di buono da bere.
- Trovavo qualcosa di orribile che mi portava a vomitare davanti a tutti, facendo una figuraccia.
Ma non potevo rifiutare e mostrarmi debole.
<D’accordo.>
Lo aspettai poco lontano dal bar, mentre ordinava mi fissava, sorridendo. Vidi il Bar Man versare il contenuto di almeno cinque bottiglie in un bicchiere, sperai che quel bicchiere non fosse il mio.
Me lo porse continuando a sorridere, aspettando che io assaggiassi per vedere la mia reazione. Quando presi il primo sorso la gola mi bruciò, fui costretta a chiudere gli occhi e a sforzarmi per mandarlo giù. Il sapore dell’alcol lasciò spazio ad un retrogusto dolciastro, fragola!
Era buono, ma era forte, troppo forte.
Restammo in silenzio a bere quei drink, mi fissava, probabilmente aspettando un mio segno di cedimento. Non arrivò, ovviamente. Finii il mio bicchiere in tempo record, stupendo anche me stessa. Dopo qualche minuto però iniziò già a farmi effetto, la testa mi girava, sentivo lo stomaco sotto sopra. Per evitare di pensare agli effetti dell’alcol decisi di ballare, dopo quel drink potevo farcela.
Lo guardai dritto negli occhi, sorridendo mentre legavo i capelli in uno chignon.
<Vuoi ballare?>
<Io non ballo.>
<Allora che fai alle feste, Mr. Antipatia?>
Si avvinò a me, io arretrai, ma mi cinse la vita con un braccio e velocemente mi avvicinò a sé.
<Di solito preferisco guardare.>
Disse, puntando i suoi occhi nei miei, io rimasi immobile, incapace di muovermi. Poi mi ricordai perché fossi lì, cosa dovevo fare con lui. Dovevo giocare.
<Bene, allora guarda.>
Mi liberai dalla sua presa e mi avviai verso Ellie, pronta a dargli qualcosa per cui valeva la pena guardare.
Iniziai a ballare con Ellie, dando le spalle ai suoi occhi verdi che seguivano ogni mio passo. Ballavo, libera, sexy, lo sfidavo ancora una volta. Io non sarei mai stata di nessuno, non sarei mai stata sua, l’avrebbe capito ben presto.
D’improvviso mi sentii spintonare, subito dopo una bevanda fredda mi cadde addosso, macchiando il vestito della mamma. Era stata Ellie, urtandomi mi aveva versato addosso il suo drink.
<Cazzo, Ellie!>
<Scusa amica, non mi ero accorta fossi lì, sono troppo ubriaca.>
Rise, cercando di pulire il vestito con la camicia di Liam, ubriaco a sua volta.
<Lascia perdere Ellie, ormai non verrà più via.>
<Beh, non importa, tanto non era un granché. Te ne comprerò uno più bello, promesso.>
Rise un’altra volta, mentre la mia rabbia cresceva.
Era il vestito della mamma ed io l’avevo rovinato, non avrebbe più avuto il suo profumo, si sarebbe sentita solo la puzza di vodka. Non avrei dovuto metterlo per andare ad una stupida festa.
I miei occhi si riempirono di lacrime, il senso di colpa mi invase.
<Dio Aly, rilassati. Non vorrai piangere per uno stupido vestito.>
La fulminai con lo sguardo, la odiai per ciò che aveva fatto, ma odiai ancor di più me stessa per essere andata a quella festa.
<Non è uno stupido vestito.>
Me ne andai, camminando mentre le lacrime scendevano, lasciando che la musica diventasse sempre più lontana, fino a non sentirla più.
Mi allontanai il più possibile dalla festa, camminando mentre la sabbia mi entrava nelle scarpe e mi solleticava i piedi. Le lacrime mi accarezzavano le guance, gli occhi mi bruciavano. Sentivo un vuoto dentro, mi sentivo in colpa per aver rovinato il vestito della mamma, per aver lasciato che il suo profumo sparisse. Mi sentivo arrabbiata, con me stessa, con Ellie. Lei sapeva che il vestito era della mamma, glie l'avevo raccontato mentre andavamo alla festa, sapeva cosa significava per me, sapeva che mi lasciavo abbracciare dal profumo che ci era rimasto. Allora perché aveva parlato così? Perché si era comportata come se io fossi una stupida, come se quello fosse solo un pezzo di stoffa. 
Mi lasciai cadere sulla sabbia, avvicinando le ginocchia al petto, guardando la luna che toccava appena l’oceano. Volevo rimanere sola, assaporare quel mio dolore, concedermi quelle lacrime che non lasciavo scendere da un po'.
<Tutto bene?>
Una sagoma, a pochi passi da me. Riuscivo a malapena a vedergli il viso, c’era troppo buio, ma due occhi verdi brillavano sotto la luce della luna.
<Ti prego vattene, non ho più voglia di giocare.>
<Chi è che sta giocando?>
Si sedette accanto a me, con gli occhi persi a guardare l’oceano, come i miei.
Non volevo nessuno con me in quel momento, tanto meno lui, non volevo più giocare, e soprattutto non volevo che vedesse la parte fragile di me.
<È un vestito a cui sei particolarmente affezionata?>
<Non ho voglia di parlare con te del mio vestito.>
<Io però ho voglia di far sparire quelle lacrime, qualche altro suggerimento su come possa fare?>
Adesso mi guardava, accennando un sorriso, ed io sentii il bisogno di alleggerirmi il cuore.
<Era di mia madre, lei è….lei è..>
<Sicuramente fiera di te.>
Non ero mai riuscita a dire la parola “morta” quando ne parlavo, ma di solito la gente la diceva al posto mio o faceva di tutto per farmela pronunciare. Io non volevo neanche sentirla.
Mi fece sorridere quel suo modo di fare, quel suo modo di completare la mia frase senza utilizzare quella parola, senza farmene sentire il peso.
<Vuoi vedere una cosa?>
Disse, guardandomi fiero.
<Cosa?>
<Vieni e lo vedrai.>
Disse, alzandosi in piedi e porgendomi la mano.
Volevo andarmene da lì, ma non volevo tornare a casa, non volevo togliermi il vestito e guardare in faccia la realtà. Sarei finita a piangere mentre lo stringevo, avevo bisogno di non pensarci, almeno per un po'.
Sapevo che era sbagliato andare via senza avvisare Ellie, dato che avrei dovuto riaccompagnarla a casa. Ma lei non mi aveva neanche telefonato da quando mi ero allontanata dalla festa perciò decisi che poteva trovare da sola un passaggio.
<Che fai?>
Disse, mentre aprivo la portiera dell’auto e mi ci ero già seduta dentro.
<Non salirò in auto con te a darti indicazioni come Google Maps. Guido io.>
<Okay, dov’è la tua auto?>
<Io non ho un’auto stellina, io ho quella.>
Mi girai a guardare il punto in cui stava indicando e vidi una moto. Una grossa moto. Di quelle che vanno molto veloci. Troppo veloci.
<Stai scherzando spero, io lì non ci salgo.>
<Ci salirai e ti piacerà anche tanto.>
<Io ho…>
<Non avrai mica paura?>
Mi guardava, sorridendo, ridendo di me.
Gli sorrisi a mia volta, non l’avrei lascito vincere.
<Non ho paura.>
In realtà morivo di paura.
<Bene, prendi il casco allora.>
Il casco mi stava enorme, mi tremavano appena le mani al pensiero di dover salire su quella moto, ma non potevo farglielo notare.
Salii cercando di non aggrapparmi a lui, cercando di rimanergli più lontana possibile.
<Devi tenerti, altrimenti cadrai.>
<E dove dovrei tenermi? Non c’è niente qui.>
Mi prese le mani e le avvicinò al suo petto, mi ritrovai abbracciata a lui.
<Ti conviene reggerti forte però.>
Non aumentai la presa, rimasi con le mani leggermente adagiate su di lui, in attesa che partisse. Quando lo fece venni spinta all’indietro e fui costretta a stringerlo più forte per non cadere. Sapevo che stava sorridendo, anche se non potevo vederlo.
All’inizio fui sollevata rendendomi conto che andare in moto non era così spaventoso come credevo, poi però iniziammo ad andare più veloci e a sorpassare un auto dopo l’altra. Ad ogni curva mi sembrava di poter toccare l’asfalto, sentivo la moto piegarsi sotto di me. Avrei voluto dirgli di fermarsi e di farmi scendere, morivo di paura, sentivo il cuore in gola. Ma non potevo cedere, non potevo dargli modo di ridere di me, dovevo fingere di non avere paura di niente. Chiusi gli occhi e mi strinsi più forte a lui, lasciando che i nostri corpi si incastrassero alla perfezione. Nascosi il viso dietro la sua schiena per non sentire il vento freddo sulle guance e sperai di arrivare presto a destinazione.
<Puoi mollare la presa stellina, siamo arrivati.>
Scesi dalla moto reggendomi sulle sue spalle, toccando per terra le mie gambe iniziarono a tremare e la schiena mi faceva male, probabilmente colpa della posizione scomoda sulla moto. Mi tolsi il casco e glielo passai, guardandomi intorno, senza vedere nulla per cui valeva la pena rischiare la morte su quella stupida moto.
<Beh quindi? Volevi farmi vedere questo?Qualche albero.>
<Guardi dalla parte sbagliata.>
Rimasi interdetta per un attimo, senza capire cosa volesse dire, poi capii che stavo dando le spalle a ciò che voleva mostrarmi.
Quando mi voltai rimasi senza fiato. Sotto di noi la città brillava. Luci di edifici e auto, di distributori di benzina, di centri commerciali. Nell’oscurità della notte, sembrava un cielo pieno di stelle. Eravamo così in alto che sembrava che la città si inchinasse a noi, era un gigantesco tappeto di puntini luminosi. Non si sentiva neanche un rumore, regnava la pace, c’eravamo solo noi.
<Come conosci questo posto?>
<Ci venivo da piccolo con mia madre.>
Notai nella sua voce un pizzico di malinconia, per la madre o forse per l’essere bambino.
<Ci vieni spesso?>
<L’ultima volta avevo dieci anni.>
Sorrise.
<Come mai hai deciso di tornarci di nuovo proprio stasera e di portarci anche me?>
Rimase zitto per un attimo, pensai di aver fatto la domanda sbagliata, inappropriata forse.
<Perché tu stavi piangendo, mia madre mi portava sempre qui quando ero triste.>
Tornò la malinconia nei suoi occhi, mi domandai se magari anche la sua di mamma non c’era più, visto il modo in cui ne parlava, ma preferii non chiedere.
Restammo per un po' in silenzio a guardare le luci, io mi sentivo già meglio, non pensavo più al disastro di quella sera, si poteva sistemare tutto. Gli fui silenziosamente grata per ciò che aveva fatto per me, forse in fondo, non era così male come pensavo, forse potevamo essere amici.
Nella strada del ritorno non avevo più paura della moto, mi fidavo di lui. Rimasi con gli occhi aperti, guardando le luci farsi sempre più piccole fino a sparire dietro di noi.
Mi strinsi forte a lui, appoggiandogli la testa sulla schiena, ero stanca, ma ero felice.
Più tardi, quella sera, tornata a casa feci una lunga doccia. Lasciai il vestito sulla sedia della mia camera, avrei cercato domani un modo per ripulirlo.
Non riuscivo a dormire, passai forse ore a girarmi e rigirarmi nel letto.
La mia testa non faceva che ripensare a quel momento, a quel singolo attimo in cui c’eravamo stati solo noi e migliaia di lucine tremolanti. Ripensavo a quegli occhi verdi, a come li avevo visti diversi, a quante cose ero riuscita a leggerci dentro senza bisogno di parlare. Potevamo essere amici, volevo esserlo. In quel momento, con quel gesto, mi aveva regalato una pace che non avevo da un po'. Poteva arricchirmi, poteva aiutarmi a vedere le cose sotto un altro punto di vista. Attraverso bellissimi occhi verdi.

Come amano le stelleWhere stories live. Discover now