Scritto nelle stelle

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Erano le quattro e quindici di quella notte, la stessa notte in cui tutte le mie speranze di poter vivere una storia d’amore felice erano svanite. Erano le quattro e quindici, ed io non avevo chiuso occhio. Me ne stavo lì, distesa sul mio letto a fissare il soffitto. Le mani giunte in grembo, il cuore spento, gli occhi stanchi, la testa altrove. Eppure non riuscivo a versare una lacrima, non riuscivo neppure a capire come mi sentissi. Era come se tutte le mie emozioni se ne fossero andate via con lui. Pensavo a lui, a noi. Pensavo al futuro che avevo immaginato e desiderato, ma che ora non ci sarebbe stato più. Io l’amavo, ero ancora certa di questo, il mio cuore era ancora suo. Ma se l’avessi perdonato, se avessi lasciato cadere questo avvenimento nel dimenticatoio, se avessi lasciato correre, accantonato, probabilmente avrei commesso lo stesso errore che avevo commesso con Alex.
“Dylan è diverso” mi dicevo, il mio cuore lo diceva, ed io sentivo che era vero. Ma qualcos’altro dentro di me mi diceva di essere razionale stavolta. Non potevo perdonare o lasciar correre, non potevo rischiare di ricadere un’altra volta in un amore che faceva solo male.
Quando si fece giorno mi alzai dal letto lasciandomi alle spalle l’ennesima notte insonne piena di dubbi e paure. Era domenica, perciò non avevo nessun tipo di programma per la giornata, mi promisi di pensare a papà quel giorno. Forse le cose con Dylan non si sarebbero mai sistemate, ma con papà non avrei mai mollato, avrei sempre lottato con le unghie e con i denti per riportarlo a vivere, riportarlo da me.
Dopo aver fatto colazione, prima che Noah si svegliasse, passai dalla camera di papà. Era ancora buio lì dentro, lui se ne stava rannicchiato sotto le coperte, il viso affondato nel cuscino, dormiva ancora. Lo guardai per un po', poi ripensai ad una cosa che facevo sempre da piccola, e che mi era tornata in mente grazie a Noah.
Da bambina credevo che il mio amore sarebbe bastato a far stare meglio papà, credevo che se mi avesse sentita vicina, se avesse sentito che lo amavo, sarebbe uscito da quel tunnel buio. Perciò mi intrufolavo spesso nel suo letto, mi sdraiavo dietro di lui e l’abbracciavo. La maggior parte delle volte non se ne accorgeva neppure, rimanevo lì finché la mamma non mi trovava. L’abbracciavo immaginando che al suo risveglio, trovandomi lì stretta a lui, si sarebbe sentito amato, e che questo lo spronasse a risvegliarsi da quell’incubo. Questo però non succedeva mai, non cambiava mai niente dopo, lui era sempre lo stesso, il mostro era ancora nella sua testa. Perciò poi, con il tempo, capii che era inutile e smisi di farlo.
Quella mattina però avevo voglia di sentirmi ancora bambina, o forse avevo solo bisogno di sentire il calore di mio padre. Mi infilai nel suo letto, mi sdraiai dietro di lui, e l’abbracciai. Forse, in quella circostanza, quell’abbraccio era più per me che per lui. Rimasi lì qualche minuto, assaporando il suo profumo, il calore del suo corpo stretto al mio, e mi sentii meglio. Come se fossi appena tornata a casa dopo una lunga giornata.
<Ciao scimmietta.>
Era sveglio.
<Ciao papà.>
<Qualcosa non va?>
Improvvisamente una piccola fiamma si riaccese nel mio cuore, seppur per qualche minuto, lo sentii di nuovo battere.
<No, va tutto bene.>
<Allora che ci fai qui?>
Non volevo più essere forte, non in quel momento, per un attimo, volevo concedermi di essere fragile.
<Mi mancavi.>
Dissi, e la mia voce tremò appena. Lui non rispose, non fiatò, non si mosse. Ma percepivo il suo cuore tremare, così come il mio.
<Ti voglio bene bambina mia.>
Disse poi, dopo un lungo silenzio.
<Anch’io papà.>
<Quanto?>
Ed eccola lì, un’altra scintilla, un altro battito. Quello era il mio papà, lo sapevo perché mi aveva appena detto una cosa che ci dicevamo quando ero bambina, quando non conoscevo ancora i numeri e non sapevo quantificare il mio amore per lui.
<Quanto le stelle.>
Risposi, sorridendo appena.
<E quante sono le stelle?>
Sorrisi ancora, era proprio lui.
<Infinito.>
<Perciò quanto bene mi vuoi Aly?>
<Infinito papà.>
Restammo lì in silenzio per un po', stretti l’uno all’altra, ed io tornai bambina. Ma non la bambina che vedeva ogni giorno il suo papà stare male, che lo vedeva sempre triste, assente. La bambina felice, quella con un papà e una mamma che la amano, quella a cui piacciono il gelato al cioccolato e le caramelle gommose. Quella a cui leggono la favola della buona notte e che poi chiude gli occhi, avvolta nella sua copertina rosa, e sogna un mondo magico. Un mondo in cui non esiste la paura, l’odio, la tristezza. Un mondo con le fate, gli elfi, le sirene. Un mondo in cui lei non conosce il dolore, in cui i suoi genitori sono insieme, felici, e che la tengono ancora per mano.

Come amano le stelleOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz