Capitolo 18

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Seduto sul dondolo in veranda con un pacco di ghiaccio sulla caviglia, mi godo la brezza di fine agosto e aspetto di vedere Michael arrivare a piedi. Vicino a me un pacco di patatine da offrirgli.

Lo vedo arrivare, una macchia nera che si confonde con il cielo scuro tranne che per la testa tinta di verde.

Lo saluto e gli faccio spazio sul dondolo, lui mi saluta senza particolare entusiasmo e resta in piedi davanti a me, sembra non aver nemmeno notato il pacco di patatine.

<<Cosa dovevi dirmi?>> ha le braccia incrociate al petto e lo sguardo serio è evidenziato dalla matita che ha usato per mettere in risalto i suoi occhi. Per quanto mi riguarda questo è un attentato alla mia sanità mentale già abbastanza instabile.

<<Non abbiamo mai deciso che etichetta utilizzare>> diretto e senza giri di parole, se solo Sharon e Felicity mi stessero osservando da lontano (e ho il dubbio che lo stiano facendo in qualche modo) sarebbero così fiere di me.

<<Luke parto tra tre giorni e tu mi parli di etichette?>> non si è scomposto minimamente, e sinceramente posso capirlo alla perfezione. Il tempismo non è il mio forte, ma pensavo che questo fosse un dato abbastanza consolidato. Insomma, ho deciso di iscrivermi in palestra dopo che mi sono slogato una caviglia giocando ad acchiapparella con le mie cugine di cinque anni.

<<Beh quando parlerò di te come ti dovrò chiamare "il ragazzo che mi sono scopato quest'estate"?>> mi stupisco anche io delle mie stesse parole, ma ormai non ho più nulla da perdere. Male che va mi dirà che essere ricordato in quel modo a lui va bene.

<<Perché dovresti parlare di me ad altri?>> è ancora davanti in piedi a me con le braccia incrociate ma sta cercando di reprimere un sorriso, fa un passo in avanti verso il dondolo mentre io sposto la borsa del ghiaccio dalla caviglia. Vorrei riuscire ad alzarmi ma ho bisogno di un po'di tempo.

<<Perché con te sto bene zuccone, e non vorrei che tutto finisse>>

<<Luke ma...>> è spiazzato, non so se dall'epiteto zuccone o da quello che lascia intendere la mia frase o forse dal fatto che sono riuscito effettivamente ad alzarmi. Certo sto lanciando maledizioni a me stesso e ai miei antenati ma sono pur sempre in piedi davanti a lui e l'unica cosa che vorrei fare è farlo tacere.

Le mie labbra sono sulle sue, e mi aggrappo con tutto il mio peso a lui- anche perché la mia caviglia gioca brutti scherzi- e il mondo sparisce. Esistiamo solo noi due, nella veranda di una vecchia casa di un paesino dimenticato dell'America. Le sue braccia mi stringono forte a lui, i nostri corpi combaciano alla perfezione come se fossimo due pezzi un puzzle; le mie dita cercano i suoi capelli che sono più morbidi questa volta e profumano di cocco.

L'intensità del bacio cresce piano, da un inizio lento e romantico si trasforma in qualcosa di viscerale e necessario. Lui diventa l'aria che ho bisogno di respirare e se fosse possibile non mi allontanerei mai. Mi potrei nutrire delle emozioni che mi nascono nella pancia ogni volta che sto con lui. I miei occhi potrebbero guardare il più bello dei tramonti ma la cosa più bella resterebbe vederlo sorridere e sorridermi. Potrei sfiorare con le dita la perla più preziosa del mondo ma le mie mani troverebbero piacere solo nel toccare la sua pelle lattea e vellutata.

Michael fa un passo in avanti, cercando di arrivare al dondolo ma siamo entrambi con gli occhi chiusi e questo si rivela essere un passo falso, in tutti i sensi. La mia caviglia cede sotto il nostro peso e cadiamo rovinosamente; non si sa grazie a quale divinità riusciamo ad atterrare lo stesso sul dondolo e, dopo il primo stordimento inziale scoppiamo entrambi a ridere. Con un gesto fluido Michael si allunga a prendere la borsa del ghiaccio che avevo abbandonato nel tentativo di alzarmi e con delicatezza me la appoggia sulla caviglia che ha ripreso a pulsare.

Holiday||Muke ClemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora