Cap. 3

333 32 13
                                    

  - Ti ricordi l'altro giorno, quando parlavamo di Karma? Beh, penso proprio che non stia girando in mio favore – dissi a Mika. Avevo il cellulare premuto contro l'orecchio e la testa inclinata sulla spalla, in un mesto tentativo di evitare che il dispositivo piuttosto costoso finisse in mille pezzi contro il pavimento.

Dopo un paio di imprecazioni ben colorite, mi costrinsi a sedermi sul letto e impostare il vivavoce, mentre mi davo da fare per sincronizzare il flusso di coscienza delle mie lamentele e il difficile compito di coordinare per colore i maglioni che avevo appena tirato fuori dalla valigia.

Mika, dall'altro lato, si fece attendere un istante per poi emettere uno sbuffo gutturale e frustrato. Non lo biasimavo affatto dopotutto; per giorni si era sorbito i miei pianti sconsolati, alternati repentinamente da sbalzi di umore che sorvolavano ogni tonalità di rabbia, rassegnazione e malinconia senza mai perdere quella sua pacata discrezione che tanto ricercavo nei miei momenti di perdizione.

Tuttavia io stessa mi ero ritrovata incapace di mettere un freno alle mie emozioni, così avevo deciso che sarebbe stato inutile tentare di reprimerle e che avrei lasciato agli altri il compito di stabilire se starmi accanto o meno.

- Posso sopportare qualsiasi cosa – ripresi – mi ha lasciata, e così sia, ma non sono capace di rimanere con le mani in mano e averlo accanto ogni giorno –

Mi gettai a peso morto sul letto e lasciai che le mie dita corressero contro la pelle della mia fronte; stavo sudando freddo, complici l'enfasi della mia invettiva e la finestra della stanza da letto spalancata sul giardino anteriore. In altre circostanza mi sarei persa con lo sguardo sulla neve che si scioglieva lenta e il sole che pigolava imperterrito in mezzo alle nuvole scure, ma quel giorno la nebbia e il freddo rigore invernale sembrano fungere l'effetto opposto sul mio umore.

Mika ridacchiò beffardo – ci sono almeno due errori in questa frase. Puoi sopportare qualsiasi cosa? Davvero? – domandò poi provocatorio, il che non fece altro che innescare una spaventosa scintilla di collera che si riversò sul mio viso in chiazze scarlatte.

Feci del mio meglio per non perdere la calma, nonostante questa fosse null'altro che una maschera apparente che reprimeva solo un po' l'angoscia che mi mordeva la gola – quando sei diventato così cinico? – chiesi sconfitta.

Lui fece scoccare le labbra e, dopo una breve pausa, riuscii a percepire il rumore dei suoi passi lungo il pavimento del suo appartamento. Stava chiaramente perdendo la pazienza e quel suo camminare frenetico ne era solo la dimostrazione. – Non sono cinico – disse poi – sono solo preoccupato per te! Sono passati giorni Jennifer, lo so che hai bisogno di tempo, ma non ti sembra che sia arrivato il momento di...non so, provare a pensare a qualcos'altro? Solo per un istante – sbottò.

Scossi la testa. Mika aveva ragione su tutto, come al solito.

Mi ritrovai a bramare di poter ottenere un pizzico della sua capacità riflessiva e che questa potesse salvarmi dal baratro verso il quale mi stavo sospingendo lentamente e inesorabilmente.

Pensai a lungo prima di rispondere, tanto che il mio amico si ritrovò a domandarsi se fossi ancora collegata o se in un impeto di rabbia, punta sulla carne viva del mio orgoglio, avessi concluso la chiamata, ma prima che potessi aprire bocca fui intercettata dall'avviso di un'altra chiamata in entrata.

- Ehi – mormorai, incrociando le gambe sul letto e mettendomi comoda contro la testata – ci sentiamo più tardi, credo che mia madre mi stia chiamando – feci e, senza premurarmi di controllare il mittente, accettai la richiesta.

Emisi un leggero colpo di tosse nel tentavo di ricompormi – pronto? – proferii poi, inscenando il mio miglior tono squillante. Non potevo permettere che mia madre captasse sprazzi del mio logorio interiore per telefono.

Backstage|| Hell Raton.Where stories live. Discover now