29| Ancora di salvezza e mare

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Mi si strinse il cuore.

Non sarei più io se non fossi stata accanto a Matt per tutto questo tempo.

Socchiusi le palpebre e strinsi la lettera d'ammissione a Stanford piegandola ed accartocciandomela tra le dita.

«Fra tutti i posti della città, il mare è stato il primo che sono venuto a controllare.» sussultai per un istante prima di riconoscere la voce di mio fratello alle mie spalle.

Non mi voltai nella sua direzione, ma percepii il suo corpo abbassarsi fino a sedersi a gambe incrociate ad un paio di metri di distanza da me.

Non parlavamo, il più assoluto e teso silenzio reboante si era infiltrato fra di noi. Un filo spesso e corpulento sembrava mi avesse cucito la bocca per tenerla incline alla quiete.

«Mi dispiace.» sussurrò con un tono tenue e sommesso.

Mi girai verso di lui e ne scrutai i lineamenti arrossati e tesi. Aveva gli occhi gonfi e le palpebre pesanti e luccicanti. Doveva aver pianto.

Non volevo che Matthew piangesse.

«Lo so.» risposi in un flebile sussurro.

Lasciai che il silenzio ci avvolgesse assieme alle prime luci scure dopo il tramonto.

Il balbettio che producevano le corde vocali di Matt era stentato, «È che...abbiamo sempre fatto tutto insieme Lis, ti ho adottato quando neanche sapevo la differenza fra fondo fiduciario e fondo bancario. Ho fatto un centinaio di casini in tutti questi anni, ma ho sempre cercato di fare il meglio che potevo.» stava parlando a raffica inserendo parole in discorsi contesti confusi.

«Non sapevo se fosse giusto farti fare il tuo primo pigiama party a quattordici anni, non sapevo se fosse giusto che tu rimanessi fuori fino alle una di notte a sedici anni. Lis, io mi sono ritrovato a fare il genitore quando avevo bisogno di qualcuno che lo facesse a me.» ammise sconfitto.

Soffrii in silenzio attutendo il dolore delle sue parole mordendomi la lingua. Era un'argomento di cui non avevamo mai parlato davvero: la mia infanzia e la sua adolescenza. Entrambe spezzate.

Lui non aveva potuto vivere i suoi vent'anni come un normale ragazzo, non aveva potuto ubriacarsi a capodanno perché doveva stare con la me tredicenne a giocare a carte. Non era potuto andare a ballare il Sabato sera perché doveva rimboccarmi le coperte e darmi il bacio della buonanotte alle dieci di notte.

Non aveva potuto vivere la sua vita, aveva dovuto navigare nel mondo per la prima volta da solo per cercare di spianarlo per me.

Strinsi i denti, era inutile girare intorno al fulcro del nostro litigio. «Perchè non mi hai detto che ero stata ammessa?» sollevai lo sguardo verso di lui.

I suoi occhi si velarono di colpevolezza e guardó l'orizzonte, «Potrei dirti che credevo che ti avrebbe fatto troppo male stare nel posto in cui aveva studiato papà, potrei dirti che ti credevo troppo debole per studiare nelle sue stesse aule e riposarti nei suoi stessi dormitori...ma sono solo motivazioni secondarie.» la sua voce si fece bassa e roca, «...non volevo che tu te ne andassi.»

Restai ferma ed attesi un continuo che non arrivó.

«Perchè non lo volevi?» sussurrai iniziando a giocherellare nervosamente con la sabbia.

«Perchè non mi interessa se hai ventitré anni, se potresti benissimo sposarti domani o mettere su famiglia da un momento all'altro. Per me resterai sempre mia sorella, quella che vedo con gli occhi di qualcuno da proteggere e quella che fino a ieri mi chiedeva di spalmarle la marmellata sul pane.» la voce gli si spezzó definitivamente.

The Rose sensationWhere stories live. Discover now