Segugio infernale

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La notte si avvicina in fretta.
La foresta si tinge di nero e la foschia abbraccia qualunque cosa.
È arrivato il momento che temo di più, quello delle tenebre.
Il momento in cui gli animali più docili si ritirano nelle loro tane per nascondersi e quelli pericolosi, i veri predatori, che escono invece allo scoperto.
L'accampamento in cui vivo si trova a poca distanza dalla Grande Città e da quando sono partita ho viaggiato per tutto il pomeriggio, senza sosta. Ignorando il dolore ai piedi e la stanchezza che mi avvolge, come una coperta pesante sulle spalle.
Non posso ancora fermarmi.
Sono diretta alle sconosciute porte di Capo Matapan.
Il punto più a sud della terraferma, dove secondo la leggenda si trova la porta Taenarus, il passaggio per raggiungere l'Ade, il regno degli Incubi.
Sono consapevole che si può trattare solo di una semplice storia, di un racconto scritto da una mano vogliosa di avventure. Ma arrivata a questo punto, ci credo più che mai.
Impugno forte la spada, la stringo talmente tanto da colorarmi le nocche di bianco, mentre cammino con passo incerto sul sentiero di foglie secche. Rabbrividisco ad ogni sussurro, lontano o vicino che sia.
Il vento fischia mentre muove gli alberi in una sorta di danza profetica e angosciante.
Sento il gracchiare di un corvo, ma non riesco a capire da che direzione proviene, si confonde nella brezza. Odio ammetterlo ma sto tremando, e non a causa del freddo.
Come ai pargoli, il buio mi fa paura.
Perchè ti rende cieco e ignaro di chi c'è al tuo fianco, ti tocca e ti sfiora prosciugandoti dal coraggio che ti riveste e ti espone alle ombre.
A quei dolci e pericolosi spiriti che infestano la notte. Il buio porta distruzione, il buio concede la morte. Mi fa paura, perchè tutto mi rimanda a quella notte. Alla notte che vive dentro di me da anni ormai, oscura come questa.
Faccio un salto di due braccia, risvegliandomi dai miei pensieri, quando sento un rumore scivolare nel buio.
Il cespuglio di Temerice davanti ai miei occhi si divincola energicamente, come se qualcosa al suo interno, di incredibilmente grosso e potente, lo stesse scuotendo. Non ho idea di cosa può essere ma non ho certo intenzione di rimanere per scoprirlo. Indietreggio lentamente per non attirare l'attenzione di quella cosa, senza mai abbassare la guardia.
La spada punta dritta di fronte a me. Le foglie marroni cadute sul terreno scricchiolano sotto il peso dei miei passi, consolidando ogni mio movimento.
In una manciata di secondi il cespuglio inizia a muoversi sempre più frenetico.
Ci siamo, penso.
E all'improvviso la temibile belva salta fuori allo scoperto.
Una palla di pelo arruffato saltella per terra e si avvicina ai miei piedi.
La guardo, vergognandomi subito di me stessa.
Si tratta di un coniglio, un insulso e morbido coniglio bianco. Sospiro sollevata e imbarazzata mentre un brivido mi percorre la colonna verticale, fino alla nuca, per la paura che ho provato.
《 Che coniglio irrispettoso, tua madre non ti ha insegnato a non sbucare spaventando la gente? 》 Mi rivolgo a lui dura, per avermi fatto perdere quasi dieci anni di vita.
《 Se lo rifai ti trasformo in stufato, bestiolina. 》 Lo minaccio sbuffando e puntandogli il dito contro.
Quando riesco a incrociare i suoi grandi occhioni mi sento un po' in colpa per averlo spaventato, così mi accovaccio e allungo la mano per accarezzarlo.
Lui è schiacciato sul terreno, il suo nasino si muove all'impazzata e i suoi occhi mi guardano impauriti. Le orecchie sono completamente stirate all'indietro.
《 Piccolino, va tutto bene. 》 Dico dispiaciuta.
È completamente in preda alla paura e ai sussulti. D'improvviso un latrato stridente giunge alle mie orecchie. È talmente acuto da farmi accapponare la pelle di tutto il corpo. Rompe il silenzio e tutti gli uccelli battono in ritirata dai rami degli alberi. Il coniglio saetta tra le mie gambe, scappando alle mie spalle e scomparendo tra i cespugli.
Le sue zampe generano nuvolette di polvere e terra.
Ho solo il tempo di riportare lo sguardo davanti a me, prima di imbattermi nella creatura. Un altro ringhio si fa strada nella notte e un'enorme sagoma compare dinanzi a me. Indietreggio immediatamente ma vengo frenata da una radice sporgente che mi fa cadere sul terreno ricoperto dai licheni.
Si schiacciano sotto al mio peso.
Nel momento in cui inciampo l'ombra si imbatte su di me, rivelandosi alla luce delle stelle.
Ha le zampe protese in avanti e ha tutto l'intento di afferrarmi. Ma grazie alla caduta, atterra alle mie spalle, così forte da scuotere il terreno. Ringrazio me stessa per la mia goffaggine, che per questa volta mi ha salvato la vita. Senza perdere un secondo di più mi metto a carponi e una volta alzata mi volto impugnando stretta la spada.
Quest'ultimo movimento mi porta alla mente tutte le lezioni di scherma studiate e sudate con Keelan, i pomeriggi passati a vedere mio padre allenarsi con i suoi sottoposti. Il cuore mi batte all'impazzata, pompando come mai ha fatto prima.
Gli occhi di fuoco di Cerbero, il segugio del Re oscuro, si trovano davanti ai miei. Gli artigli affilati sono grandi quanto il mio avambraccio e dragano il terreno come impazienti di trafiggere qualcosa.
Il manto scuro mi impedisce di distinguerne i contorni, ma riconosco la grande sagoma imponente e feroce. Tre paia di occhi lacerano il buio, come saette in una tempesta estiva. Sono tinti d'intenso rosso, lo stesso del sangue che presto verrà versato.
Mi guardano insaziabili.
Lo sento respirare, emette un ringhio ronzante e profondo, che persiste nella sua gola. Mostra le zanne acuminate mentre rivoli di saliva gli percorrono i contorni delle tre bocche, fino a gocciolare a terra. Cerbero è il guardiano degli Inferi, si assicura che nessun'anima scappi dai loro confini e naturalmente, che nessun essere vivente li sorpassi. In qualche modo il fatto che si trova qui mi gratifica, vuol dire che la porta è vicina.
Ne sono felice, soprattutto dopo aver camminato per così tanto tempo, ma lo sarò di più se riuscirò a sopravvivere, questa notte.
Quando percepisco che contrae i muscoli delle zampe e il respiro si ferma, capisco che sta per attaccare. Con uno scatto contraddittoriamente felino si lancia verso di me.
Mi sbrigo a rotolare sul fianco, mentre Cerbero atterra impiantando gli artigli nel terreno per non scivolare. Non perdo tempo e inizio a correre verso la costa. Il vento mi colpisce come uno schiaffo sul viso ma non rallento, nemmeno per un secondo, il ritmo sfinente della corsa.
Cerbero però è comunque più veloce. Mi raggiunge in pochi istanti e con una delle sue enormi zampe mi colpisce alle costole, scaraventandomi a terra.
Il colpo con il suolo mi mozza il fiato, lasciandomi senza respiro per qualche secondo, poi inizio a vedere gli alberi sfocati a causa della botta che ho preso alla testa e al dolore pungente al costato.
Lotto con tutte le mie forze per non svenire. Ignoro le richieste disperate del mio corpo e mi costringo a reagire, alzandomi dal terreno. Non appena sono in piedi afferro la spada che è caduta con me, mi concedo la possibilità di prendere un respiro profondo per risanarmi, ma farlo mi costa troppo.
Il tanfo del suo corpo mi fa tossire, bruciandomi i polmoni e la gola. Non ho possibilità di vincere in uno scontro contro di lui, verrei divorata in un secondo e questo lo capisco nel momento esatto in cui la testa centrale sferra il suo colpo. Cerco di bloccare il tentato morso con la spada, ma questa viene disintegrata come un fuscello dalle pericolose e possenti fauci.
La lama si frantuma in tante piccole schegge d'argento, che cadono a terra. Mi ferisco le braccia con alcune di loro, ma faccio in modo di ignorare il dolore. Rivoli di sangue rubino mi sporcano l'abito, scivolando anche sul marchio.
Mi abbasso in una mossa veloce, schivando la graffiata della zampa destra e scivolo sotto l'animale, per evitare quella di sinistra.
La nube di polvere che si innalza mi costringe a serrare gli occhi, ma questo non mi aiuta a bloccarla dal scendermi nella gola, rendendomi ancora più doloroso e complicato il tentativo di respirare.
Ho il cuore che minaccia di uscirmi dal petto e tutta la schiena matida di sudore, mischiato alla polvere. Siamo tornati al punto di partenza, uno di fronte all'altro.
Avanti Elaine, pensa. Ripeto a me stessa.
Non posso batterlo, è più forte, più veloce e più affamato di me
Come posso fare? Cerco di pensare in grande e mi tornano in mente le leggende che mi occupavano le notte, quando non riuscivo a dormire. Mi viene in mente la dodicesima delle imprese di Ercole, ma è assolutamente fuori discussione. Cerbero interrompe di nuovo il contatto visivo e riparte alla carica.
I possenti muscoli delle scapole e delle zampe si flettono quando si lancia verso di me, con gli artigli scoperti. Per evitare lo scontro salto in alto, allungando le braccia per riuscire ad aggrapparmi a un ramo che sta al di sopra di me.
È abbastanza grosso da potermi reggere. Cerbero va a sbattere contro l'arbusto dietro a quello su cui mi trovo e provoca un rumore talmente sordo da risvegliare tutta la foresta. Ci è mancato davvero un soffio. L'albero scricchiola mentre si sradica in procinto di cadere. Il fragore mi rimbomba nelle orecchie come un suono tetro.
Ma certo il suono! Il rumore, la musica! Come ho fatto a non pensarci prima? Che io ricordi l'altro mortale a essere riuscito a placare la furia di Cerbero è stato proprio Orfeo, colui che suona la sua preziosa Lira.
Aveva fatto cadere in un sonno profondo qualunque bestia feroce l'aveva attaccato nella discesa dell'Ade.
Ora tutto torna. La lira è stata un regalo di Apollo, proprio come il mio marchio. Non era proprio un dono, ma proviene comunque da Apollo! Non ho tra le mani nessuno strumento divino e tanto meno una bella voce, ma arrivati a questo punto sono pronta a provare qualsiasi cosa. Mi lascio cadere a terra, mollando la presa sicura dal grande ramo a cui ero aggrappata e mi avvicino a Cerbero. Ringhia e mi mostra i denti, prima di ruggire sonoramente.
Mi tremano le mani, le ginocchia, e vorrei solo scappare, ma mi fermo solo una volta che sono davanti a lui. Uso il soffio del vento pungente come ispirazione e intono la prima nota. Mi viene quasi da ridere, anche se la voce mi tremava forte.
Ho paura che da un momento all'altro una delle sue teste si sporga per azzannarmi, anzi sono stupita che non l'ha ancora fatto. Ormai non vedo più vie d'uscita, sono circondata dai loro musi che osservano ogni mio movimento, con  fame da predatori. Azzardo a chiudere gli occhi per non dover incombere nei loro.
Mi concentro sulla cantilena che mi bagna le labbra. Non sono vere e proprie parole, più delle intonazioni, delle vibrazioni. Sento il sangue scorrere più velocemente dentro alle mie vene, i polsi che mi pulsano frenetici al ritmo del mio cuore palpitante. Goccioline di sudore mi puntigliano la fronte e la schiena, scivolando sulla pelle accaldata e infreddolita.
Succede proprio quello in cui stavo sperando. Mentre la mia voce canta insieme alle cicale e ai rumori del bosco, vedo attraverso le palpebre chiuse una luce, la pelle dell'avambraccio mi prude e inizia a pulsare più intensamente di prima. Emana un fascio luminoso e caldo come i raggi del sole, proprio come era accaduto con la spada. La luce freme, all'inizio quasi timida poi sempre più forte, insieme al fluire del cantico.
Sono diventata come la lira magica di Orfeo. Trovo incredibile che un marchio di una tale potenza appartiene alla spada di uno come Apollo.
Quando apro gli occhi vedo i primi segni d cedimento da parte della testa a destra. Barcolla leggermente.
Non mi fermo e continuo a cantare tra un respiro e l'altro, mentre da dietro soffiate di un vento fantasma mi scompigliano i capelli. La testa al centro si sporge verso di me, ma sta volta i suoi movimenti sono prigri ed io riesco a intercettarli facilmente. Quando finalmente Cerbero cade, un sonoro tonfo lo accompagna per terra, ora è completamente addormentato. Smetto di cantare ma solo una volta accertata che sia davvero catturato e imprigionato dal sonno. Il marchio lo segue quasi subito, spegnendosi del tutto.
Mi lascio cadere a terra con un sorriso stanco. Ce l'ho fatta, ha funzionato. Ora voglio disperatamente svenire, come la bestia enorme e letale al mio fianco. Cerco di calmare il mio cuore agitato, respirando l'aria pulita. Rimmarrei così per sempre, con la testa piegata verso il cielo, ad ammirare le stelle accennate che lo dipingono, ma so che non è ancora arrivato il momento. Mi manca ancora molta strada e così con un sospiro mi rialzo.

Il Sole è sceso sulla Terra Where stories live. Discover now