CHIAMATEMI Q...EVA Q

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Ore 20:10, con un ritardo spaventoso arriviamo di fronte il locale. Ancora prima che la macchina si sia completamente fermata apro la portiera. Una volta fuori l'aria gelida mi punge il viso e fa tremare le gambe nude. La sento la pelle d'oca lungo le braccia e me le stringo al petto in un inutile tentativo di riscaldarmi e trattenere a me il calore.

-Mi raccomando! Ricordati il piano: alle ventuno e un quarto qui fuori!

Dico china verso di lui, prima di chiudere lo sportello mentre nuvole di vapore fuoriescono dalla mia bocca.

Lui annuisce e riparte.

Osservo i fari rosi accendersi in prossimità di un incrocio e poi proseguire finché l'auto non svolta in una traversa. Rimasta sola sul marciapiede in una fredda serata autunnale, mi guardo intorno trovando il luogo in cui mi trovo insolitamente molto familiare.

Un'insegna a neon blu recita "blue eyes". Varco la soglia ed un piacevole tepore mi avvolge il corpo mentre riconosco il locale in cui io e Tessa abbiamo preso un aperitivo solo qualche giorno fa. Ora c'è più gente, più caos.

Ma i divanetti, le poltrone in velluto e le varie e stravaganti lampade continuano a mantenere il loro fascino. L'unica nota stonata, ma stonata davvero, è la band che in questo momento si sta esibendo in un angolo del locale e a cui, a dire il vero, non molta gente sta prestando attenzione.

Riconosco Giovanni poco lontano da me, seduto su di una poltroncina in velluto rosso. Affianco a lui, su un divanetto dalla fantasia nascosta da corpi e stoffa di abiti e soprabiti, altre due persone. Un'altra mi da le spalle su una poltroncina marrone.

Lui mi riconosce, mi sorride e fa cenno di avvicinarmi. Io gli ricambio il saluto con la mano.

Sarà una goduria dire a Tessa che si sbagliava. Se ci sono altre persone non può considerarsi un appuntamento.

Mi avvicino cercando di farmi largo tra le persone. Il locale è grande ma è altrettanto pieno e un paio di persone rischiano di schiacciarmi i piedi o buttarmi il loro cocktail addosso.

Una volta giunta vicino al tavolo Giovanni fa cenno di sedermi vicino lui, su un poltroncina verde oliva e dai braccioli in legno lavorato.

-Scusa il ritardo, c'era un po' di traffico.

-Potevo passare io a prenderti.

Scuoto la testa con noncuranza mentre mi sfilo il cappotto e lo lascio cadere abbandonato alle mie spalle, tra la mia schiena e lo schienale.

Mi presenta i suoi amici. Sorrido e stringo la mano a tutti loro. I loro nomi un elenco nella mia mente destinato ad essere rimosso come una lista della spesa mentre sei al supermercato. Una ragazza dai capelli castani e i denti sporgenti, seduta sulla poltroncina affianco la mia, si avvicina cercando di far arrivare a me la sua voce coperta dal rimbombo delle casse.

-Carino questo locale, vero? C'eri già stata?

Riesco a sentirla appena.

Annuisco e cerco di dirle

-Si, giusto una volta.

La musica si arresta ed è un balsamo per le mie orecchie che tuttavia ora percepiscono un lieve fischio. Avrei preferito procurami un acufene con della musica che ne valesse la pena. Ma quella piacevole tregua non dura molto. Il cantante della band ringrazia i presenti ed annuncia il prossimo brano. Blue jeans e maglietta nera, è molto confidente sul palco. Non posso dire lo stesso della sua voce mentre canta.

Giovanni si china verso di me.

-Abbiamo già ordinato qualcosa da stuzzicare, vuoi una birra?

Scuoto la testa. Non mi sembra il caso di presentarmi al secondo appuntamento puzzando di alcol.

-Prenderò giusto una Coca-Cola.

Dico alzandomi per dirigermi verso il bancone. Mi devo far largo tra alcuni ragazzi e uno di loro rischia spaventosamente di versarmi la sua birra sul vestito. Potrei morire se dovesse succedere!

Dietro al bancone un ragazzo biondino sta riempiendo un vassoio di calici di vino e spritz mentre una cameriera attende per consegnare la comanda.

Quando si volta verso di me riconosco il ragazzo visto qualche giorno fa con Tessa in questo stesso bar. Beh, trattandosi di un dipendente non dovrei neanche stupirmi poi molto. Eppure mi sembra essere tornata una quattordicenne che parla con la sua cotta durante l'intervallo a scuola. La lingua mi si impasta e non sono sicura di aver pronunciato una frase di senso compito. Forse per la musica o per il mio italiano da paleolitico, lui scuote la testa e si sporge in avanti invitandomi a ripetere la frase.

-Una Coca-cola per favore.

Questa volta la voce esce nitida e sicura. Mi riempie un bicchiere alto di ghiaccio e stappa una bottiglietta di vetro. Anche con tutto quel rumore di sottofondo riesco a sentire lo scoppiettio delle piccolissime bollicine. Avvicina la mano verso il contenitore delle cannucce, lo servo esitare prima di afferrarne una bianca ed infilarla nel bicchiere. Mi porge il bicchiere e io mi dirigo verso il tavolo dove gli altri non si sono posti il problema di aspettarmi per iniziare a mangiare gli snack.

Mi siedo sorseggiando la mia coca-cola portando lo sguardo sul cantante. Lo osservo stringere le mani attorno all'asta del microfono, ondeggiare lievemente da un piede e l'altro e chiudere gli occhi con aria accigliata, nel tentativo di far comprendere all'ascoltatore quanto lui senta le parole che sta pronunciando. Poggio il bicchiere sul tavolino, faccio una impercettibile smorfia con le labbra e scuoto la testa: non mi sta arrivando nessuna emozione.

Giovanni è perso nel flusso dei suoi discorsi e non mi presta molta attenzione. Ammetto di esserne un po' delusa. Certo non pensavo che Tessa avesse ragione e lui provasse qualcosa per me, questo è chiaro. Ma è stato lui ha invitarmi qui stasera, potrebbe almeno dedicarmi un minimo d'attenzione. A saperlo prima avrei declinato l'invito e non avrei dovuto fare tutto di corsa. Sospiro e torno a prestare attenzione alla mia coca-cola e alla cannuccia bianca che effettivamente ben si intona con il mio vestito.

La ragazza con i denti sporgenti mi porge una porzione di patatine artigianali. Sorrido ed inizio a inzupparne una nella salsa bianca posta nella coppetta che accompagna la porzione.

Appena poggio il cibo sul palato un'esplosione di sapori mi travolge la lingua.

-È SQUISITA!

Le dico afferrandone un'altra, e un'altra e un'altra ancora. E visto che la musica è spaventosamente alta per riuscire a capire di cosa i miei vicini di posto stiano parlando ne loro sembrano preoccuparsi che io prenda parte al loro discorso, riempio la mia bocca di acquisite patatine farcite con la misteriosa e magica salsa.

Mi osservo attorno ed inevitabilmente porto lo sguardo sul bancone. Il ragazzo della coca-cola è vicino la cassa e sta battendo il conto ad alcuni clienti che stanno lasciando il locale mentre tanti altri ne stanno arrivando.

Sento qualcosa di strano. Qualcosa di strano dentro di me. È forse una percezione? Una sensazione? No. Direi che è reale. Molto reale. Porto la mano sul ventre. La sento nella mia pancia. Sono queste le famose farfalle nello stomaco? Ci rifletto un attimo. È più giù. Forse questa è l'emozione che il cantante cercava di trasmettermi?

È forte. È urgente. E inizio a dubitare... ma come è possibile?

Giovanni mi afferra il braccio e mi guarda accigliato. La sua voce sovrasta la musica.

-Non avrai mica mangiato quella salsa?!

Mi chiede preoccupato osservando la coppetta ormai quasi vuota e io non posso fare altro che annuire.

-È salsa yogurt!

Porca miseria, ecco cos'è questa sensazione! È l'intolleranza al lattosio che mi saluta con la manina.


SE MI LASCI NON VALEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora