All'inizio restammo in silenzio, poi la sua voce ruppe quella piccola bolla, facendomi alzare lo sguardo per incontrare il suo, attraverso lo specchio che avevamo di fronte a noi.
"Da quanto tempo va avanti questa storia?", mi chiese; ed io lo guardai confuso. Mi stavo chiedendo cosa intendesse con "questa storia", se le punizioni che Jiho mi infieriva oppure il mio appartenere a lui.
Suga sembrò notare questa mia incertezza nello sguardo, e parlò nuovamente, cercando di essere più chiaro possibile.
"Da quanto vieni... Da quanto la tua vita non appartiene più a te ma alle persone che pagano per averti?", domandò nuovamente, cercando, forse, di trovare delle parole adatte per non ferirmi.
"Avevo... Sette anni? Forse sei... Non lo ricordo", risposi abbassando lo sguardo. Faceva male ricordare quel giorno, faceva male ricordare la mia famiglia e pensare di avere una speranza di rivederla. Perché sapevo benissimo che non avevo possibilità di incontrare nuovamente i miei genitori oppure mio fratello maggiore.
"Sono passati..."
"Quindici anni, quasi sedici", non gli diedi neanche il tempo di finire la frase, facendolo al posto suo.
Lui bloccò qualsiasi cosa stesse facendo e venne ad inginocchiarsi davanti a me, guardandomi negli occhi.
"E tu è quindici anni che vivi così? Non hai mai provato a fuggire? Nessuno ha mai cercato di aiutarti?", mi chiese, ed io, a quelle domande, mi morsi il labbro inferiore per non iniziare a piangere davanti a lui. Senza risultato.
Era ovvio che avevo provato ad andarmene da quella vita, ma tutto quello che avevo ottenuto erano state ferite sempre più profonde, ed alla fine avevo rinunciato a farlo. Nessuno si era mai offerto di aiutarmi, e perché farlo? Io non valevole niente e non era opportuno rischiare per una cosa come me.
Suga mi strinse a sé, facendomi poggiare la mia testa sulla sua spalla e sussurrandomi all'orecchio.
"Non piangere, non lo fare... Ti aiuterò io a fuggire da questa vita".