Of the night

By bloom_red

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Rosalie. Ventun anni di vita e morte che non sono altro che la somma di una serie di perversioni e fissazioni... More

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Epilogo

Capitolo 9

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By bloom_red

Piove. Il ticchettio della pioggia contro il tetto della villetta che divido con Steve è incessante, è come una nenia che mi culla da ore oramai. Credo di non non essermi mai mossa così velocemente come quando ho dovuto portare Steve a casa ed assicurarmi che stesse bene, che sopravvivesse. L'ho ripulito completamente, l'ho messo nel suo letto e a mia volta mi sono ripulita: l'odore del sangue mi stava martellando la testa. Noah è rimasto con noi per tutto il tempo, gli ho dato dei vestiti puliti e lasciato che usasse la mia camera. Gli ho mostrato dove fosse – in sostanza di fronte a quella di Steve, ognuna delle nostre camere occupa uno dei lati opposti dello stesso corridoio – e gli ho detto di fare come se fosse a casa sua. Non che la cosa possa essere realmente rassicurante, non per un umano che ha appena scoperto di un Mondo Sommerso che pensava vivesse solo fra le pagine di un libro o di una sceneggiatura di un film. Ho preso un solo cambio per me, ho usato il bagno della camera di Steve per darmi una ripulita. Come una desperate housewife ho raccattato tutti i vestiti sporchi, caricato una lavatrice e svuotato mezzo flacone di candeggina per coprire l'odore del sangue. Steve dorme, dormirà ancora per ore ed ore, so per certo che sta bene, a parte il fatto che sicuramente è debilitato fisicamente. Lo so perché tutto il dolore di quelle ferite, il bruciore dei tessuti che si stanno rimarginando, lo sto patendo io. Funziona così quando dai il tuo sangue a qualcuno, il suo dolore diventa tuo. È per questo che i vampiri non sono così prodighi e scalpitanti nell'offrire il proprio sangue, nessun vampiro vuole patire un dolore che non gli appartiene, nessun Eterno vuole tornare a sentirsi umano in questa maniera.

Ho pettinato a lungo i miei capelli, li ho lasciati umidi e raccolti in una specie di cipollotto scombinato che non è troppo alto, nemmeno troppo ordinato per amore di cronaca. Ho visto tempi migliori, sicuramente. Potrei sembrare anche umana nella fragilità che mi avvolge in questo momento, ma il mio incarnato è un po' troppo spento, le occhiaie un po' troppo evidenti, l'inquietudine inscurisce troppo i miei occhi e ne spegne qualsivoglia vitalità. Esco dalla camera di Steve con l'intenzione di vedere come sta Noah. Non dimentico che ci sia anche lui in giro per casa, l'ho lasciato forse troppo a lungo da solo, ma so per esperienza che quando hai tanto da macinare ed assorbire, far tuo, la solitudine è essenziale. Lui solo effettivamente non c'è stato, è stato avvolto dalle mie cose, dal mio mondo racchiuso in una camera. La porta della mia camera non è chiusa, è lasciata aperta. Mi avvicino con cautela, so di non essere sentita perché il cuore di Noah ha un ritmo regolare e poi, tutto sommato, io so rendermi invisibile e silenziosa. Sono scalza, i pantaloncini di cotone che indosso sono un po' tanto corti, lambiscono la curva inferiore delle natiche ed accolgono nella coulisse un po' a vita alta il bordo inferiore della mia t-shirt grigio spenta della New York University, in teoria studio ancora lì sapete?
Per qualche istante mi fermo contro la cornice della porta e lo osservo. Ha la maglietta di Steve in mano, i suoi pantaloncini addosso. I capelli sono un po' umidi ancora, lo sguardo è fisso contro la parete dove ho attaccato una comunissima bacheca di sughero con delle foto. Non ci sono foto di Logan, ma tante di Noel, di Steve, di Beatrice, dei miei fratelli, dei miei genitori, sì. Le sta osservando, una in particolare vede me e Steve davanti al campus a New York. Sorrido, ho le guance arrossate da un imbarazzo adolescenziale mentre Steve mi stringe e c'è un altro ragazzo che fa un po' cucù nell'inquadratura, unendosi all'abbraccio. Lo vedo sporgersi a guardare quelle foto, è come incantato credo.

« Quello è Christopher. » interrompo qualunque suo ragionamento mentale e gli scombussolo il ritmo del cuore. Si volta verso di me, mi osserva da testa a piedi. Sapete, i battiti del cuore non mentono mai. Hanno un ritmo preciso per ogni emozione che sentiamo. La paura, ad esempio, ha un ritmo decisamente diverso da quello sfarfallio che il cuore di Noah sta subendo in questo momento mentre mi osserva. Sono appoggiata con la spalla sinistra contro la cornice della porta, le braccia incrociate sotto il seno e la punta del piede sinistro che si appoggia contro il dorso del piede destro. Lui si drizza, non si muove di molto da quella parete, sembra solo osservarmi da testa a piedi come se dovesse assicurarsi che sto bene. Intercetto l'odore di sangue ancora un po' fresco, scivolo con lo sguardo verso le sue mani: ha le nocche fracassate a momenti. Questo succede quando prendi a pugni un mannaro, volevo solo dirlo. Mi metto più dritta, mi avvicino a lui a passo umanissimo il che fa quasi sorridere dopo quanto mi ha vista fare, ma tant'è. Osservo il viso di Christopher che sorride dalla foto. C'è la solita fitta lì nel cuore, quel cuore che batte al ritmo imposto dalla Signora Morte. Eravamo felici lì, sapete? Avevamo tutta la vita davanti, avevamo progetti tutti nostri.

« Avevamo appena finito di sistemare la mia camera al campus. C'era un caldo così afoso quel giorno, sembrava di respirare acqua. Chris si lamentava ogni dieci minuti. » sbuffo un accenno di risata. Un Eterno perde parte dei suoi ricordi umani, sapete? Non dimentica, solo che quello che è stato ti rimane come se fosse la trama di un film che hai visto tanto tempo fa e che non ti suscita quasi più nessun ricordo. Funziona per tutti così, non faccio eccezione. Chris la fa. « Era così pieno di vita. Aveva così tanti progetti... » lascio vagare lo sguardo, soffermandomi su una foto in particolare: siamo io e Christopher seduti sul sedile posteriore di una Jeep di quelle un po' scassone. Siamo in Messico, me lo ricordo bene quel viaggio. Ho i capelli sciolti, smossi dal vento. Il braccio di Chris mi cinge le spalle, il suo viso affonda vicino al mio. Sorrido appena nella foto, ho gli occhiali da sole e l'aria più felice del mondo. « Questa ce l'ha fatta Steve. Eravamo in Messico. » racconto ancora.

« Sembravi amarlo molto. » la voce di Noah mi riporta con lo sguardo su di lui. Lo osservo per qualche istante e quello che sento è solo dolore. Tanto dolore.

« Una parte di me continuerà ad amarlo sempre. » carezzo appena la foto, consapevole che il mio per sempre è davvero per sempre.

« Che è successo? » una domanda legittima direi.

« Siamo morti. » abbasso la mano, ma continuo a guardare quella foto. « In due momenti diversi, ma è successo. E non è più stato lo stesso. » per mille ed uno motivi che adesso non nomino né carezzo manco col pensiero.
C'è silenzio da parte di Noah, silenzio solo della voce perché il suo cuore fa un casino tremendo. Socchiudo le palpebre qualche istante e mi volto. « Vieni, diamo una sistemata alla mano. E devi mangiare. » lui è umano e io non lo me lo dimentico. Come potrei? Il suo cuore in quel petto fa un casino terribile e oggi sono talmente sconfitta che non voglio pensare a quel "what if" solito che mi attanaglia.

Lo guido verso il piano inferiore invece, cammino appunto a un passo che lui può sostenere senza problemi, mi segue forse ancora più confuso di prima io credo. La vetrata del salone che si fonde con la zona cucina mi accoglie rimandandomi quella pioggia incessante che ha deciso di abbattersi sulla città. Non sento freddo, né caldo, però per sicurezza nel passare accanto al termostato, aziono il riscaldamento perché non posso basarmi solo sulle mie sensazioni, rischierei di far assiderare sia Noah che Steve. Indico a Noah il bancone dell'isola della cucina, lì dove ci sono gli sgabelli che Steve usa più spesso che delle sedie del tavolo da pranzo. Roba inutile per me, capite bene. Dal ripostiglio recupero la cassetta del pronto soccorso: è molto scarna, né io né Steve la utilizziamo molto, ma sicuramente è sempre meglio di nulla. La deposito sul ripiano, aspetto che Noah si sia seduto. Mi sta guardando con quello sguardo un po' corrugato, quella confusione mista ad incazzatura che domina nei suoi lineamenti mi rende più sensibile di quanto non vorrei.

« Permetti? » sì. Chiedo il permesso di toccarlo. Vorrei evitare che mi strillasse nelle orecchie, ora come ora sono sensibile. Annuisce e mi porge la mano, la rigiro fra le mie. Sono mortalmente fredda, come cerco di evitare sempre. Provo sempre a tenermi nutrita abbastanza, mi aiuta nel mio controllo, mi aiuta nella mia stabilità. E mi aiuta ad apparire più normale, meno stridente col mondo che mi circonda. Ma adesso la differenza di temperatura fra me e lui si sente eccome.

« Non ti ricordavo così fredda. »

« Non lo sono mai, difatti. » rigiro la sua mano fra le mie, cerco di fargli muovere le dita per controllare che non ci sia nulla di rotto. Sento il suo cuore impennarsi appena gli muovo la mano e sollevo lo sguardo, mi viene voglia di cazziarlo. Nel guardarlo meglio, noto tutti i lividi che ha addosso, sulle spalle, sul petto. Il placcaggio al mannaro.

« Non fa così male. » cerca pure di rassicurarmi.

« Fai schifo a mentire. » lo rimbecco. Mi strofino la faccia con la mano libera e poi la porto contro la mia schiena.

« Sto bene, davvero. Ho già fatto una rissa cosa credi. » sembra quasi offeso con quel cipiglio incazzoso che emerge.

« Oh non dubito. Anche io, sai? » sono ironica ovviamente.

« Eh, ho visto. » mi fissa più apertamente.

« Risponderai alle mie domande? »

« Dipende. »

« Da cosa? »

« Bevi il mio sangue? » ha probabilmente la mano se non rotta, con qualcosa di fuori posto. I lividi che gli stanno macchiando la pelle non mi piacciono manco un poco. Non posso portarlo in ospedale, primo perché odio gli ospedali, non avete idea di quanto sia un posto infernale per quelli come me; secondo non intendo lasciare solo Steve. Ho fatto trenta curando uno, completo facendo trentuno dando il mio sangue pure a Noah.

Il suo cuore ha un'impennata pazzesca, mi guarda non spaventato, ma con diffidenza. « Perché? » una domanda logica anche questa.

Gli indico la mano. « Preferisci andare in ospedale? » alzo le mie mani, per poi intrecciare le braccia sotto il seno.

« Che succede se lo bevo? » lo chiede quasi titubante, osservandomi i polsi come se fossi pronta a cacciargliene uno in bocca – il che così errato non è. Però finalmente una domanda sensata, forse un po' di paura ce l'ha ed è un bene.

« Succede che ti guarisco. Ci vorrà qualche ora, rimarrai qui fino a domani magari, evitiamo che mi muori appena esci da casa. In quel caso ti trasformeresti, diventando come me. » ma cosa sono non gliel'ho mica detto. Nemmeno la parte del dolore.

« E tu cosa sei? » non si può dire che non prenda la palla al balzo lui. A questo punto chiunque altro, nei film, nei romanzi, dà risposte ad effetto. Di quelle super wow che ti lasciano col fiato sospeso e l'altro che le sente rimane affascinato da te. Così dovrebbe essere. Io mi limito a fissarlo per qualche istante buono.

« Morta, Noah. Ecco cosa sono. » non è errato, io sono davvero morta. La vita non mi appartiene più, non come appartiene a lui. Prendo un respiro, lo sbuffo dalle narici con impazienza, scocciata. Il silenzio ci avvolge per un po' di istanti, io guardo fuori dalla finestra, immobile. Nemmeno respiro, forse voglio proprio che lui veda tutto il mio peggio, il peggio della mia natura e che si spaventi. Aspetto il momento in cui il suo cuore gli imploderà nel petto soccombendo ai morsi del terrore. Non avviene niente di tutto questo, lo sento passarsi la mano sana fra i capelli e poi sbuffare, incazzoso.

« E va bene. Dammi questo cazzo di sangue. » Volgo lo sguardo su di lui, in teoria dovrebbe cacarsi sotto al solo vedermi così seccata. Di solito succede. Lui mi sfida continuamente ed è snervante. Specie adesso che mi sento vulnerabile come non mai.
Porto la mancina verso la bocca, snudo le zanne senza nascondermi. Se non ha paura, che veda. Affondo nel mio polso, basta poco. Il mio battito è lentissimo, passo la lingua contro la mia arcata dentale superiore e sento le zanne ritrarsi mentre allungo il polso verso Noah, porgendoglielo.

« Basta poco. » lo rassicuro a modo mio.

Mi prende la mano con una sorta di delicatezza, ne carezza il dorso e mi guarda ancora una volta prima di posare le sue labbra contro la mia pelle. Più che bere il mio sangue, sembra mi stia baciando la pelle. È delicato come la punta di una piuma, carezza con la mano la mia e seppur beva poco, ci mette un bel po' a staccarsi da me. Non so dirvi come mi sento. Sottosopra sarebbe riduttivo. Sono incantata e, al contempo, terrorizzata da ciò che vedo. Ritraggo lentamente la mano dalla sua, sento la destra iniziare a pizzicarmi, così come la spalla sinistra. Il mio sangue sta facendo effetto e lo sento sulla mia pelle, lo vedo su Noah che sembra stupefatto dal modo in cui la mano smette evidentemente di fargli male.

« Wow. » ruota la sua mano, la chiude lentamente e poi mi guarda. Io mi sto semplicemente leccando la ferita che io stessa mi sono inferta, in modo che la mia saliva aiuti il processo di rigenerazione automatico che ho. « com'è possibile? » me lo chiede come un bambino estasiato davanti a un trucco di magia.

« Natura. » non c'è altra spiegazione. « Perché gli uccelli volano? Perché i mannari sono lupi? » retorica, chiudo così il discorso.

« Ho bevuto il tuo sangue. Devi rispondere ora. » mi fa presente col tono quasi ovvio mentre si appoggia con i gomiti contro il bancone. Ancora senza maglietta, giusto per rendermi più facile l'esistenza, è evidente.

« Ti ho risposto. » è vero. Una risposta gliel'ho data.

« È tua abitudine massacrare... com'è che li hai chiamati? Mannari? » prende un istante e si sofferma a guardarmi. « Pensavo fossero solo leggende. »

« Tutte le leggende hanno un fondo di verità, non lo sai? » quasi divertita eh. « No. Massacro solo chi vuole ammazzare Steve, di solito. » sollevo appena le spalle, faccio qualche passo indietro. In realtà vorrei preparargli qualcosa da mangiare, ma lui allunga la mano e cerca di prendere la mia. La destra, per l'esattezza. Ed è un errore madornale, perché quella ora mi fa male. Un gemito mi scappa e ritraggo la mano come se mi fossi scottata.

« No, non toccarmi. »

« Che hai fatto? » il suo cuore ragazzi, il suo cuore non mente. Ha uno scompenso, corre a un ritmo diverso.

« Tu... ti stai preoccupando per me?! » mi sembra così assurdo che a momenti scoppio a ridere.

« Non c'è niente da ridere. Che è successo? Cristo, Lie. Ti lanci dai tetti e sembri Xena, adesso ti tocco e ti fa male la mano... » si ferma, mi fissa, fissa il mio polso, la sua mano. Poi torna a guardarmi negli occhi. « Che hai fatto. » adesso c'è un'accusa nel suo tono.

« Io niente. » mi difendo, nemmeno io so perché. « Ti ho dato il mio sangue. »

« Questo lo so! » gli si alza la voce di un'ottava. « Non eludere le mie domande, per una volta rispondi, cazzo! » è davvero incazzato, santo cielo. E io non me lo aspettavo mica, tanto che corrugo la fronte in un'espressione di confusione un po' indispettita.

« Non urlare. Ti sento anche se sussurri. » della serie "sì stai calmo però". « Per guarire te, devo prendermi io il tuo dolore. Funziona così, anche con Steve è lo stesso. Ci vogliono ore affinché i tessuti guariscono. Nel momento in cui tu sei guarito, io sono libera. » lui così come Steve.
C'è una vena che si sta ingrossando, lì alla sua tempia. È uno spettacolo quasi comico se non fosse che veramente, Noah è incazzato come non mai.

« Dovevi dirmelo. » non sta urlando, per fortuna.

« Ora lo sai. » sollevo di poco le spalle, scrollandole.

« ORA. » di nuovo, quasi urla. Lo vedo proprio che cerca di trattenersi. « È perché sei "morta" che sei così stronza oppure lo sei di tuo di natura? »

Ah!? Come scusa!? Sta cercando di insultarmi o... che diamine sta accadendo? « Di solito almeno mi impegno, stavolta che avrei fatto per meritarmi tanta veemenza? » chiedo, per completezza.

« Lo sai. » si allontana da me, si porta le mani ai fianchi, fa un po' su e giù nel salotto.

Questi umani mi ammazzeranno, prima o poi. Io ne sono convinta. Mi siedo sul ripiano del bancone, ciondolo un po' con le gambe nel vuoto e lascio che lui sfumi quello che ha dentro, qualunque cosa sia.

« Lo so. » molto poco convinta, ad onor del vero.

« Sì! » mi guarda malissimo. « Fai così sempre, cristo non lo sopporto. Arrivi, fai, distruggi, te ne vai, sparisci. Dai quelle cazzo di mezze risposte e mi lasci lì come se io potessi capire tutto da me. BEH NON È COSI'. » Più lui si agita, più lui parla, più io mi sento male. Il suo cuore mi martella la testa.

« Noah... » sono stanca, si sente.

« Eh no. Noah un cazzo. Ascoltami tu, Rosalie. »

« Ti ascolto sempre. » è questo il dramma, sai?

« Non credo proprio sennò non ti comporteresti così. » mi sta cazziando ragazzi. Strano, ma vero.

« Sì invece. »

« Ti dico di NO. »

All'ennesima impennata di voce lo fulmino con lo sguardo. « TI CALMI!? » io non urlo mai. M A I. Adesso sento la mia voce abbattersi su di lui, la frustrazione diventare più evidente anche a lui che è umanissimo. « Il tuo cuore. » lo indico. « Se continui così mi costringi ad andarmene. Mi fai stare male. »

Si guarda il petto, se lo tocca anche prima di guardare me. « Che vuoi dire. » ora sì, sussurra quasi.

« Che ti sento sempre. Sento il tuo cuore, il modo in cui respiri. L'odore delle tue emozioni sulla tua pelle. » mi fa male la testa, davvero. Dovrei nutrirmi, uscire da questa casa, allontanarmi dal suo odore. « Il tuo odore mi fa male. Mi ha sempre fatto male. E ora più ti incazzi, più il tuo cuore batte. Più il tuo cuore batte, più mi fai male. » scivolo lentamente giù dal bancone, muovo dei passi verso il corridoio, ma lui mi segue. Le sue mani mi arrivano ai fianchi, ha imparato: niente mano.

« Aspetta. » mi prende il viso fra le mani, mi carezza. Io gli ho appena detto che ogni battito del suo cuore mi fa male perché vorrei morderlo, lui mi coccola. Questo umano ha seriamente qualcosa che non va nel suo cervello, dov'è l'istinto di sopravvivenza? Deve averlo pure lui, da qualche parte. Mi bacia lo zigomo, piano piano, come se fossi fatta di cristallo quando è lui quello fragile fra i due.

« Scusami. » si sta scusando per cosa? È assurdo.

Sbuffo un sorriso amaro. « Per cosa? Per essere vivo? » un po' amara nella mia ironia.

« Smettila, Ph. »

« Mi hai appena dato dell'acida? »

« E sei pure fortunata, io direi. »

« Wow. » no, non ha istinto di sopravvivenza, lo confermo. Anche perché mi attira di più a lui, sembra che ora che mi ha così vicina, non riesca a lasciarmi andare. E' esaltato da quella vicinanza, più che spaventato. Respira piano, come se temesse di offendermi anche col solo respiro.

« Voglio farti stare meglio. » evidentemente carezzarmi i fianchi, strofinare il suo viso contro il mio, non è abbastanza nella sua mente. « Che posso fare? » parla pianissimo e il mio udito ringrazia, il mio istinto no.

« Ho fame, Noah. Più mi stai vicino, peggio è. » ho fame sul serio. Non mi nutro da ore, ho in circolo la guarigione di due esseri umani e sono stanca. La testa mi pulsa come non mai, sono pallida ed avrei davvero bisogno di soddisfare la mia fame. Lo sento deglutire, respirare più pesantemente mentre cerca di abbracciarmi maggiormente. È così caldo. Profuma di buono, profuma di oceano. Lo stesso odore del mattino presto che si mescola alla salsedine.

« Come fai a nutrirti? » una domanda che si accompagna ad altri baci sulle mia guance, coccole non richieste, coccole che fanno bene e fanno male. Cerco di essere più ferma possibile, non voglio fargli del male. Lui per me è importante, davvero.

« Vado a caccia. » grazia, graziella e grazie al cà. Prendo un respiro e mi inonda il suo profumo. Errore, grosso errore eh. « Mi nutro di sangue umano. Non uccido nessuno, non mi serve. » non sono una neonata che dissangua facilmente le sue vittime. « Riesco a manipolare la mente degli altri, li rendo mansueti. Loro non soffrono, è come un sogno che poi si dissolve nella mente. Non ricordano nulla una volta che ho finito. » non mi giustifico, cerco solo di spiegarmi più che altro. « Sfrutto il loro desiderio, la voglia che hanno di stare con me. È natura, siamo fatti per attirare le nostre prede come piante carnivore. Il mio odore, il mio aspetto, il suono della voce. Tutto è attraente, tutto è seducente. » più parlo, più il suo cuore segue il ritmo della mia voce. È emozionato, lo sento anche dal suo odore, dal modo in cui mi stringe.

« Gira tutto intorno al sesso, quindi? » è sporcata da una punta di gelosia quella domanda. Scuoto piano il capo.

« Ho detto desiderio. È creato ad hoc, è caccia. Non c'è sesso per me, non sono attratta da chi caccio. » è un po' come se foste attratti dal tacchino del Ringraziamento, oh saranno anche gusti, ma non è usuale.

« E questo vale anche per me? Con me? » la stronza poi sarei io, non lui che mi chiede queste cose mentre mi carezza il collo con le sue labbra, posando piccoli baci quasi impercettibili se non fosse che io sono una vampira e sento pure le virgole nell'aria.

« Non ti ho mai morso, né levato ricordi. » potrei mentire e seminare il dubbio, ma preferisco di no. Lui sorride contro il mio collo e si rimette dritto, guardandomi negli occhi. È pieno di una soddisfazione ruggente, bestiale quasi.

« Mordimi. » detto senza paura, senza esitazione. Con aspettativa, eccitazione anche.
Non ci credo, vi giuro non ci credo. Lo guardo come se non fosse reale e forse lui capisce al volo questo mio frastuono emotivo.
« Mordimi, Rosalie. » è serio. Fin troppo serio. « Ti voglio, in qualunque modo tu sia. Quindi, mordimi. Ne hai bisogno, mi fido di te. Non mi ucciderai. » lui si fida di me. Non sa niente di me. Quattro cose in croce, frammentate perché sono una stronza davvero e non ho voluto che sapesse troppo. Eppure si fida. Eppure mi vuole. Eppure si sta offrendo a me. Eppure si sta avvicinando e... che sta facendo. La sua mano va alla mia nuca, è avvolgente in quella carezza che guida il mio viso verso il suo. Le sue labbra si posano senza indugi contro le mie. Non gli importa che sia fredda come la Morte, non gli importa che sia morta davvero. Mi sta baciando al di là delle nostre differenze razziali. Non è prepotente, ma ha una fermezza in quel cercare la mia lingua, nel trasmettermi la voglia che ha di me. La sua mano sul mio fianco si muove appena, si intrufola sotto la maglietta e cerca la mia pelle nuda, imprimendo una forza tale da far appiccicare il mio corpo al suo, risalendo poi verso il costato. Non indosso niente sotto quella maglietta e adesso la mia pelle va letteralmente a fuoco sotto le sue carezze. Mi stringo a lui, lo stringo abbastanza da avere una presa ferrea e mi do una spinta tale che in un battito di ciglia ci ritroviamo sul divano. Trema appena sotto quell'impeto con cui l'ho praticamente fatto sedere, poi allarga appena le braccia e si guarda intorno.

« Wow. » c'è l'accenno di una risata mentre torna con le mani addosso a me. Sorrido anche io, mi fa ridere in quelle sue reazioni, perdonatemi. Mi attira su di lui, scivolo sulle sue gambe e mi metto a sedere a cavalcioni sulle sue gambe, affondando con le ginocchia sui cuscini in modo da non pesargli troppo addosso nonostante non sia granché pesante. Gli carezzo il viso, continuo a baciarlo mentre lui continua a toccarmi un po' ovunque: fianchi, sedere, sotto la maglietta, senza mai arrivare al seno però. Scendo con le labbra verso il suo collo, cielo che profumo che ha. Mi dà alla testa, non posso farci niente. C'è un gemito di sofferenza, non vorrei cedere così tanto, eppure mi ritrovo a sbriciolarmi sotto le sue mani.

« È tutto okay. » la sua voce mi culla, cerca di nuovo il mio viso per baciarmi di nuovo. « Solo... non levarmi i ricordi. Promettimelo. » Gli carezzo la nuca, indago i suoi occhi. Vuole ricordarsi di me, di quello che siamo insieme.

Appoggio appena la fronte contro la sua. « Tutto questo ci farà male, lo sai vero? » sono arresa. Arresa e stanca.

« Ma sono con te. E con te farmi male è anche farmi bene. » a volte parla come se fosse un drogato e io la sua dose di eroina preferita. Solo che pure lui è la mia di dose preferita, e questo è un gran macello, davvero. Scivolo un po' di più sulle sue cosce, arrivo a sfiorare il suo bacino col mio, sento il suo cuore imbizzarrirsi sotto i miei tocchi e non solo quello. La vicinanza dei corpi, quei baci, tutto sta fomentando una tensione sessuale che si esplica in quella tensione nei pantaloncini maschili. Fa piacere, una volta tanto, sentire qualcuno così preso da te. Sentire lui così preso da me.

« Non muoverti troppo. Per favore. » carezzo le sue labbra con le mie, la sua nuca con la mia mancina. « Non voglio farti male. » aggiungo, più seria. Lui annuisce, preso come non mai. Il suo cuore è un tamburo nel petto, scandisce ogni istante di questo momento. Sfioro la pelle del suo collo con la punta del mio naso, mi inebrio del suo odore, della sua eccitazione che preme contro il mio bacino. Bacio il punto esatto dove intendo morderlo, lì dove il collo si fonde con la spalla. La mancina sostiene il suo capo e le mie zanne si snudano in un richiamo naturale. Gli occhi si iniettano così tanto di sangue da apparire neri, completamente neri.

Affondo piano, pianissimo, con le zanne nella sua carne. Mi godo ogni singolo istante, il suo respiro che si spezza sotto quel dolore che non è attenuato da nessuna compulsione o ammaliamento. Mi godo come le sue mani stringono i miei fianchi, come il suo cuore impazzisce sotto il mio morso. Assorbo tutto, ogni stilla di vita, calore, sangue che lui è disposto a darmi. Sento il suo corpo rigido ed arreso fra le mie mani, il suo sangue inondarmi la bocca. È come un'epifania, è la cosa migliore che abbia mai provato nella mia vita e fidatevi, io di droghe, alcool e altri sballi ne ho provati. Noah però, Noah è meglio di tutte quelle cose messe insieme. Mi carezza la schiena mentre bevo piano dal suo collo, non voglio dissanguarlo o farlo collassare. Lo sento flettere appena il capo all'indietro, abbandonarsi alle mie carezze. Affondo piano con i fianchi contro i suoi, sento la sua eccitazione palpabile contro di me e il suo gemito sommesso mentre si aggrappa ai miei fianchi, è come arreso alla potenza di quelle emozioni che fluiscono fra noi come una droga che ti entra già subito potente in circolo.

Mi stacco presto, non voglio eccedere, non voglio fargli del male. Tanti non che mi rimbalzano nella mente e mi fermano. Mi stacco dal suo collo, le zanne rientrano mentre lecco la sua pelle in modo che si cicatrizzi la ferita. Pulisco le mie labbra, la lingua passa anche contro le arcate dentali. Ho la bocca piena del suo sapore, ho il calore del suo sangue che mi riscalda completamente. Lui cerca il mio viso, il mio sguardo. Una sua mano va a sciogliere i miei capelli, li sento ridiscendere lungo la mia schiena morbidi e selvaggi in quelle onde scomposte. Carezza il mio viso, il mio collo. Si ferma con la mano contro la mia pelle, contro il mio petto.

« Quasi lo sento. » il mio cuore, intende. « Sei già più calda. » ha la voce roca, frastornato a sua volta da quello che è successo. « Quanto cazzo sei bella, Rosalie. » un sussurro prima di cercare di nuovo le mie labbra.

Il mio cuore si scompensa, anche se lui non lo sente. Sono sottosopra, anche se lui forse non se ne accorge.
Merda. Che cazzo di casino è appena diventata la mia esistenza.

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