Cap. 5

273 27 4
                                    

- Come scusa?- spalancai gli occhi. Manuel non poteva davvero essersi tramutato in un essere capace di così tanto egoismo nel giro di qualche settimana.

Rimasi immobile sul posto, come gelata dalla sua richiesta singolare e paralizzata dal suo sguardo che mi scrutava sospeso, in attesa di una mia risposta.

Dapprima mi portai le mani tra i capelli, poi morsi il labbro inferiore con aria diffidente. Doveva sicuramente esserci qualcosa sotto, un particolare che mi era sfuggito; rimuginai sulla possibilità di lavorare di nuovo assieme, vicini, respirare la stessa aria viziata in una stanza chiusa ed essere chini sullo stesso spartito con le spalle che si sfiorano impercettibile magari.

Subito ne scartai l'immagine che la mia mente agognante di contatto con lui si era creata come per torturarmi con scenari fin troppo utopistici per i miei gusti e, con le dita piegate sui fianchi, speranzosa che leggesse il disappunto nel linguaggio del mio corpo, scossi la testa.

Manuel, che non aveva proferito parola, fece un passo nella mia direzione - una canzone, una soltanto. Starò alle tue condizioni e se ti sembrerà troppo sbagliato...- fece, inclinando il mento verso l'alto; i suoi occhi si ridussero a due fessure strette e mi fissarono come per soggiogarmi, sorvolando la mia intera figura - se vorrai smettere in qualsiasi momento, allora sarà finita. -

Sentivo le gambe tremare incessantemente, temevo che le ginocchia avrebbero ceduto da un momento all'altro, i miei muscoli incapaci di sorreggere il peso che mi premeva sul petto e gravava su tutto il resto del mio corpo. Le spalle si incurvarono senza che potessi decidere arbitrariamente di mantenerle in posizione eretta e boccheggiai lentamente, ricercando un segmento d'aria che non aspergesse il profumo deciso di Manuel e l'ombra austera delle sue domande.

- Ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo?- bisbigliai. Un bagliore gli attraversò gli occhi, veloce come il pungolo dell'incertezza sulle sue labbra quando, sentendosi in colpa, le umettò con la lingua. Vi passò poi i polpastrelli,
accarezzando lentamente la pelle rossa e l'accenno di barba che incorniciava quella curva perfetta.
Bastò quel breve movimento per accendere un fuoco al centro del mio stomaco, perché questo crepitasse lungo le mie braccia e premesse i suoi tizzoni incandescenti sulle mie guance.

- Sì, capisco il tuo punto di vista - dichiarò calmo, piegando la bocca in un piccolo sorriso di sbieco. Doveva essersi accorto del mio sguardo che deliberatamente accarezzava ogni angolo del suo viso, sostituendo le mie dita adesso bloccate nelle tasche dei jeans.

Scossi la testa, obbligandomi a concentrarmi sulla fantasia scura del marmo che pavimentava il corridoio - non credo che tu capisca, onestamente- lo redarguii quieta - altrimenti non me lo avresti chiesto -

- Jenny, non sono impazzito - ammise - so quanto sia difficile per te avermi attorno - aggiunse poi. Chiuse gli occhi e sfregò il palmo della mano contro il viso, poi sulla fronte tesa.

Le sue parole mi colpirono così forte che pensai si fossero tramutate in un reale spostamento d'aria, che mi investì e si sferrò come uno schiaffo freddo contro il viso.
Più entravo in contatto con l'individuo che mi stava difronte e più la sua glaciale compostezza rendeva difficile credere che quello fosse davvero il mio Manuel e che adesso fosse totalmente immune alle mie preghiere silenti e alla disperazione struggente che mi seguiva come un'aura scura.

Con la punta delle dita strinsi con forza il ponte del naso, così che la pressione potesse fermare le lacrime che scalpitavano contro le mie iridi ormai umide. Non avrei pianto davanti a lui che si mostrava così impassibile.
Mi schiarii la voce e aprii gli occhi con uno scatto - è davvero triste che per te non sia la stessa cosa - borbottai, la voce rotta e arrochita dal morso dei singhiozzi.

Backstage|| Hell Raton.Where stories live. Discover now