Tra le nuvole dell'Olimpo

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Apollo è dritto inanzi a me, le spalle larghe, la pelle brillante e una bellezza disarmante.
Ho la bocca asciutta e le parole non riescono a farsi strada per la gola. Questa è la prima volta che si mostra per come è davvero.
Magico, potente e assolutamente incontrastabile.
Uno dei Dodici Sacri Dei le cui leggende ne narrano la potenza, figlio di Zeus Padre degli dei, lui è la luce divina nascosta nel miracolo, calda e accecante che cura le ferite più profonde. Lui, è il dio del Sole.
Ed ora, è proprio davanti a me.
《 Ne sono onorato, ma ora potresti anche smettere di fissarmi. Stai diventando strana. 》Sospira.
《 Io...io non riesco. Non ho mai visto niente di simile prima d'ora. 》Replico, socchiudendo le labbra in segno di incredulità.
《 Ovviamente. E per questo dovresti solo che ringraziarmi. 》Un sorriso felino gli illumina il viso già accecante.
Scuoto la testa e chiudo gli occhi, cercando di riprendermi da queste sensazioni che si sono accanite su di me, tutte d'un fiato.
Quando li riapro finalmente riesco a darmi un contegno.
《 Ti ringrazio, per avermi ricordato quanto odiassi il tuo ego. 》Lui ride mentre mi tende la mano.
《 Avanti, non abbiamo tutto il giorno. 》Lo guardo indecisa.
Non sono sicura di volergli affidare la mia vita tanto facilmente, ma allo stesso tempo voglio scoprire di quale luogo sta parlando.
Così decido di avanzare.
Titubante muovo un primo passo, poi un secondo e un terzo fino ad afferrargli la mano.
《 Ti conviene non farmi cadere. 》Gli dico e in risposta lui me la stringe, mentre un lato delle labbra si incurva all'insù.
《 Non potrei mai. 》Risponde sarcastico.
Mi prende in braccio. Una mano passa sotto le ginocchia e mi afferra la coscia mentre l'altra mi cinge la vita. Provo un formicolio sotto il suo tocco, lo stesso di quando abbiamo attraversato il portale di Ade.
Non riesco a togliermi dalla testa quel suo atto impulsivo, quel bacio rubato. Cerco di toccarlo il meno possibile, mentre prego che questa tortura finisca presto.
I suoi occhi sono ora nei miei, un'ultimo sorriso gli dipinge la labbra, prima di spiccare il volo verso il cielo.

Urlo con tutto il fiato che ho in gola, pentendomi subito di non essermi aggrappata a lui.
Gli lego le braccia attorno al collo, stringendo talmente forse che temo di strozzarlo.
Stringo gli occhi, con la paura profonda di riaprirli e dietro alle palpebre ballano mille colori diversi. Sento il vento farsi più forte, passa attraverso i capelli, scompigliandomeli e facendo muovere sù e giù le ciocche nocciola. Mi concentro sulle mani salde di Apollo, pregando ogni dio in ascolto che non mi faccia cadere per vendetta.
《 Apri gli occhi, ti stai perdendo la parte migliore. 》La sua voce risuona nelle orecchie, sovrastando il fischio del vento ed io, per qualche oscuro motivo, decido di dargli ascolto, nonostante la paura.
Vengo pervasa dalle vertigini non appena apro gli occhi, ma maledizione, ha proprio ragione. L'immensa distesa di sabbia e roccie, ora è soltanto un punto lontano sotto ai nostri piedi, mentre il mare, lui inghiotte ogni cosa.
L'acqua è colorata da migliaia di sfumature. Dal fiordaliso alla tonalità del prezioso zaffiro.
La schiuma bianca depositata sulla spiaggia non è altro che una sottile riga perlacea.
La riva si fa piccolissima e il mondo si apre sopra di noi.
Mi incanto a immaginare di poterlo vedere tutto.
Magari un giorno.
Poi riporto lo sguardo di fronte a me. Stiamo salendo talmente in alto che le nuvole mi accarezzano il viso, come morbide piume, hanno il sapore di libertà.
I raggi mi sfiorano la pelle, sono più caldi di sempre.
Ma forse non si tratta di quelli del sole.
Alzo lo sguardo e ogni mio presentimento si rivela reale. È Apollo che emana questa luce.
Osservo i suoi lineamenti e mi sembrano quasi più dolci rispetto al solito, rispetto ai suoi sguardi taglienti e alle espressioni severe.
Respiro profondamente e piano piano lascio la presa dal suo collo.
Ora vorrei solo aprire le braccia e lasciarmi trasportare dal vento. Stiamo volando sopra al cielo, sempre più sù, fino a quando sotto di noi non abbiamo altro che le nuvole bianche e della terra, neanche l'ombra.
Voliamo per quei minuti che desidero diventino ore e la mia pelle brilla argentea ancora più di prima, mentre quella d'oro di Apollo raggiunge il suo apice di splendore.
Ma ormai i miei occhi si sono abituati a tale luce.
Passa ancora un po' di tempo e io non ho la minima idea di quale sia la nostra destinazione, ma poi lo vedo. Issato sopra al mondo, circondato dalla magia e frizzante di potere, davanti a me scorgo l'Olimpo.
Apollo atterra su un sentiero di mattoni.
Davanti a noi c'è una distesa idilliaca di prati verdi, mossi da chissà quale incantesimo.
Poco più avanti si conclude con costruzioni di enormi palazzi e case mai visti prima. Sono grandi e decorati, ma a risplendere su tutto, è un'enorme castello greco.
Si vede in lontananza, per arrivarci è necessario passare per la città, eppure, anche da questa distanza, mi sembra esageratente grande e lussuoso.
Il mio sguardo viene catturato da un movimento alla mia destra.
Mi giro per controllare di cosa si tratta, mentre sento la presa di Apollo allentarsi sulla mia pelle, fino a che non mi poggia del tutto a terra.
Scovo un grande lago che brilla alla luce del sole, ma a stupirmi non è quell'armonia con i grandi massi interrati, ma invece lo sono le donne che ci sguazzano dentro.
Non riesco a riconoscerle ma la loro bellezza è spontanea. I capelli biondi delle tre dee nel lago sono lucidati dall'acqua limpida come l'aria.
La più alta e snella è stesa sui grandi sassi grigi mentre le altre nuotano serene lungo le sponde del lago calmo.
Poco più in là, la vista viene interrotta da un vecchio albero. La sua chioma dalle foglie rosse dona l'ombra a quella che immagino sia una coppia di innamorati.
Ora che guardo meglio, noto impressionata, che anche la loro pelle è illuminata e contrasta le ombre dell'arbusto.
Hanno la stessa tonalità d'argento della mia.
La donna stringe il braccio del suo amato, ridendo a qualcosa che ha appena detto.
E poi rammento le parole di Apollo e al bacio che mi ha rubato.
Ora posso essere scambiata per una di loro.
Per una semidea.
Perchè la mia luce è diversa da quella di un dio, da quella di Apollo.
L'idea mi provoca dei brividi lungo le braccia e mi getta violenta nei ricordi. Sta a significare assomigliare a colui che ha ucciso i miei genitori. Che ha massacrato il mio villaggio.
I ricordi trottano furiosi nella mia mente come uno stallone imbizzarrito.
Quella sagoma sfocata dalle lacrime, che tra le fiamme combatteva contro i Lupi, contro la Belva del Nord, contro mio padre, si fa protagonista dei miei pensieri.
Non riesco a rammentare la luce che emanava quel corpo mentre uccideva la legione, il fuoco aveva colorato di rosso tutto il villaggio. Ma una cosa era certa, lui non era una persona qualunque, era un dio.
Un vuoto mi pervade il petto, come se il cuore sia stato scaraventato in un burrone. Ma non c'è tempo per i ripensamenti.
《 Pensavo che l'Olimpo fosse la dimora dei Grandi dei. 》 Affermo.
《 Di fatti lo è. Ma da qualche secolo condividiamo questo posto anche con altri dei e semidei. C'è solo un posto inaccessibile e si tratta del palazzo di Zeus. 》 Mi rivela Apollo, senza il bisogno di indicare il palazzo.
Perchè è impossibile non vederlo. 《 Avanti, ci conviene muoverci. 》Insiste prima di incamminarsi verso la meta, per me ancora sconosciuta.
Percorriamo una strada battuta e tutto di questo mondo risplende nel vento. Riesco a tenere il passo dettato da Apollo e ben presto ci ritroviamo nel cuore della città.
Grandi case si ergono imponenti e un via vai di divinità che non conosco, camminano per queste strade. Parlano e ridono in modo animato. Sembra quasi di stare nella capitale. Sento centinaia di occhi che ci spiano, mi scrutano, giudicando ogni mia mossa.
Scocco un'occhiata ad Apollo e noto con poca sorpresa che al contrario, a lui piace essere notato in questo modo così evidente.
Cammina con le spalle dritte e il mento alto, come se tutte quelle attenzioni lo lusingassero.
Torna a guardare davanti a sè, ma non prima di aver aguzzato lo sguardo nella mia direzione.
Mi perdo a guardare questo mondo che mai avrei pensato di poter vedere con i miei occhi, ma non riesco a smettere di pensare a ciò e a chi mi sta circondando.
Arresto il mio passo quando quello di Apollo si ferma.
Ci troviamo davanti ad un enorme edificio e da quello che posso intuire, si tratta di una locanda.
Viene divisa a metà, la parte superiore riprende un colore tortora chiaro, marcato dai contorni di un centinaio di mattoni. Mentre le mura inferiori sono colorate di un rosso sporco che ricorda le sfumature del vino.
Una grande insegna si trova nel mezzo della facciata, proprio sopra i portoni d'ingresso.
Recita la scritta: "Il Nettare dell'Olimpo" calcato in nero pece su sfondo bianco.
《 Hai intenzione di bere proprio adesso? 》 Mi ritrovo a chiedere ad Apollo. Lui alza gli occhi al cielo e senza rispondermi entra nella locanda, spalancando le grandi porte.
Veniamo accolti da urla e brindisi di ogni tipo.
Il posto è abbastanza modesto per essere sul monte degli dei.
Gli interni sono rivestiti in legno battuto e per la stanza sono posizionati tavoli rotondi. Saranno almeno venti e ognuno di questi è occupato da dei che festeggiano.
Mi guardo attorno, improvvisamente sorpresa da questa atmosfera così allegra, i boccali sono ripieni di liquido ambrato che schizza a destra e a manca quando si scontrano tra loro. Le risate riempiono la stanza.
Davanti a noi c'è un lungo bancone di massiccio ziracote.
È lucido e su tutta la sua altezza riflette la luce dei lampadari a candela sopra di noi.
È luce soffusa che rende la stanza in qualche modo più intima.
Apollo si dirige verso il balcone e anche se attira gli sguardi di tutti, nessuno lo ferma.
A servire le bevande c'è un uomo alto e ben piazzato, che quando lo vede arrivare si illumina di un sorriso beffardo.
Anche la sua pelle emana una luce argentea, ma di una tonalità più scura rispetto alla mia e a quella degli altri. Ha i capelli neri che gli cadono sulla fronte in un taglio corto, una leggera barba gli vela il viso e uno sguardo da predatore gli allunga gli occhi scuri. Quando arriviamo abbastanza vicino per poterlo sentire comprendiamo le sue parole.
《 Quanto tempo, amico mio. 》Saluta Apollo, mentre con una mano regge uno straccio che strofina su un boccale bagnato.
《 Dam. 》 Ricambia il suo saluto. Poi finalmente lo sguardo del mescitore si incrocia al mio.
《 Tu devi essere il nuovo passatempo di Apollo. Sono Damen, ma puoi chiamarmi in qualunque modo tu voglia. È un piacere conoscerti. 》Si presenta, piegandosi in un'accurata riverenza.
Sorrido di ricambio per la bizzarria del suo gesto, e anche se reprimo il fastidio che provo nel sentire la sua affezione, non lo correggo.
Immagino che in questo posto sia necessario mantenere una certa facciata.
《 Mi chiamo Elaine, molto piacere. 》Il viso di Damen si illumina quando sorride.
《 Elaine, che nome incantevole. Si addice ad una dea tanto bella. 》Mi piace la sua compostezza, la dimostrazione concreta del suo nome, ma ora ciò che dice mi provoca un po' di disagio.
Inclino leggermente la testa in segno di ringraziamento, ma lo faccio con imbarazzo.
《 Ora basta cascamorto. Chiudi quella bocca. 》 Interviene Apollo. Damen ridacchia e poggia sul balcone il boccale ormai asciutto e lo straccio bianco.
《 Dunque, cosa posso fare per voi? 》Domanda. Mi giro verso Apollo, in attesa di una risposta.

Il Sole è sceso sulla Terra Where stories live. Discover now