11 - Charlie

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Sono stato perlopiù nel dormiveglia. Il dolore mi scoppiava improvvisamente associato alle immagini dei colpi inflitti. Ogni istante è vivido nella mia testa come il dolore che sento. Sono stato rannicchiato piangendo nel mio letto per due interi giorni, oggi che è il terzo è venuta mamma. Entra in camera con un piatto di brodo caldo. Lo appoggia sul comodino accanto a letto. - Devi mangiare qualcosa - mi dice. Non sembra aver ancora bevuto oggi, non ha il tono di qualcuno che è arrabbiato con te come al solito. La guardo con gli occhi lucidi cercando di ritrovare nella donna davanti a me la mamma che mi manca un sacco. Lei allunga un braccio, trasalisco d'istinto, ma poi la sento accarezzarmi la faccia. Il punto che sta toccando mi fa tanto male. Non mi sono ancora visto allo specchio, ma dalla guancia e l'occhio che mi pulsano forte, immagino che uno dei colpi mi abbia preso lì. Fa malissimo, ma il suo tocco è delicato. Ridacchia. - Ti preferisco brutto così, sai - dice - il tuo faccino non è bello come il suo ora.

La continuo a guardare. Il fatto che mi preferisca in un modo significa che ha delle preferenze su di me, significa che mi considera ancora. Non voglio che finisca questo momento. I giorni dopo avermi punito in quel modo, l'atteggiamento della mamma diventa stranamente mite, mi parla quasi come faceva una volta, mi presta attenzione. Insomma, mi ha preparato da mangiare, non lo fa mai. - M-mamma - dico, con la voce che mi si incrina. È come se per poco tempo tornasse, potessi sentire quasi il suo calore. Desidero che il tempo si fermi e mi lasci questa madre. Per favore.

Mi sorride abbassandosi verso il mio letto. - Hai la febbre, prendi qualcosa dopo aver mangiato - si sta preoccupando per me, anche dopo averle rovinato la vita, anche dopo averla costretta a farla lavorare tantissime ore al giorno e vivere in questo posto orribile. Cosa aveva detto mentre mi colpiva? "Ti ho dato tutto e così mi ripaghi?" Già, ha sacrificato la sua vita per questo figlio nato fuori il matrimonio. Un errore. - Domani vai a scuola - aggiunge prima di allontanarsi da me. Allungo il braccio. Non voglio che vada via, non voglio che questa mamma mi lasci. Nessuna parola mi esce dalla bocca però. - Vado a lavoro.

- B-buon lavoro - le dico approfittando del momento. Mi tiro una manica. Quando all'inizio glielo dicevo col suo primo lavoro, quattro anni fa, lei mi abbracciava e mi augurava buona giornata. Ha smesso di farlo qualche mese dopo, quando è iniziato a diventare stancante. Mi manca da morire un suo abbraccio. È vicina la porta quando gira la faccia verso di me. Posso vedere lo sguardo vitreo che ha di nuovo preso posto sulla sua faccia.

- Non balbettare - la voce di nuovo fredda - lo sai che mi dà fastidio quando lo fai. - Mi faccio piccolo, non le chiedo neanche scusa perché so che lo rifarei. Annuisco appena e lei apre la porta. - Bene.

Quando la sento andare via, riesco a buttare giù la sua zuppa di verdura e funghi che mi ha portato. La cucina di mamma non ha niente a che fare con la mia. È buonissima. Anche un semplice piatto ha tutto un altro sapore. Nonostante mi impegni a cucinare ogni sera, il cibo mi esce sempre bruciato o crudo. A volte però la mamma lo mangia lo stesso. Vorrei mangiarne ancora per approfittare del fatto che abbia cucinato appositamente per me, ma mi sento troppo male per farlo. Mi gira la testa e mi sento bollente. Mi alzo traballante dal letto e mi trascino in cucina. Rovisto nel cassetto dei medicinali e mi prendo un antipiretico. Me ne torno a letto e dopo qualche ora mi sento meglio. Insomma, mi fanno ancora male i muscoli e in particolare il fianco destro, ma sto meglio.

Decido che devo agire ora, prima che ritorni la mamma. Mi cambio di vestiti e indosso una felpa scura. Mi guardo finalmente allo specchio e trasalisco per un attimo al mio riflesso. Ho una guancia gonfissima e l'occhio nero. Nessuna sorpresa che non riuscissi a muovere bene la bocca o vederci completamente con quell'occhio. Mi alzo il cappuccio in testa. La situazione non è migliorata. Cerco di tirarmelo più giù. Se tengo la testa bassa va meglio. Vado in soggiorno, apro la porta principale e sbircio il corridoio del nostro piano. Vuoto. Chiudo lentamente la porta quando esco e mi fermo alla porta accanto alla nostra. Nessuno urla, ma sono sicuro ci sia qualcuno dentro, sento il suono alto della tv accesa. Suono il campanello impacciato. È la prima volta che lo faccio e ho paura di fare un madornale errore. Ci vuole più di un minuto buono perché la signora Hughes venga ad aprirmi alla porta. Ha una sigaretta alla bocca e i ricci arruffati in testa. Mi guarda come se gli avessi rovinato un momento importante, e credo di essermi immaginato i suoi occhi tremare per un secondo alla mia vista.

Missing Brother [Completa]Where stories live. Discover now