Proteggi il tuo cuore

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<Pronto a fingere?>
<Sempre.>
Io e Dylan camminavamo mano nella mano verso il luna park, Ellie ed il resto del gruppo avevano organizzato questa serata all’insegna del divertimento.
Io, come sempre, avevo titubato. Lui, come sempre, mi aveva convinta.
<Non so come hai fatto a convincermi.>
<Tutta colpa del mio fascino.>
Gli diedi un colpetto scherzoso sul braccio, sorridemmo entrambi come due bambini, poi mi incantai di fronte l’entrata del luna park.
Non c’ero mai stata, almeno non di recente, probabilmente da bambina i miei mi ci avevano portata. Davanti a me un enorme cancello rappresentava l’ingresso del paradiso di ogni bambino, giostre alte come grattacieli, luci, musica, zucchero filato, sorrisi. Tanti sorrisi. Tutti lì dentro sorridevano, come se nell’aria fosse presente una sostanza che distribuiva felicità.
Mi ritrovai subito invidiosa e desiderosa di entrare, per costatare se funzionasse anche su di me, se fosse in grado di far sorridere anche me in quel modo.
<Pronta?>
Mi si allargò un sorriso da orecchio a orecchio.
<Pronta.>
Avanzai di un passo, poi il peso del nostro segreto mi piombò addosso.
<Dylan...>
<Si, stellina?>
<Affinché la nostra relazione segreta resti tale, sarebbe meglio se lasciassi andare la mia mano.>
Guardò in basso, verso le nostre mani ancora strette l’una all’altra, sorrise e poi mi lasciò andare.
Avrei voluto che non fosse così, avrei voluto girare per quel luna park tenendo la sua mano stretta alla mia, avrei voluto nascondere il viso sul suo petto ogni volta che una giostra era troppo paurosa per me, dividere lo zucchero filato, o lasciargli vincere un peluche per me. Ma non potevo, non ancora, non sapevo perché. Avrei voluto fidarmi, avrei voluto credere in noi, in lui. Ma avevo ancora paura di essere ferita, e non volevo spettatori ad assistere alla mia eventuale distruzione.
Fingemmo di arrivare da due lati opposti quando incontrammo il resto del gruppo.
Mi piaceva quel gruppo, mi piacevano quelle persone, e mi piaceva poter dire che forse, finalmente, avevo anch’io degli amici.
<Andiamo alla casa stregata!>
Disse Ivy mentre cercavamo di decidere da che attrazione cominciare.
<Moriresti di paura.>
La stuzzicò Teddy, lei gli diede uno schiaffo leggero sul braccio accennando un sorriso.
<Andiamo sul Big Ben, ho sentito che è da paura!>
Propose Liam.
<Sei impazzito? Sai che soffro di vertigini.>
Vanessa incrociò le braccia al petto dopo aver rifiutato la proposta.
<Puoi sempre andare a prendere gli hot dog per tutti mentre noi ti guardiamo da lassù.>
Le suggerì Phil.
<Puoi sempre prendertelo da solo il tuo hot dog.>
Ribatté lei.
Mentre i miei amici continuavano a discutere, mi accorsi che Dylan non era tra noi, mi guardai intono per cercarlo e lo scorsi poco lontano.
Parlava al telefono e sembrava piuttosto infastidito dalla telefonata, sembrava parlare ad alta voce ma non riuscivo a sentirlo per via della lontananza e del baccano del parco. Camminava avanti e indietro e si passava la mano tra i capelli, ormai avevo capito che quel gesto significava che era arrabbiato.
Mi girai di nuovo verso il gruppo, quando saremmo stati soli più tardi forse me ne avrebbe parlato, non volevo spiarlo.
<Scusate il ritardo.>
Una voce dietro Ivy e Vanessa parlò, ed io capii di chi si trattava ancor prima che le due creassero un varco tra di loro.
Gli altri salutarono Alex, ma io non parlai, sentendomi i suoi occhi addosso il mio corpo già tremava. Ero così concentrata a regolare il mio battito cardiaco, che non notai Dylan che nel frattempo era apparso accanto a me e lo stava fulminando con lo sguardo.
Uno sguardo che urlava disprezzo, odio, ed io avrei tanto voluto prendergli la mano.
<Io devo andare.>
Disse dopo minuti di silenzio, lo sguardo ancora fisso su di lui.
<Cos’ha di meglio da fare il nostro Dylan stasera? Un’altra ragazza da sedurre e abbandonare?>
Le parole di Liam mi fecero tremare il cuore per un attimo.
<Ho delle questioni da risolvere, ci vediamo.>
Se ne andò senza degnarmi di uno sguardo. Avrei voluto fermarlo per chiedergli di non lasciarmi lì, non con Alex intorno, ma non potevo.
La mia serata diventò cupa, la passai a rifiutare tutti gli inviti dei miei amici e a domandarmi come mai se ne fosse andato così all’improvviso.
Mentre gli altri salivano e scendevano dalle innumerevoli attrazioni, io mi ritrovai a guardarli mentre si divertivano, come una spettatrice senza voce.
<Tutto okay?>
Presa dai miei pensieri, non mi ero accorta che Alex non era salito con gli altri sulla giostra, era invece rimasto accanto a me a guardarli.
Trasalii quando mi resi conto della sua vicinanza e del fatto che eravamo soli.
<Anche se non fosse okay non ne parlerei con te.>
Dissi acida.
<Voglio solo esserti amico Aly.>
Mi girai a guardarlo e trovai i suoi occhi già su di me.
<Io però non voglio la tua amicizia, non voglio niente da te.>
Si girò a guardare la giostra, sconfitto, ed io feci lo stesso.
<Sono sempre stato bravo a leggerti.>
Mi rigirai nuovamente a guardarlo, in attesa che proseguisse la frase, lui guardava ancora in alto. Vidi malinconia nel suo sguardo, senso di colpa, pentimento.
<Lo vedo dai tuoi occhi che qualcosa non va. Capisco che non vuoi parlarne con me, ma so anche che crei il buio attorno a te quando non stai bene.>
<Non sai proprio niente di me.>
Si girò anche lui, senza che lo volessi ci ritrovammo a guardarci negli occhi, ed io mi sentii come se il tempo non fosse mai passato, come se lui non fosse mai passato.
<So che scappi da tutti quando sei triste, ti allontani, per proteggerti. So che non ti piace mostrarti vulnerabile e per questo non parli con nessuno anche quando dentro di te tutto va in pezzi.>
Mi rigirai senza dire una parola, mentre il mio battito accelerava. Alex mi conosceva davvero meglio di chiunque altro, ed io questo non potevo cancellarlo.
<Non serve che reciti la parte di quella forte Aly, conoscere il dolore è una virtù, non un difetto. La tua fragilità è la parte più bella di te, la parte che più amavo.>
Non parlai, e così fece anche lui, quella conversazione si concluse lì. Era un insieme di parole non dette e sentimenti che nonostante il tempo non erano mai svaniti.
Ma lui era una pagina nera del mio libro, ed io non avevo intenzione di rileggerla. Forse mi aveva amata, è vero, ma non l’aveva mai fatto nel modo giusto.
Tornai a casa poco dopo, con la testa che rimbombava, volevo solo chiamare Dylan per sapere se stava bene.
Ma quando aprii la porta di casa mia, il mondo crollò, un’altra volta. Tutto andò in pezzi, il mio cuore, la mia anima, tutta me stessa.
Papà era infondo alle scale con una grossa valigia ai suoi piedi, Noah piangeva stretto tra le braccia della nonna che lo rassicurava con futili parole di conforto.
<Che succede?>
Dissi con gli occhi sgranati e le mani che tremavano. Papà si avvicinò a me con un lieve sorriso, gli occhi lucidi, le mani che cercavano le mie.
<È la cosa giusta da fare scimmietta.>
<Cosa? Cos’è la cosa giusta da fare?>
La consapevolezza si fece spazio tra i miei pensieri, sapevo cosa stava succedendo, lo sapevo benissimo.
<Ho bisogno di aiuto.>
Papà mi prese le mani e le avvicinò al suo cuore.
<Ti prego di comprendere.>
<No!>
Sbottai allontanandomi da lui.
<No! No! No!>
Le lacrime mi bagnavano già le guance rosse dalla rabbia.
<Io posso aiutarti, io sono tutto l’aiuto che ti serve.>
<Questa cosa è più grande di te bambina mia.>
<No io...io posso gestirlo...io...>
I singhiozzi mi fecero balbettare.
<No piccola, tu devi vivere.>
Vivere. Come avrei potuto? La mamma non c’era più e adesso lui voleva tornare in quel posto. Voleva tornare a quelle urla, ai colori spenti, agli occhi tristi.
<Non sarà per sempre tesoro.>
Nonna Anna si intromise ma io già non sentivo più niente.
<Deve andare così scimmietta, è la cosa giusta. Ti prego lasciami provare, quando tornerò starò meglio.>
Non volevo che tornasse lì, non volevo lasciarlo andare, ma capii in fretta che non potevo fare niente per impedirglielo.
Mi girai ed iniziai a correre.
Superai la porta d’ingresso e mi ritrovai all’aria aperta, sotto una pioggia leggera.
Corsi più veloce che potevo finché smisi di sentire le voci dei miei familiari che urlavano il mio nome. Non mi fermai neanche quando la pioggia diventò più forte e mi bagnò i capelli e i vestiti, neppure quando smisi di distinguere le gocce d’acqua dalle mie lacrime.
Non volevo tutto questo, non volevo questa vita. Non volevo lasciarlo andare.
Volevo essere io la sua cura, non quel posto senza colori. Lui non meritava questo, meritava solo amore, ed io potevo darglielo. Io potevo guarirlo, se solo lui me l’avesse lasciato fare, se solo si fosse fidato di me.
Corsi fino al dormitorio di Dylan, solo lui avrebbe potuto curare le mie ferite, solo lui poteva aiutarmi, era solo lui che volevo.
Arrivai davanti la sua porta lasciando impronte d’acqua per tutti i corridoi, i miei capelli gocciolavano, i miei vestiti erano zuppi, gli occhi mi bruciavano per via della pioggia e delle lacrime. Mi sentivo un fantasma, come se non sapessi più chi ero o da dove venivo. Sapevo però, che lui era l’unico in grado di ricucire la voragine che si era appena riaperta nel mio petto.
Bussai alla porta tra i singhiozzi, tremante per il freddo e per lo shock.
Volevo solo una doccia calda e un suo abbraccio, poi tutto sarebbe andato al suo posto, poi avrei trovato un modo per affrontare tutto questo.
Aprì la porta con un grosso sorriso che però svanì non appena osservò le mie condizioni.
<Aly...cos’è successo?>
Crollai in ginocchio, esausta, lui mi segui sul pavimento prendendo il mio viso fra le mani, lo sguardo preoccupato.
<Piccola...cos’è successo...dimmelo...>
Non riuscivo a parlare, non riuscivo neppure a respirare tra i singhiozzi.
<Ehi D, tutto okay?>
Una voce femminile parlò da dentro la stanza, poi una ragazza sbucò dall’ombra, in piedi dietro di lui, ad osservare la mia disperazione.
Il mio cuore smise definitivamente di battere, io cessai di esistere.
La questione di cui doveva occuparsi Dylan era una ragazza, ed era una delle più belle che avessi mai visto.
Io invece ero in ginocchio sul pavimento, con il cuore a pezzi in bella vista, patetica, ridicola, stupida.
Forse mi sbagliavo, lui non sarebbe stato la mia cura.
Forse, avevo sbagliato tutto.
Dal profondo del mio cuore, una voce iniziò ad urlare.
Corri.
Diceva.
Proteggi il tuo cuore.

Come amano le stelleWhere stories live. Discover now