Cap. 8

291 28 8
                                    


- E questo cosa dovrebbe rappresentare? – risi piuttosto sguaiatamente. Un paio di sguardi truci mi si puntarono addosso mentre, noncurante, continuavo a passeggiare lungo la galleria. Il mio braccio era stretto attorno a quello del mio accompagnatore, Thomas, mentre camminavamo assorti lungo i corridoio gremiti di tipi piuttosto appariscenti che ammiravano opere alquanto inusuali.

Thomas mi rivolse un sorrisetto fugace e, voltando leggermente il capo, si abbassò contro il mio orecchio – mi crederesti se ti dicessi che non ne ho idea? –

I suoi amici, nei quali non avevo ancora avuto il piacere di imbattermi perché probabilmente troppo amalgamati in mezzo alla folla di folte barbe curate e occhiali dalla montatura bizzarra, avevano affittato un ampio salone completamente bianco seppur la vernice fosse sbeccata in alcuni angoli delle mura, e, dai racconti del mio compagno, avevo dedotto che in pochissimo tempo avessero trasformato l'immobile piuttosto mal ridotto in un'esposizione non troppo raffinata delle loro opere d'avanguardia. Mi sarebbe piaciuto potermi perdere nelle linee sconnesse di quei pezzi peculiari, apprezzarne l'estro e la modernità, tutta via l'unico luogo di cui non sembravo trovare l'uscita era l'ingorgo di corridoi in cui eravamo capitati.

- Vuoi davvero farmi credere di non sapere nemmeno minimamente cosa stiamo guardando? – domandai divertita – voglio dire, siamo qui da più di un'ora! –

Thomas scrollò le spalle, divincolò il braccio dalla mia stretta per poi adagiarlo sulla mia vita e mi attirò più vicina al suo fianco – sono così sorpreso che una donna cosmopolita come te non apprezzi l'arte moderna – mormorò ironico.

- Oh l'apprezzo eccome – feci, fingendomi stizzita – ho visitato tutti i musei più importanti e sono stata invitata al Met Gala per cinque anni di seguito – aggiunsi gonfiando il petto, fingendo un'aria altezzosa che non mi apparteneva affatto, ma che riuscivo ad improvvisare benissimo. Non ne andavo per niente fiera – infatti mi chiedo perché nessuno mi abbia ancora riconosciuta qua dentro – continuai, poi lo guardai negli occhi e scoppiai in una fragorosa risata.

Lui si avvicinò al mio viso, poi alzò il mento e le sue pupille si mossero velocemente lungo il salone – li vedi quelli laggiù? – chiese, puntando velocemente l'indice in un angolo dietro alle mie spalle – ci stanno fissando da quando siamo entrati – mi voltai e scoccai la lingua sul palato costatando che, mio malgrado, aveva ragione. In effetti un piccolo gruppo di ragazzi ci stava osservando con aria assorta e il busto inclinato nella nostra direzione, come se fossero pronti a fuggire talora qualcuno li avesse sorpresi a prestarci fin troppa attenzione.

- Posso assicurarti che almeno il novanta percento dei figli di papà che si trovano qui dentro sappia chi sei e abbia resistito alla voglia di venirti a chiedere una foto – dichiarò – fingono solo di essere troppo esclusivi per ammettere di ascoltare qualcosa di diverso dalla musica jazz –

Stizzita, alzai gli occhi al cielo – non credevo che le mie canzoni potessero essere motivo di vergogna –

Thomas poggiò entrambe le mani sulle mie spalle e sorrise. Solo da vicino riuscii a notare le piccole rughe d'espressione che gli lambivano le labbra quando queste si piegavano, tuttavia sentii la mancanza di un piccolo incavo che spuntava spesso sulla guancia di Manuel e che spesso pizzicavo con delicatezza in un gesto intimo che a nessun altro mi sarei sognata di riservare.

-Non sentirti insicura, i tuoi testi sono davvero profondi – ammise, ma non fui in grado di rispondere poiché il mio cellulare prese a squillare nella tasca del cappotto.

Lo afferrai di getto, tesa poiché non aspettavo nessuna chiamata a quell'ora della sera, ciò avrebbe potuto rappresentare un campanello d'allarme che non potevo permettermi di ignorare.

Backstage|| Hell Raton.Where stories live. Discover now