Sola

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Elaine

Un maledetto dio senza cuore o pietà, ecco cos'è!
Ho continuato a bussare e a sbraitare contro la porta per buoni minuti, ma quando mi sono accorta che aveva lasciato la stanza, ho capito che nessuno sarebbe venuto ad aiutarmi. Le nocche si sono arrossate a causa dei colpi che ho tirato al legno duro e ora quando le tocco le sento formicolare tutte.
Forse ho esagerato.
Mi lascio scivolare sul pavimento, distendendomi in mezzo alla stanza. Appoggio stanca un braccio sul viso e mi copro gli occhi. Sospiro forte facendo uscire tutta l'aria che ho nei polmoni, sperando con tutta me stessa che Apollo percepisca il grande odio che provo nei suoi confronti, e che segua persistente i suoi passi, come una nuvola carica di pioggia e fulmini.
Questo piccolo pensiero riesce a farmi sorridere. Riprendo l'aria che ho cacciato dal mio corpo e rilasso braccia e gambe. Lascio scivolare la testa di lato finché la guancia non tocca il freddo pavimento e mi godo la sensazione di questo contatto. Mi guardo attorno tra le pareti verde smeraldo che mi circondano. Il colore è intenso, anche se estremamente rovinato dal tempo. Sembra che la stanza sia stata utilizzata molto poco.
La tinta mi ricorda gli alberi della foresta, tanto che riesco quasi a sentire l'odore dei pini e mi lascio calmare dal profumo estasiante. Continuo a lasciarmi cullare, respirando lentamente fino a che la rabbia non lascia completamente il mio corpo.
Devo trovare un modo per uscire da qui o rischio di passare ore prima che qualcuno si accorga di me, magari anche giorni.
Alzo il braccio con il marchio sopra al viso. Lo guardo incuriosita. Dopo tutto non è affatto male. Le spirali sono fatte di delicati fili intrecciati, contornate da fiori molto simili a quello che è presente sulla spada.
Ora non emana più la luce accecante di prima, ma in qualche modo dei riflessi brillanti sono rimasti.
Quasi mi piace, penso timidamente. L'intreccio di fili d'oro mi percorre tutto l'avambraccio e mi sorprendo ancora del fatto che il liquido magmatico non mi ha bruciato la pelle. Credo alle parole di Apollo, e faccio così in modo di convincermi che non sia qualche tipo di maledizione. Non ha motivo di mentirmi dopotutto. Per la prima volta ho visto nel suo viso uno scorcio di emozioni e questo mi basta per credere alle sue parole.
Gioco annoiata con le dita ancora sospese in aria, che messe contro luce ne sfocano i bordi. I raggi del sole passano fievoli attraverso la carta di papiro attaccata nel mezzo dello sportello di legno. La dispersione dolce e lieve della luce crea un'atmosfera perfetta per riposare. Mi immagino sul tetto, con il tepore lieve dei raggi solari sulla pelle e la brezza leggera, uniti in un equilibrio armonico.
L'idea mi colpisce come un fulmine. Come ho fatto a non pensarci prima? Mi alzo di scatto ignorando il breve capogiro che mi prega di fermarmi. Lo sportello sul soffitto ha un appiglio che sporge. Ma grazie a quest'apertura posso raggiungere il tetto per poi calarmi giù e andarmene in fretta e furia. Da sola tuttavia, non riuscirò a coprire tutta questa distanza.
Mi guardo attorno, ma non c'è assolutamente niente che può aiutarmi. Nessun mobile, nemmeno uno rotto e tanto meno un arredo. La stanza è completamente vuota ad eccezione della finestra, della porta e di una ragazza disperata vittima del destino.
Grandioso.
Se solo riuscissi ad afferrare la maniglia potrei arrampicarmi sopra fino ad uscire.
Ma in questo piano, ideato tanto velocemente, ci sono molte falle, come ad esempio il fatto che il manico può tranquillamente rompersi, non reggendo il mio peso. Analizzo le poche opzioni. Nel peggiore dei casi rischio una caduta, portando con me qualche pezzo di legno e in quel caso avrei a disposizione del materiale da scaraventare contro la porta e magari riuscire ad uscire. Dopotutto deve essere abbastanza vecchia da potermelo permettere.
Comunque deve andare prendo la mia decisione. Ci proverò.
Mi tolgo la veste, rimanendo con il poco tessuto a coprire i miei spazi intimi. Cerco di ignorare il brivido lungo la spina dorsale e la pelle d'oca che si forma a causa del cambiamento di temperatura. Prendo in mano la stoffa. La mia intenzione è quella di usarla come una corda improvvisata e fare in modo di incastrarla nella sporgenza.
Mi preparo e faccio il primo tentativo. Salto il più in alto che posso e stendo il braccio destro verso la finestra, ma l'unico risultato che ottengo è una frustrata sul viso.
Mi scosto i capelli dal volto e mi preparo per la seconda prova.
Seguo lo stesso procedimento della prima, ma questa volta cerco di avere più coordinazione possibile tra gli arti. Anche se il risultato è sempre lo stesso.
Così come lo sono la terza e la quarta volta. Alla quinta decido di avere un approccio diverso. Sto iniziando a perdere le speranze, ma mi lascio consolare dal fatto che nessuno sta vedendo questa scena pietosa.
Piego le ginocchia e allungo leggermente il braccio sinistro dietro alla schiena, in modo da avere più slancio possibile. Mi preparo a saltare e poi lo faccio. Un tonfo annuncia la mia vittoria.
Ce l'ho fatta.
Non posso fare a meno di sorridere, finalmente la finestra si è aperta, spalancandosi con rumore e sbattendo contro il muro in cui è impiantata.
Inspiro l'aria pulita e meno polverosa mentre mi godo la vicinanza con la natura. Recupero velocemente la veste e la indosso, non appena il vento si insidia nella stanza.
Ora arriva la seconda parte del piano. Salto di nuovo e questa volta non mi richiede tanto impegno. Afferro con precisione la maniglia in legno, questa scricchiola leggermente, ma sembra resistere al mio peso.
A questo punto rompo facilmente i fogli di papiro per avere più spazio per issarmi. Sento che ogni angolo della stanza sta facendo il tifo per la riuscita del mio piano. Quindi decido di tirarmi su di peso e con la mano afferro l'estremità del tetto piatto. Quando sono sicura dell'appiglio mi convinco a mettere anche l'altra mano, che prima invece mi reggeva sul legno.
Ora sono completamente aggrappata alla superficie granulosa, che mi graffia i polpastrelli mentre le gambe sono ancora sospese in mezzo alla stanza. Le muovo piano per cercare di mantenere l'equilibrio e cerco di non focalizzarmi troppo sulle mani che hanno iniziato a sudare.
Ormai sono quasi fuori, quindi faccio un ultimo sforzo e con le braccia flesse mi sollevo, issandomi nel piccolo spazio a disposizione e finalmente il mio corpo riesce a passare nel buco della finestra e ad atterrare sul tetto.
Crollo esausta sulla pietra, facendomi sfuggire un sospiro di sollievo. Ho il fiatone e tutti i muscoli tirati, ma ce l'ho fatta.
Sono riuscita ad uscire da quella maledetta stanza.
La pietra ruvida è esposta al sole e mi scotta ogni lembo di pelle esposta ma non me ne preoccupo, sono troppo stanca per questo genere di pensiero. Ho decisamente bisogno di ricominciare il mio allenamento quotidiano che ho abbandonato un paio di settimane fa, per pura pigrizia, e devo farlo il prima possibile, così dice il fiatone che mi solleva il petto.
Odio ammetterlo ma ne ho proprio bisogno.
Una folata di vento mi scompiglia i capelli mentre ho lo sguardo fisso sul cielo. L'aria si muove attorno a me, come per ricordarmi che la missione non si è ancora conclusa.
Mi alzo controvoglia e mi dirigo verso il parapetto, mi sporgo leggermente per non farmi vedere da occhi indiscreti, come quelli delle sentinelle per esempio.
Non vedo nessuno.
Ho un brutto presentimento, mi sembra strano che in giro non ci siano soldati, è tutto troppo silenzioso. Per fino le tende delle mie compagne sono vuote.
Spero stiano bene, ma ora non posso fare molto per loro.
Mi lascio convincere che sia a causa dello scompiglio di ieri sera e mi affretto a scendere.
Il mio stomaco brontola sonoramente. Sto morendo di fame, è dalla mattina precedente che non tocco cibo.
Noto un arbusto nelle vicinanze del tetto e senza troppi riti di passaggio mi lancio nella sua chioma. Le foglie e i morbidi fiori attutiscono di un poco il mio salto, silenziando il mio corpo che con un sussulto atterra sui rami. Stringo le labbra quando la corteccia mi graffia la pelle. Con l'aiuto dei rami più sporgenti mi calo verso il basso, fino a toccare terra.
Mi tolgo le foglie che sento appoggiate sui miei capelli e sfrego le mani contro le ginocchia per togliere la terra e la polvere. Mi abbasso il più che posso e giro attorno all'alloggio del capitano, cammino fino all'entrata e salendo la rampa in legno che avrei preferito non aver mai percorso.
Non vedo in giro nemmeno Mallory, e lui di solito ronza sempre nelle vicinanze.
Torno nella camera e i miei sospetti si rivelano esatti, non cè nessuno. Meglio così.
Sono sicura che se fossi andata con Apollo sarei già morta, anzi sarebbe stato proprio lui ad uccidermi.
Frugo nella stanza rubando della frutta di stagione poggiata sul comodino, di quello che mi ricorda il legno di betulla, al lato sinistro del grande letto, per placare la mia fame e prendo in prestito una delle tante spade che, come sanno tutti, il capitano tiene nascoste nel cassettone dell'armadio.
Lui ha montato una storia sulle grandi imprese da lui compiute, sostenendo di aver battuto nemici assetati di sangue con ognuna di queste spade. Ho sempre pensato che fossero tutte bugie.
In ogni caso ora sono pronta a partire. Non ho mai intrapreso un viaggio di questa portata tutta da sola, ma continuo a ripetermi di essere pronta. Quando ero piccola ho cambiato legione più di una volta, seguivamo gli ordini di mio padre e i suoi servigi erano parecchio richiesti. Ma in ogni viaggio c'è sempre stato mio fratello con me. Mamma e papà erano spesso occupati ma non ne sentivo la mancanza. Finché Keelan stava al mio fianco io mi sentivo al sicuro. Ho cercato di seguire i suoi passi, anche se per me erano fin troppo grandi. Quest'oggi però lui non c'è e per la prima volta devo cavarmela da sola in un viaggio di tale importanza.
Gli dimostrerò di potercela fare. Nonostante il peso sul cuore, mi spingo a procedere.
Scaccio la paura e il senso di vuoto e solitudine che mi striscia nel petto, anzi li reprimo in un angolo buio del mio spirito e trovo il coraggio per avanzare.
Magari può rendersi divertente.

Sgattaiolo nel bosco, sempre facendo attenzione a non essere vista e mi addentro nella penombra del cuore della foresta, lasciandomi alle spalle l'accampamento.
Impiego un secondo a contemplarlo da lontano, non sapendo se mi sarebbe mancato.
Non ho niente per le mani, Apollo ha parlato tanto eppure non ha saputo dire niente di utile. L'unica pista che ho da seguire è Eris, che in qualche modo è coinvolta con il comportamento aggressivo dei soldati di ieri sera. So che si tratta della figlia di Zeus e della suprema Era, ma essendo anche la dea della discordia forse ha più a che fare con il fratello letale Ares, adoratore della guerra, e con il Re degli Inferi, Ade.
Posso basarmi solo su ipotesi e deduzioni, perché non ho nulla di concreto su cui ragionare.
Mi avvicino ad un piccolo ruscello. L'acqua solca il terreno, traccia impavida il suo percorso trasportando con sé le rocce che la ostacolano.
I rami si spezzano sotto al mio passo incerto.
Voglio essere come quest'acqua, libera di scorrere e abbastanza coraggiosa da scavare la mia strada.
Capto ogni movimento attorno a me. Insetti che volano, formiche che si arrampicano sugli alberi, l'erba mossa dal vento. Percepisco ogni suono della terra.
La prendo come una conferma. L'idea mi balena nella testa da quando sono partita. È assurda. Pericolosa e quasi del tutto fuori di senno. Forse mi porterà alla morte, ma è l'unica a cui posso aggrapparmi.
Prendo la decisione finale.
Andrò da Ade, perché sento che può essere l'unico a darmi delle risposte.

Mentre cammino il mio sguardo cade su del fumo, lì nelle vicinanze. Mi accuccio tra i cespugli e a piccoli passi mi avvicino alla fonte di tutto questo fumo. Tengo impugnata l'elsa della spada tra le mani, pronta e scattante per qualsiasi minaccia.
Ma quello che i miei occhi vedono, è molto più doloroso di una pugnalata al petto. Per terra, nell'unico tratto spiazzato, l'aria è impregnata di cenere e l'erba è bruciata fino alle radici.
Secca e pagliosa già da molto tempo. Conosco questo posto, mi è stato permesso di venirci poche volte, ma lo conosco bene.
Lo chiamano il Grande Cimitero.
Una grande pira si erge al centro dello spazio, le ceneri che devono essere state accese per tutta la notte, ora finalmente si lasciano librare dal vento.
Questo posto sa di morte.
Conficcati nel terreno pagliuzzato ci sono degli elmi, ce ne sono davvero tanti, troppi.
Appartengono a tutti quei soldati che solo poche ore fa hanno perso la vita, uccisi dai loro stessi compagni.
Li stessi a cui hanno affidato la loro vita e la loro fiducia in numerose battaglie. Provo un tuffo al cuore e poi lì, nel mezzo di questa distesa di elmi, lo noto.
Un uomo che singhiozza silenzioso, perché le lacrime non si addicono ad un soldato di alto rango. Ma ad un uomo si.
Una sola persona si erge vicino a tutto questo fumo, una persona che per anni ho odiato.
Capelli rossi spuntano a ciuffi dal cappuccio tirato sulla testa, un cappuccio che gli copre il viso, ma non il dolore che prova.
Mallory piange davanti a tutti i soldati deceduti, la mano stretta al cuore come ultimo saluto ai suoi compagni caduti.
Mi domando se anche lui ne abbia uccisi, se si fosse macchiato di questo peccato indelebile, soggiogato dalla dea.
Deve essere stato terribile.
Una lacrima, due, mi solcano le guance.
In quel momento mi dimentico di tutte le cattiverie che ho subito, ora per lui provo solo un'immensa pietà.
Sono stanca di sentire il fragore della morte, di vederla in ogni dove. Penso alle loro famiglie, ai loro amici, che come Mallory gli compiangono in silenzio.
Sono stanca di tutto questo dolore. E mentre lo guardo andare via mi riprometto che un giorno metterò fine a tutto questo.

Il Sole è sceso sulla Terra Where stories live. Discover now