Capter 13

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Jason parcheggiò l'auto e passò cinque minuti a fissare il vuoto ripensando a quella giornata. Era tardo pomeriggio ormai, mancavano un paio d'ore alla cena ed erano successe tantissime cose.

Aveva scoperto che Leo era vivo.
Aveva scoperto che era lui l'informatore segreto.
Aveva scoperto che era lui Festus, l'amico di Calipso.
Aveva scoperto che la stanza 11 era una trappola.
Aveva rivisto Piper.
Aveva baciato Piper.
Gli era piaciuto baciare Piper.

Uscì dall'auto e si passò una mano sul ciuffo. Si ritrovò davanti due ragazzi con delle magliette viola che lo guardavano imbarazzati. «Posso aiutarvi?» chiese.
«Possiamo... Possiamo farti una foto?» disse un ragazzo arrossendo come un pomodoro. La ragazza al suo fianco fece un piccolo sorriso imbarazzato.
«Come scusa?» ridacchiò.
La ragazza sorrise «In pratica ci sono questi libri che noi adoriamo. E c'è questo personaggio biondo, con gli occhi azzurro ghiaccio, che... Beh entrambi l'abbiamo immaginato tale e quale a te».

Jason scoppiò a ridere «Sono un po' confuso».
I due arrossirono «Scusa, hai ragione non ha senso. Togliamo il disturbo».
«Non ho mai detto questo» i loro visi si illuminarono e si fecero una foto per ciascuno. Li vide entrare nell'hotel e sospirò al pensiero di dover tornare a lavoro. Aveva ancora la serata libera e sghignazzò al pensiero che i suoi amici dovessero lavorare.

«Sotto al piatto» sussurrò Percy quando portò a Jason il suo piatto di pasta. Lui prese il biglietto attaccato con discrezione, poi lo lesse da sotto al tavolo fingendo che fosse il cellulare. Era il piano per quella sera. «Cazzo!» sussurrò.

“NO!” scrisse sul loro gruppo. “É una trappola. Ho incontrato il nostro informatore e ha detto che é una trappola. Fidatevi di me! Non attaccate!”.
Vide Frank che passava con un piatto in mano e quando stava tornando in cucino lo chiamò a sé. «Vorrei fare dei commenti sul piatto» disse ad alta voce.
«Dimmi, Jas» non era un segreto che lui lavorava lì. Ringraziò mentalmente il cielo per aver trovato un tavolo vuoto per stare da solo. «É l'undicesima volta che mangio questo piatto ed é semplicemente delizioso. Sembra quasi una trappola, sai? Una trappola per scoprire tutti i gusti singolarmente. In un modo o nell'altro tutti i gusti vengono fuori».

Frank annuì capendo il messaggio «Riferirò allo chef, grazie». Finì velocemente di mangiare e corse verso la sua stanza. Verso mezzanotte arrivarono i suoi amici, stanchi morti per la giornata. Cucina e bar erano finalmente chiusi. «Che significa che hai incontrato l'informatore?» chiese Will seppellendo la testa nel cuscino.
«Significa che mi ha chiesto di non dirvi la sua identità, ma l'ho incontrato sul serio. Fatto sta che era una trappola per scoprire le nostre identità. Credetemi: é meglio non rischiare. E poi perché dovrebbero spostare l'Arma così vicino a noi?».

Nico si stese accanto a Will mentre Calipso si buttava sul suo letto costringendo Frank e Percy a mettersi su quello di Jason. La ragazza sbuffò «Va bene, mi fido di te anche perché il ragionamento ha senso. Non voglio sapere altro per stasera, sono stanchissima, sparite! Sciò!». Si andò a chiudere in bagno per cambiarsi. In poco tempo si stava già stendendo sul letto e stava tentando di addormentarsi.
I ragazzi non avevano neanche avuto il tempo di muovere un muscolo.

«State ancora qua?» i tre ragazzi corsero nella loro stanza. Jason ridacchiò e andò in bagno per darsi una sistemata. Quando ne uscì si era fatto una lunga doccia e aveva trovato il letto di Will vuoto. C'era un biglietto sul cuscino “Non mi hanno rapito (si so della reazione di Percy ieri) sto bene e non cercarmi ci vediamo domani. 'notte”. Era la sua calligrafia, c'era la sua firma e non c'erano tracce di lotta sul letto. E poi non aveva sentito niente.
Andò a letto “Se volete rapirlo, lo rapirete domani” pensò.

Poggiò la fronte sul materiale sconosciuto e freddo del bancone del bar. Aveva acceso le lucine che si trovavano sul bordo del bancone e la luce che illuminava lo scaffale degli alcolici. Batté piano la testa poi si alzò e riempì il bicchiere di rum. Ne bevve un paio di piccoli sorsi poi osservò il liquido nel bicchiere chiedendosi che fine avesse fatto il Will Solace che beveva solo per fare scena.

Mandò giù tutto il bicchiere in un solo sorso mentre l'alcol gli pizzicava la gola. «Danne uno anche a me, ragazzo» proprio lì, davanti a lui, Lester Solace si stava buttando su uno degli sgabelli e si stava passando una mano sul viso per la stanchezza. Nessuni dei due disse niente mentre Will versava da bere a entrambi.

Guardando Apollo, gli si appannò la vista  e buttò giù tutto il rum prima di scoppiare a piangere silenziosamente. «Ehi, figliolo» Apollo lo fece sedere accanto a lui. «Dimmi tutto, tranquillo». Lui lo guardò con gli occhi arrossati. Doveva essere veramente ridotto a uno schifo: la divisa dell'albergo tutta sgualcita, i capelli arruffati, gli occhi gonfi, le guance rosse per le lacrime.

«Lei non può capire» disse in un sussurro. «Nessuno può capire». Si versò molto più di mezzo bicchiere di rum e fece un grande sorso. Stava per farne un altro ma Apollo glielo staccò dalle mani.
«Ho ventisei anni» disse Will. «Posso bere».
«Immagino che domani tu debba lavorare. Non é il massimo andare a lavoro con i postumi di una sbronza».
«Almeno la sbronza allontana temporaneamente il dolore».
«Appunto: temporaneamente. Da quanto tempo bevi?». Will si morse il labbro «É solo la seconda sera. Ieri non mi sono ubriacato».
«E avevi intenzione di ubriacarti stasera?».
«Quando sono sbronzo sto bene!» ribatté. Apollo gli prese le mani e le strinse «Ragazzo mio, renditi conto che questo é esattamente quello che dicono gli alcolizzati. Tu non sei dipendente dall'alcol e non devi diventarlo. Se hai problemi devi parlarne con qualcuno. Anche con me se vuoi: io tanto non ti conosco. Parlane con i tuoi genitori, magari più con tuo padre!».

“Sei tu il mio problema! Sei tu mio padre!” avrebbe voluto urlare. «Sono orfano da quand'ero piccolo». Apollo arrossí di colpo «Ah... Magari con la tua famiglia adottiva?».
«Non mi hanno mai adottato» arricciò le labbra, imbarazzato da quella conversazione. Apollo sembrava a disagio. Si versò un po' di rum nel bicchiere.

«Okay, cambiamo discorso: come ti chiami?».
Il ragazzo esitò. «Will».
Lo sguardo di Apollo si incupì e bevve tutto d'un fiato.

Against OlympusDonde viven las historias. Descúbrelo ahora