Prima.

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Tre anni prima.

"Ogni scelta ha una sua conseguenza Rosie. Dobbiamo solo avere il coraggio di farla".
Queste parole sono impresse nel cervello a caratteri cubitali, i miei genitori la ripetevano spesso quando ero piccola. Ora da adulta, non posso che dare loro ragione.
Ora ad esempio, so di aver preso la decisione giusta, ho fatto quella chiamata che la mamma tanto temeva e che seduta sul divano, cerca trattenere le lacrime ed essere forte per me quando, vorrei solo accoccolarmi a lei e ricevere tutte le carezze possibili ma non c'è più tempo.
Nel giro di mezz'ora, un'auto nera si ferma davanti al cancello e mia zia, con indosso il suo cappotto scuro, in pochi passi raggiunge l'ingresso.
Le apro la porta e la mamma si avvicina per sentire cosa ha da dirci.
«In questa cartella c'è tutto ciò che serve. Hai ancora un giorno per decidere cosa fare» annuisco guardandola dritta negli occhi.
«Bene, ora vado. Aspetto tue notizie»
L'accompagno fuori, quando scende i due gradini si volta e mi guarda. Lo sa già, non c'è bisogno di dire nulla.
Poco dopo va via così come è arrivata e la mamma gironzola per casa per placare l'ansia. Vado in camera mia, osservo le quattro pareti che ad ogni minuto sembrano  sul punto di crollare da un momento all'altro fino a soffocare. Non posso più stare qui. Velocemente tiro fuori un borsone e lo riempio delle cose necessarie. Poi mi siedo alla scrivania e scrivo una lettera con tutte le spiegazioni che troveranno i miei al risveglio poiché non ho il coraggio di guardarli e lasciarli qui, da soli.
Tiro fuori il cellulare e mando un messaggio.

Alle sei del mattino, con il cappotto e una sciarpa che copre metà viso, esco di casa con un vuoto nel petto e la tachicardia. Senza far alcun rumore, raggiungo l'auto che mi aspetta fuori e che dovrà accompagnarmi all'aeroporto.
Durante il tragitto, con il cielo ancora avvolto da una lieve nebbia, guardo la città addormentata in cui gli sguardi feriscono più delle parole sussurrate.
Una volta arrivata, l'autista apre le porte e la zia scende con me, aspettando la chiamata del volo.
«I tuoi documenti devono sparire e - tira fuori un cellulare vecchio modello - ci sono un paio di numeri in caso di emergenza. Gente fidata.»
So che tra quei numeri c'è quello che non ho mai chiamato e da cui non ho mai ricevuto nemmeno un messaggio. Non so se posso mai fidarmi ma di lei si quindi, metto tutto in borsa. Il rumore della zip dà inizio al piano.
L'altoparlante annuncia il volo e ci salutiamo qua, senza dire nient'altro.
«Andrà tutto bene nipote. Ci vediamo presto»
A presto, spero.

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