Nebbia E Tenebre | MARVEL โท

By Nadja-Villain

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Per ogni conquista c'รจ un prezzo da pagare. L'antidoto che doveva assicurare la vita ad Astrid l'ha fatta cro... More

๐—œ๐—ก๐—ง๐—ฅ๐—ข๐——๐—จ๐—ญ๐—œ๐—ข๐—ก๐—˜
1 . Fiume in piena
3 . Ventuno Dicembre
4 . Rinforzi
5 . Cantina
6 . Vissuti segreti
7 . Forzatura
8 . Fuliggine
9 . Lucciole
10 . Campanelle
11 . Etere
12 . Confini sottili
13 . Ostaggi
14 . Astrid รจ in TV
15 . Piano ribelle
16 . Saluta i tuoi fan
17 . Manifesto
18 . Dieci per cento
19 . Olio e gas
20 . Infantile
21 . Profondi stati emotivi
22 . Central Park
23 . Presentazioni discutibili
24 . Idromele
25 . Sogni lucidi
26 . Seiรฐr
27 . Zucchero
28 . Opinione Pubblica
29 . Adulti
30 . Confronti
31 . Scambio di coppia
32 . La prestigiatrice
33 . Tornerรฒ
34 . Cautela
35 . Scommesse
36 . Effetto Rosenthal
37 . Ubiquitร 
38 . Condizioni
39 . Confessioni rischiose
40 . Forbici
41 . Voragine
42 . Altitudine
43 . Dritto nel cuore
44 . Cambiamenti
45 . Vecchie amiche
46 . Un'arma su misura
47 . Creep
48 . Dress Code
49 . Sorridi
50 . Esposizione
51 . La Navicella
52 . Ore Piccole
53 . Eclissi
54 . Il Bimbo-geco
55 . Testimoni
56 . Gerbere gialle
57 . Domani
58 . Regole per uscire di casa
59 . Vittime
60 . Zheltyy tsvetok
61 . Un gioco da ragazzi
62 . Pessime idee
63 . Acque calme e braci accese
64 . Disarmati

2 . Tonnellate

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By Nadja-Villain

Il camice sbatacchiava da una parte all'altra in una corsa disperata e priva di traguardo. Arrestò le gambe solo per osservare ogni angolo di quel mondo bizzarro. Quei palazzi così dritti, tutti stretti tra loro, così alti da far venire le vertigini, parevano poter svenire sulla sua testa da un momento all'altro.
Un baccano continuo e alternato, veicoli veloci che si trainavano, si arrestavano e ripartivano rincorsi da rombi e schiamazzi e fumi maleodoranti. Una fiumana di gente si trascinava da una sponda all'altra, le passava accanto sgomitando, la sorpassava e la pressava, ansiosa di unirsi alla mandria che migrava dall'altra parte della strada. Qualcuno la spinse nel flusso, ma lei impuntò i piedi. Il terreno sotto i suoi piedi nudi era ruvido e duro e il calore la rinvigoriva.

Tutto il grigiore e l'irrequietezza della città la travolsero come una tempesta estiva. Si perse tra i pannelli su cui si susseguivano immagini e parole in movimento, tra le punte dei grattacieli di vetro sparse nella foschia pallida e le braccia degli alberi spogli, le aiuole, le lingue diverse che si intrecciavano nei discorsi, i colori dei cappotti e le luci delle bancarelle. Curiosò come una bambina da un posto straordinario all'altro, zigzagando tra le panchine, i vasi e attraversando lunghe strisce bianche parallele, guidata da un connubio di repentine e frequenti stimolazioni sensoriali e una tristezza cosmica che la fece sentire come un contenitore vuoto.

Era in cerca di qualcosa che non sapeva descrivere e richiedere, uno scopo, un motivo, un nome, un volto, un simbolo, una parola che colmasse il soffocamento dell'ignoto. Tanto che fermò una signora e le chiese dove si trovasse. Quella la squadrò dalla testa ai piedi come se avesse visto un serpente parlante, strinse le borse che aveva in mano e mise un piede verso la direzione opposta.

-In che senso dove ci troviamo? Sei a New York, razza di spostata!

Ancora più confusa continuò a camminare. Per un po' seguì la signora, dopo una ventina di metri si perse di nuovo. Sostò davanti a una vetrina di gioielli e ne ammirò il luccichio. Inseguì un profumo di dolce e di fritto e si trovò davanti un gruppo di bambini che puntavano le prelibatezze gonfie, dorate e panose che un signore tirava fuoro dall'olio con una pinza, le ricopriva con dello zucchero a velo e le infilava in sacchetti di carta fumanti. Ci rimase qualche decina di minuti in quella postazione, finché non si lasciò distrarre dalla musica. Un tripudio di trombe e di tamburi trionfava su un ritmo allegro e rimbombava tra le vie.

Corse per raggiungerla. Seguì la strada, rischiando di travolgere un paio di persone e inciampare su un guinzaglio e si avvicinò ad una piazza brulicante e festosa.
Gli edifici erano ricoperti da cascate di luci e decorazioni rosse  verdi e blu che si rifletteva sul pavimento lucido e sulle vetrate. Al centro della piazza si ergeva una colossale piramide di diamanti lampeggianti e su cui capeggiava una maestosa stella rossa. Tutt'attorno le persone si fotografavano dandole le spalle o passaggiavano e chiacchieravano indisturbate e Astrid non riusciva a capire come fosse possibile non rimanerne estasiati. Proprio lì dietro si esibiva la banda che aveva udito qualche quartiere prima.

A dividere lei e quella visione meravigliosa c'era un viale denso e trafficato. Provò ad attraversaro, schivò una modo e un pullman le tagliò la strada a un palmo di naso suonando il clacson in modo esagerato. Affrettò il passo, tra un'auto che sterzava e l'altra, una bici e un furgone della pizza.
Il conducente distratto di un piccolo convoglio inchiodò di fronte ad una sagoma apparsa all'improvviso. Schiacciò il pedale fino in fondo, ma non bastò per frenare il peso del rimorchio che spinse la matrice sull'asfalto scivoloso, inciampò uscendo dall'asse, sdraiò di fianco l'intero veicolo che scivolò ancora in avanti per forza d'inerzia coinvolgendo altre vetture e sollevando un polverone di vinque metri.

Il fianco del furgone colpì Astrid in pieno. All'impatto, seguì lo stridìo del metallo che scintillava in attrito contro l'asfalto. Si susseguì lo sfregolìo delle componenti del motore e il ticchettio della lamiera. Astrid fece pressione con braccia. Ci provò un paio di volte e capì che doveva metterci tutta la forza che aveva in corpo per uscire dalla pressa. Rifocillatasi con il calore del motore, sollevò il veicolo con un grugnito. Tre tonnellate sopra di lei si allontanarono dal terreno come una panchina in pietra. I pettorali, le spalle, le braccia le tremavano così tanto che per un attimo pensò che i nervi l'avrebbero abbandonata e sarebbero saltati come cavi in tensione seppellendola per sempre. Spinse ulteriormente e si fece abbastanza spazio da poter piegare un ginocchio, appoggiare un piede, allungare una mano dopo l'altra e risalire la lamiera, per poi darle un ultimo calciò e sgusciare fuori all'aperto. Il rimorchio sbattè con un tonfo assordante.

Astrid si sdraiò a terra esausta. Aprì gli occhi per ammirare il disastro, mentre alle sue spalle si erano annidati bisbigli e borbottii. A distanza urlavano le sirene di una volante in corsa. 

-Sta bene? - parlò una voce ovattata, ma lei non aveva fiato per parlare. Qualcuno provò a rialzarla e lei si lasciò fare.

Un rapido bagliore attirò il suo sguardo tra la folla. Qualcuno iniziò ad agitarsi, un altro chiamò il suo nome, qualcun altro sussultò e se la diede a gambe. Una donna urlò e Astrid si trovò all'improvviso al centro di un cerchio. Le persone attorno a lei si erano allontanate, asfissiate dall'aura scottante e infernale che il suo corpo emanava.

Fu facile crearsi un varco tra gli spettatori dell'incidente. Gli abitanti di New York facevano goffi passi indietro, non curandosi di chi avevano alle spalle, pur di non venire toccati da lei. Prima di accorgersene, Astrid stava marciano velocemente per il viale e i passanti le gettavano sguardi sospetti e atterriti. Una sirena sfrecciò alla sua sinistra.

-Ferma! - urlò un agente. Saltò giù da una volante in frenata e coperto dalla portiera, sparò un colpo. L'azione si esaurì troppo velocemente perchè Astrid potesse accorgersi che ce l'avessero con lei e il priettile la colpì alla spalla sinistra. La forza di inierzia la spinse indietro di un passo. Si portò una mano verso un prurito fastidioso e notò che, sotto la tunica bucata, la sua pelle si era imbrunita come il carbone.

Infilò due dita nel foro della tunica e ai suoi piedi cadde un bussolo ambrato. Lanciò uno sguardo verso l'agente, il quale sbiancò. Dopodichè si dedicò all'arma che impugnava. La fissò intensamente. Il poliziotto scosse la mano con un verso e la pistola finì a terra: era diventata incandescente. Astrid disarmò anche il secondo agente che non aveva capito cosa stava succedendo e si portò il ricevitore alla bocca per chiamare soccorsi e l'aiuto dei colleghi, qualunque volante si trovasse attorno al Rockefeller Center.

Quella chiamata prevedeva più nemici in avvicinamento. E ciò voleva dire ricevere altre pallottole. Scattò di nuovo, ma stavolta spinse i piedi per divorare chilometri. Si allontanò dal centro, schivò una nuova volante che l'aveva trovata e che la inseguì per un tratto. Svoltò ad uno svincolo, ma si trovò in un vicolo cieco. Si guardò attorno per trovare un modo per uscirne, ma notò solo una scala ripiegata. Fece un balzo per raggiungerla, l'afferrò, la srotolò fino a terra e ci si arrampicò. Salì tutti piani e si ritrovò sulla terrazza del palazzo. La volante frenò nel vicolo e gli agenti scesero per inseguirla. In carovana si erano messi a salire la scala e lei doveva ragionare in fretta. Mentre calcolava quanto stava rischiando, si soffermò su un dettaglio particolare all'orizzonte: una curiosa e brillante “A” troneggiava fiera come una medaglia, appesa sulla fiancata di un palazzo.

C'erano almeno sette metri tra lei e il suolo e due metri di vuoto dall'appartamento su cui era e quello davanti a lei. Un brivido e del sudore accompagnarono il pensiero di dover saltare, ma non aveva scelta. Prese la rincorsa dalla parte opposta del terrazzo, esattamente da dove stavano salendo i poliziotti, e lo fece. Saltò col cuore in gola, mentre sotto di lei il terreno non si sarebbe ammorbidito se avesse fallito.

Atterrò in una capriola per smorzare l'impatto. Si prese un attimo per metabolizzare. Gli agenti alle sue spalle raggiunsero il bordo da cui era appena saltata. Motivata dall'adrenalina attraversò il tetto in lunghezza e saltò di nuovo.

Quando decise che si era ben allontanata e che ormai era stanca, si ritrovò davanti ad un grande magazzino abbandonato, recintato da una grata di metallo arrugginito, le cui ante principali erano chiuse con un catenaccio. Non fu faticoso trovare un'apertura clandestina nella rete. Si accucciò e strisciò dentro.

L'edificio era fatiscente e quasi interamente ricoperto di edera, muschio e graffiti colorati. Le pareti erano segnate dal tempo e dall'anarchia di chi ci aveva ricavato un rifugio. Cavi elettrici pendevano scoperti e impolverati. Ragnatele enormi si diramavano da un angolo all'altro del soffitto. Il pavimento era una distesa di scarti, immondizia, scatolame e mozziconi di sigaretta. Una puzza indicibile di marcio invadeva l'aria. Per lo meno sembrava un posto tranquillo e silenzioso. Avrebbe potuto passarci la notte senza che nessuno la cacciasse via.

Calciò col piede una lattina, spaventando un gatto e qualche piccione e si rannicchiò dove la luce del sole ancora poteva raggiungerla. Chiuse gli occhi e attese che il sonno o il ricordo la cogliesse all'improvviso, ma tutto taceva. Da un lato, si disse, era meglio così. Ne aveva già avuto abbastanza della vivacità disordinata di quella città. Schiacciò la fronte sulle ginocchia, si amalgamò all'equilibrio pacifico che regnava in quel momento e all'ombra che pian piano calava, distinguendo gli schiamazzi dei ragazzi per strada, il pianto di un bambino in una casa non lontana, il rumore di piatti e posate su un tavolo, il borbottio di una televisione, i motori delle macchine e dei motorini, l'abbaiare di un cane, la risata di un paio di amici, la sera che scendeva e riuniva le famiglie per la cena. Lo stomaco si contorse in una morsa. Aveva fame.

Quando il tramonto si spense completamente, si ritrovò a lanciare sassi contro il pavimento, giocando a colpire un barattolo di carta rimasto in piedi al centro della stanza e a rialzarsi e raddrizzarlo ogni volta che lo centrava. Quando finì i sassi, tastò il pavimento attorno a sé per trovare qualsiasi cosa, anche un tappo. Dovette allungarsi per conquistare qualche pezzo di vetro. Erano pericolosamente taglienti. Avrebbe potuto ammazzare un piccione o un ratto e farselo arrosto per acquetare il brontolio dello stomaco.

Si rigirò un paio di schegge tra le dita scoprendo che avevano una facciata riflettente. Studiò i suoi stessi lineamenti trovandoli del tutto normali, anche se per qualche ragione se li era aspettati più morbidi e paffuti. Anche del suo corpo, lo conosceva poco: aveva un fisico atletico, il seno e la sua voce suonava profonda, da donna. Il tutto le risultava quasi strano, come se il suo inconscio si fosse fermato ad un'età infantile. Si guardò ancora un poco prima di scoprire un paio di spilli brillanti che la osservavano con attenzione accompagnati da un sorriso agghiacciante.

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