CAPITOLO 12 - PATER FAMILIAS

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Gli asciugai gli occhi, sperando almeno di calmarlo. «È stato un incidente, ne sono sicuro.»

«Vai via! Cosa non ti è chiaro di questa frase?»

«Quinto» mi sedetti al suo fianco «Sei mio amico.»

«Non è...» la frase gli morì in gola e lui affondò il viso nel mio petto, lasciandosi andare a un pianto disperato.

In quell'angolo si vedevano poco più che ombre, tuttavia, riuscii a scorgere le escoriazioni che il cane aveva sul collo. «Non ti sei accorto di aver stretto troppo la catena, vero?»

«Io... come... ehm... certo, certo» farfugliò lui.

«Vuoi dirmi che non è stato un incidente?»

Stavolta non rispose, ma iniziò a battere i denti.

«Quinto, ti prego» bisbigliai, sempre più impotente «Non rimanere in silenzio.»

«Per quale motivo? Perché tu abbia un argomento di conversazione con cui sembrare meno stupido?»

«No.»

«Non mi fido.»

Gli sollevai il viso per incrociare il suo sguardo e sussultai. Non avevo mai visto occhi simili, due abissi d'ira, inquietudine e terrore. Qualunque cosa fosse accaduta, era più grande di noi e, magari, non c'era nulla che potessi fare. Potevo solo scegliere di non ignorare un amico, anche se significava espormi per primo. «Non devi fidarti» esordii con un filo di voce «Facciamo uno scambio: ti svelerò un mio segreto, così, qualora non proteggessi a dovere il tuo, avrai un'arma da usare contro di me.»

Lui mi fissò confuso.

«C'è una ragione per cui m'intendo di magia» mentre parlavo, gli accarezzavo i capelli madidi di sudore «Percepisco immagini e suoni che al resto del mondo sfuggono. Talvolta sono segni da interpretare, talvolta visioni, talvolta addirittura spettri. Molti mi crederebbero un pazzo, ma quella notte, alla necropoli, ho scorto un'anima del Tartaro.»

«Sei... un mago?» Quinto tirò su col naso, sforzandosi di frenare il pianto «Come quelli che si nascondono dalla Legge?»

«Non credo, ma tu potresti sostenere il contrario, o dire che vaneggio riguardo ai lemures. E potresti anche confermare a tuo padre i suoi sospetti» forse, era quello il rischio maggiore: Cicerone avrebbe sfruttato ogni dettaglio del mio dono «Non so come, però, lui l'ha intuito fin da subito.»

«Mio padre...» mugugnò Quinto, abbassando lo sguardo sul cane «Non gli sfugge niente.»

Prima che dicesse altro, gli sfilai l'animale dalle braccia e cominciai a sistemarne il pelo. «Non temere» sussurrai con fare protettivo «Lui capirà. Ti conosco da oltre un anno, e non hai mai alzato un dito contro un essere vivente. Se è successo...»

«Non l'ho ucciso io!» sbottò all'improvviso.

Sgranai gli occhi e smisi di lisciare il pelo. «Tuo padre?»

Quinto annuì. «L'ha fatto di proposito» sospirò poco dopo «Pure lui è nato con... come chiami il tuo potere?»

Mi strinsi nelle spalle. «Dono?»

«Gran bel dono, essere quello strano che vede gli spettri!» provò a sorridere, ma le sue labbra si rifiutarono «Comunque, mio padre è nato... diverso. La sua mente era molto più acuta di quella degli altri bambini, acuta e popolata da mostri. Anche lo zio ha avuto qualche sporadica visione; però, lui scorgeva immagini positive e futuri rosei. A te i Campi Elisi e a me il Tartaro, gli dice spesso mio padre. La verità, è che ad abitare il Tartaro sono le persone che vivono sotto il suo stesso tetto, soprattutto mia madre». Ogni parola era accompagnata da una lacrima e, in breve, il suo pensiero volò lontano, ai mesi trascorsi in Cilicia.

Acheronta MoveboWhere stories live. Discover now