"Cosa stai facendo, Jimin?"
Mi gelai, udendo la voce alle mie spalle. Non poteva essere lui, non si muoveva mai dalle sue stanze a notte fonda, almeno così credevo.
Evidentemente mi stavo sbagliando, perché la voce era la sua, era inconfondibile, e si trovava alle mie spalle mentre io stavo mangiando qualcosa che non mi era consentito, non includendo il fatto che non era orario dei pasti.
Impallidii, lasciando cadere il biscotto a terra ed iniziando a tremare. Ero nel panico. Lancia un'occhiata a Suga, che si trovava ancora in piedi, di fronte a me. In quel momento sentii una presa salda sul mio braccio, che mi fece voltare a forza.
Mi ritrovai faccia a faccia con Jiho e non riuscii a sostenere il suo sguardo. In quel momento la sua mano colpì la mia guancia, facendomi voltare il viso dalla parte opposta.
"Sai le regole", disse solamente, prima di iniziare a trascinarmi fuori dalla cucina; ma le mie gambe erano immobilizzate dalla paura.
Vedendo che non collaboravo, Jiho mi tirò un calcio dietro le ginocchia, facendomi finire a terra; e continuò, di tanto in tanto, a riempirmi di calci, mentre percorreva il corridoio, diretto alla mia stanza, trascinandomi con sé.
"Erano anni che non disubbidivi", constatò non appena entrammo ella mia stanza. Io mi raggomitolai al muro mentre lui si slacciava la cintura e la impugnava come una frusta.
Mi tolsi la maglia ancor prima che lui me lo chiedesse, e la pelle di quell'oggetto iniziò a colpire la mia, sempre più forte.
Dopo quelle che sembrarono ore, smise.
"Domani non uscirai dalla tua stanza", mi disse chiudendo la porta alle sue spalle. Non appena sentii il rumore della chiave girare nella toppa, segno che ero chiuso lì dentro senza via di fuga, iniziai a piangere dal dolore.
Non avevo potuto farlo prima, avrebbe solamente fatto arrabbiare Jiho ancora di più, ma in quel momento ero solo e potevo piangere tutte le mie lacrime.
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