9| Spalle gradevoli per uccelli

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Un crescente senso si fece spazio fra i miei pensieri, Abram preparava il pranzo o la cena per Raissa e me quasi ogni giorno ed aspettava sempre che io prendessi il cibo che mi portava prima di lasciarlo sul tavolo a raffreddarsi. Segno evidente che prima di andarsene mi doveva aver aspettata per un bel po'.

Strinsi forte gli occhi dalla frustrazione perché ero un'ingrata e mi veniva da piangere. Gli ormoni messi in subbuglio dal periodo di pre-ciclo in cui mi trovavo mi fecero venire gli occhi lucidi e peggiorarono il mio umore di almeno quindici tacche sotto lo zero.

Guardai affamata ed affranta la colazione per poi lasciarla lì, come una sorta di auto punizione per non aver ringraziato Abram.

Raggiunsi il portone e lo chiusi a chiave incamminandomi verso il campus. Di solito non mi pesava non avere una macchina; avevo Raissa e mio fratello che mi scarrozzavano ovunque e pagavo i taxi e gli uber ogni qual volta ne avessi bisogno.

Ma mai rimpiansi come in quel momento la mia licenza di guida mancata. L'Università distava una ventina di minuti che solitamente non mi stancavo mai di fare a piedi quando Raissa non poteva accompagnarmi, ma in quel momento un'auto mi sarebbe decisamente stata utile per affrettare le cose. Sbuffai ed uscii dal cancello consapevole che Matthew era a lavoro e non poteva accompagnarmi da nessuna parte.

Appena misi piede fuori dalla mia proprietà, mi resi conto delle ottimali condizioni meteorologiche di quella giornata; era caldogiusto. Non sudavo nel muovermi e non avevo nemmeno brividi di freddo nonostante il forte vento che tirava.

Passai per River District guardandomi intorno sorridendo; amavo quella via. Una lunga strada ricca di vertiginose e colorate palme si estendeva per chilometri riempiendosi di persone.

Mi misi in punta di piedi cercando d'intravedere il mare oltre gli alti palazzi e grattacieli. Il mix della mia miopia unito alla distanza dell'Oceano dal punto in cui mi trovavo però, mi resero impossibile vedere la morbida e vellutata sabbia della spiaggia.

Ero ferma nel tentativo di scorgere qualcosa, quando sentii una lieve pressione sulla spalla scivolare lentamente sul mio petto. Un odore acre arrivó alle mie narici facendomi istintivamente coprire il naso con le mani per non permettere a quel fetore di essere respirato. Mi osservai lo sterno coperto dalla maglietta e vidi una densa, molliccia e biancastra merda di uccello. Quello che indossavo io era un semplice indumento monocolore su cui spiccava ancora di più l'acceso sterco del volatile.

«Non ci posso credere.» imprecai allibita.

Ma come diavolo era possibile che nella superficie di centoventisette metri cubi che componeva la città di Fort Myers, un pennuto avesse deciso di espellere i propri bisogni esattamente nella mia direzione aerea?

Presi un fazzoletto dalla borsa e lo strofinai delicatamente sul tessuto riuscendo persino a peggiorare la situazione: la stoffa aveva già assorbito l'escremento e il mio sfregare aveva solo fatto espandere ancora di più la macchia nauseante. Adesso sì che era diventata una plateale strisciata di sterco. Esilarante situazione comica a tal punto da risultare surreale visto che mi sarei dovuta presentare alla loro porta maleodorante a quel modo.

Alzai lo sguardo e vidi che il campus fortunatamente si trovava giusto dietro l'angolo. Presi un grande respiro ed iniziai a correre più velocemente possibile per raggiungere l'appartamento senza che nessuno mi riconoscesse. Se un qualsiasi mio compagno o amica dell'Università mi avesse visto e mi si fosse avvicinato per fare due chiacchiere come succedeva di solito, avrebbe sentito il fetido profumo della mia maglietta. Cosa che non doveva succedere. Non dovevo incontrare nessuno.

Corsi attraversando il cortile e raggiunsi col volto paonazzo di chi aveva corso una maratona di nove ore, la reception ed il punto informazione dei dormitori.

The Rose sensationWhere stories live. Discover now