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By Rockketqueen

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Georgia Beck desidera diventare una psicologa. Trasferitasi a Sofia per lavoro, trascorre la maggior parte de... More

Prologo
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By Rockketqueen

Uno spiraglio di luce accecante mi impedisce di continuare a dormire, così apro gli occhi scostando le lenzuola. Damian e Tim sono seduti sul divano, con la testa china sullo schienale. Anastasia invece, dorme beatamente accanto a me, dandomi la schiena. Appoggio piano i piedi sulla moquette, portandomi i capelli indietro. Fuori piove. Siamo in luglio, ma quest'anno l'estate esita a farsi vedere. Raggiungo la cucina, preparando del caffè. Non appena la caffettiera inizia ad emanare il suo profumo inconfondibile, odo dei brontolii dal soggiorno. Vedo Tim stiracchiarsi. Dopo di lui Damian, che svogliatamente si alza dal divano, stropicciandosi le palpebre. Ancora con gli occhi semi chiusi, viene da me. "Che ore sono?". "Quasi le otto". Mi mostra le sue iridi color ghiaccio, sporgendosi su di me.

"Da quanto sei sveglia?". "Qualche minuto...". Tim si avvicina al materasso, dando un buffetto ad Anastasia. "Mmmmh" bofonchia lei, portandosi le lenzuola sulla testa. Tim insiste, quindi assistiamo ad un momento catartico. Lui ci riprova e lei, involontariamente o meno, alza il braccio tirando una sberla al suo ragazzo. Rido sommessamente, facendo svegliare Anastasia. "Cos'è successo?" domanda, mettendosi a sedere. Io e Damian la guardiamo, trattenendoci dal ridere. "Che c'è?" continua, poi si volta verso Tim che si sta strofinando la mano sulla guancia. "Oh Dio, scusami. Stavo facendo uno strano sogno...". Mi faccio seria, rammentando quello che ho concluso io pochi minuti fa. Gli incubi sembrano volermi fare compagnia. Non mi abbandonano mai. Continuo a vivere nell'inquietudine, nel dolore persistente. La caffettiera fischia, perciò spengo la fiamma versando il caffè in tre tazze. Io non posso berlo, anche se vorrei. Anastasia e Tim raggiungono pigramente il tavolo da pranzo, sedendocisi.

Ci accomodiamo l'uno accanto all'altro. "Oggi lavori?" domanda Damian al suo collega. "Sì, ho il turno dalle sei a mezzanotte". Lui mi guarda, poi continua. "Ho delle cose da fare. Ana, puoi stare qui con Georgia per un po'?". Anastasia fa di sì con la testa, inzuppando un biscotto nel caffè. "Tim, devi accompagnarmi". Finiscono entrambi di fare colazione e si preparano. Blocco Damian, allarmata. "Quali sono le cose che devi fare?". "Niente di cui devi preoccuparti..." mi mette le mani sulle braccia, guardandomi negli occhi "...per qualsiasi cosa, chiamami" mi bacia frettolosamente, infilandosi il portafoglio nella tasca posteriore dei jeans. Non ha preso la pistola, perciò sono leggermente più sollevata. Torno da sua sorella, sedendomi accanto a lei. "Tuo fratello è davvero testardo. È sempre stato così?" Anastasia alza gli occhi al cielo. "Non hai idea. Anzi, adesso è migliorato da quando sta con te. Da piccolo, per ogni cosa ne faceva una polemica. Si chiudeva in camera sua e non parlava con nessuno. Testardo e permaloso". Sorrido, anche se il suo racconto non sembra descrivere l'uomo da cui aspetto un figlio. "Sembrava lui quello più piccolo. Io mi sono sempre definita più matura rispetto a Damian. Infatti avevo più regali dai miei genitori". Rido ancora. "Grazie" dico all'improvviso. Anastasia sgrana gli occhi. "Per cosa?". "Per farmi ridere, per essere qui. Sei una buona amica". Mi abbraccia, facendomi sentire amata. "Hai un'idea di come chiamerai mio nipote?". Faccio spallucce; non ci ho pensato. Ho troppe cose per la testa, c'è troppo rumore. "Hai qualche consiglio da darmi?". Lei ci pensa su, portandosi una mano al mento. "Tuo padre come si chiama?". "Zachary..." rispondo. È da un po' che non sento i miei genitori, da quando ho scoperto di essere incinta. Forse dovrei chiamarli. "Potresti chiamarlo come nostro padre" inizia a dire lei. "E come si chiamava?". "Sebastian".

[...]

Non appena lasciamo l'appartamento di Georgia, percepisco uno strano formicolio lungo le gambe. Era da un po' che non uscivo di casa. Non avevo nemmeno voglia, di uscire di casa. Tutto quello di cui ho bisogno è in quell'appartamento, a portata di mano. C'è solo Georgia per me. "Ok, sto approvando questa tua improvvisa fuga. Ma mi sai dire dove stiamo andando?". Mi metto io alla guida dell'auto di Tim. "A Plovdiv" ammetto, tenendo le mani strette sullo sterzo. "A Plovdiv? Intendi dire al carcere dov'era rinchiuso Ivan Breznev?"."Precisamente" rispondo, risoluto. "E cosa vuoi andare a farci? Lui non è lì"."Siamo della polizia. Possiamo indagare". Tim annuisce, ma nel contempo aggrotta la fronte. Non è d'accordo con me e nemmeno io lo sono con me stesso, ma dovevo trovare subito un rimedio all'angoscia che mi sto portando dentro da settimane.

Arriviamo a Plovdiv in un'ora e mezza. All'ingresso mostriamo i distintivi, quindi loro ci lasciano un badge per passare. Camminando lungo i corridoi, veniamo osservati dagli uomini corpulenti dietro le sbarre. La maggior parte di loro è come ci si aspetta sia un criminale. Sono pieni di tatuaggi, irascibili, con la bava alla bocca. Altri invece, si mostrano abbastanza tranquilli e restano distesi sulle brande con lo sguardo fisso verso il soffitto. Arriviamo dal capitano delle guardie, che ci accoglie nel suo ufficio. "A cosa devo la visita da parte della Polizia di Sofia?". Tim guarda me, ma poi prende la parola per entrambi, schiarendosi la gola. "Abbiamo bisogno di informazioni riguardo un vostro detenuto". "Ex detenuto" correggo Tim, mettendomi a braccia conserte. "Giusto, sì..." continua a dire il mio collega, nervoso "...lo avete rilasciato quasi un mese fa per un problema di sovraffollamento".

Il capitano Deakins annuisce. "State parlando di Ivan Breznev, dico bene?". Io e Tim ci guardiamo. "Proprio lui. Cosa ci sa dire sul suo conto?". Deakins alza le sopracciglia, soffocando una risata. "È stato una spina nel fianco per me, nell'ultimo anno. Il carcere non era il posto giusto in cui sarebbe dovuto stare. Dovevano mandarlo in un ospedale psichiatrico, ma poi non c'è stato più nulla da fare. Troppe pratiche da firmare e lui non era abbastanza malato per finire lì..." si alza dalla sedia, andando verso uno schedario. Tira fuori dei fogli, porgendoli a Tim. Li prendo prima che possa farlo e li sfoglio. "La prima sera in cui è stato qui, ha urlato tutto il tempo, tenendo svegli gli altri detenuti. Lo abbiamo sedato, ma i farmaci sembravano non avere effetto su di lui. Era incontrollabile, irruento. Dopo un paio di mesi lo abbiamo messo in isolamento. C'era una guardia che gli portava da mangiare due volte al giorno..." leggendo sui fascicoli, vedo la foto di Breznev e della guardia, sgranando gli occhi.

"Quello che sto leggendo è successo davvero?". Il capitano annuisce, spaventato. "Purtroppo sì. Breznev ha preso la forchetta e ha infilzato il mio agente, finché non è morto dissanguato". All'improvviso, mi sento più angosciato di prima. "Capisci con chi ho a che fare?" domando a Tim, sottovoce. "Lo conoscete?". Il capitano si interpone tra di noi, quindi Tim prende la parola, vedendomi turbato. "L'anno scorso ha rapito il mio collega e la sua ragazza, che allora era solo un'amica. Voleva ucciderli entrambi, ma poi sono intervenuto io". Il capitano torna a sedersi, avvicinando la sedia alla scrivania. "Perché Breznev ce l'aveva con voi?". "Ivan aveva una sorella, una sorellastra. Si chiamava Bianca. È stata a letto con lui..." mi indica, senza però guardarmi "...c'era una festa in barca quella sera. Bianca aveva una relazione con il capitano di bordo. Questo l'ha uccisa con una mazza da baseball, cercando di incolpare il mio collega. Dopodiché è apparso Breznev e, venuto a sapere della morte della sorella di cui lui era innamorato, ha ucciso a sua volta il capitano della barca". Tim racconta l'accaduto per filo e per segno.

Sono quasi due anni che è successo,ma ricordo ogni singolo particolare, come se fosse successo soltanto ieri. "Il detective Jeffrey mi ha inseguito per mesi, pensando fossi colpevole. Siamo riusciti ad incastrare Breznev e poi è finito qui. Però adesso lo avete liberato..." digrigno i denti, balzando in piedi "...perché diamine lo avete liberato? Quello è uno psicopatico assassino. Non merita la libertà". Deakins aggrotta la fronte. "Mi dispiace. Lo stiamo cercando da quando si è sfilato la cavigliera, ma non abbiamo avuto riscontri". "Siete degli incapaci!" urlo ancora, sbattendo i pugni sulla scrivania. "Incapaci. Ora la mia ragazza è in pericolo a causa vostra. Se dovesse succederle qualcosa, giuro che tornerò qui e..." Tim si alza, mettendomi una mano sul petto. "Damian, andiamo via". Punto il dito contro il capitano, raggiungendo l'ingresso a passo pesante.

Non appena siamo vicino alla macchina, Tim mi riprende. "Ti sembra il caso di minacciare il capitano di un carcere di massima sicurezza?". "Non mi importa che grado ha. Non mi importa chi è. Io ho una famiglia adesso e non mi fermerò finché Breznev non sarà completamente fuori dai giochi". Questa volta Tim si mette alla guida,mentre io mi mangio le mani, restando seduto inerme sul sedile del passeggero.

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