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CAMILA'S POV

Oggi sarebbe stato il mio primo giorno in un'azienda molto conosciuta qui a Cuba, nella città che reputo casa da ormai tre anni. Cojímar era un piccolo villaggio e ho pensato bene di trasferirmi non lontano da casa, ma per lo meno in una città con tutto quello che serve per una vita di una giovane ragazza con interessi verso la politica esterna ed interna degli Stati Uniti. Ho sempre amato seguire la politica e l'economia, e infatti mi sono subito diplomata e laureata per farlo. Ora che ho l'opportunità di realizzare il mio sogno, niente e nessuno potrà impedirmi di farlo.

Mi alzo presto per prendere il mio solito caffè sul balcone che offre una vista ampia su Cuba. La amo, così tranquilla di mattina presto, per poi riempirsi di persone con i propri impegni e abitudini. È bello osservare come le persone siano schiave delle proprie vite...

Porto alle labbra la tazzina e sento il caffè scendere pian piano, sentendo la caffeina dentro di me. È una delle droghe più potenti al mondo; sono troppo dipendente dal caffè e subito dopo accendo una sigaretta, pensando a come vestirmi per il mio primo giorno di lavoro. Ho subito un'idea: giacca e pantaloni neri eleganti, con una camicia bianca più sbottonata e dei tacchi.

Dopo la sigaretta, faccio una doccia e riguardo quelle cicatrici sul mio bacino e sulle cosce, vicino ai fianchi. Quei segni tutt'ora mi fanno sentire male al toccarli, mi ricordano quanto la vita ti metta a dura prova, quante volte provi a spezzarti e di quanto tu, da sola, devi salvarti per risvegliarti il giorno dopo. Sinceramente, più di una volta avrei preferito non svegliarmi...

Scaccio via quei pensieri e mi vesto, sistemando anche i capelli e truccandomi in modo leggero. Non voglio che il mio viso sembri appesantito, lascio i capelli mossi, mettendoci un po' di schiuma per dare un po' più di forma ed esco di casa, prendendo la macchina e dirigendomi verso la sede. Prima però passo a trovare mia zia, visto che era abbastanza preoccupata per me. È l'unica che, dopo il mio coming out, mi ha accettata. È stata l'unica della mia famiglia a non disconoscermi e non farmi sentire un mostro. Le devo molto, soprattutto perché è stata lei a darmi una casa, a farmi continuare gli studi e a darmi l'amore che i miei 'genitori' mi hanno tolto solo perché sono chiusi di mente. Per la gente di Cojìmar, è visto come una vergogna essere omosessuali.

La saluto al volo e arrivo finalmente davanti al parcheggio, non prima di aver ricevuto un paio di insulti da una ragazza dietro di me. Molto probabilmente aveva ragione, mi ero fissata a guardare il grande edificio dinanzi a me. Improvvisamente sento bussare al finestrino.

"Senti, se non vuoi andare a lavorare, ok, ma lasciami passare che è mattina e devo ricevere un sacco di gente guapa", mi dice una ragazza corvina con dei bellissimi occhi verdi smeraldo, vestita in modo elegante e provocante. Sento delle piccole scosse causate dalla sua voce rauca e annuisco, spostandomi con l'auto, lasciandola passare, parcheggiando dopo anch'io.

Prendo l'ascensore che mi avrebbe portata alla sala riunioni dove ci avrebbero spiegato un po' le dinamiche, i ruoli e le mansioni che avremmo dovuto svolgere per le prossime settimane a venire. Arrivo ed entro, sedendomi davanti per sentire meglio e soprattutto capire, ma la mia attenzione ricade quando riappare quella bellissima ragazza di prima, che non so come, diventi sempre più bella ad ogni mossa che fa.

"Ci si rivede...", esordisce la ragazza corvina, aspettando la mia risposta col nome e cognome.

"C... Cabello, Camila Cabello", dico balbettando e maledicendomi nella mia testa. Lei sorride, che sorriso magnifico che ha, per niente banale e comune come quello di tutti gli altri.

"Cosa la porta qui, Cabello?" chiede di rimando la ragazza corvina, mentre inizia a scrivere qualcosa alla lavagna con il pennarello indelebile nero come i suoi capelli, che tiene sciolti e ondulati come i miei.

"Ho sempre amato questo ambiente e sono felice di prestare qui per lo stage di prova...", sono sicuramente tutta rossa, ma ho provato a non sembrare una sciocca che non sa formulare un discorso con senso compiuto ai suoi occhi verdi.

"Speriamo che mio padre la prenda allora", risponde lei con molta tranquillità e io rimango di stucco. Se mi prendono, ho lei come capo.

"Cosa...?" ci interrompono e sposta lo sguardo su altre persone che stavano entrando nella sala, a cui lei rivolge un sorriso. Si vede che sa fare il suo lavoro e sa mettere a proprio agio le persone. Si mettono tutti seduti e si spengono le voci, ma una luce resta puntata su quella ragazza e sulla lavagna.

"Buongiorno a tutti, io sono Lauren, Lauren Jauregui e sono il capo di questa azienda qui a Cuba. Voglio iniziare col dire che questo stage è solo una prova per vedere come ve la cavate e come riuscite a svolgere il vostro lavoro anche nei momenti più difficili. Non voglio spaventarvi, ma semplicemente essere sincera con voi, visto che mio padre ha un pugno di ferro e dovete abituarvi ai suoi modi. Allora, nei primi giorni potrete farvi un giro per ambientarvi e avrete un ufficio di prova che, se riuscirete a superare il periodo, sarà vostro. Io sono a vostra completa disposizione per qualsiasi cosa, dubbio e non che sia e se avete domande, sono qui per rispondere, chiaro?" dire che è bella quando spiega e si muove, è a dir poco diminutivo. Non mi vengono domande perché si è spiegata benissimo e non ha tralasciato niente, deve averlo fatto più volte per essere così sicura di sé: voglio avere questo posto.

So bene la difficoltà, ma devo realizzare i miei sogni, di andare più lontano possibile e di aprire finalmente una mia azienda personale, ma devo prima farmi un nome.

Ci rivolge un sorriso ed esce e sento altri tre ragazzi iniziare a fare commenti poco carini verso di lei, ma decido di ignorarli e di uscire per fumarmi una sigaretta che stavo letteralmente morendo di caldo in quella stanza; esco e prendo una sigaretta portandola alle labbra e accendendola, ma sento una presenza familiare.

You, me, usTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon