Disaster

By wrongperfectly

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COMPLETA. #1 in Teen Fiction il 7.02.19 #1 in Fan Fiction il 21.04.20 All'apparenza Cassie Anderson e Justin... More

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59
Capitolo 60
Capitolo 61
Capitolo 62
Capitolo 63
Capitolo 64
Capitolo 65
Epilogo
Ringraziamenti

Capitolo 44

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By wrongperfectly

Percorro in avanti ed indietro tutto il salone soffermandomi ad osservare ogni dettaglio dell'arredamento, pur di non pensare a quanto sia nervosa ed evitare che la mia mente si faccia viaggi mentali piuttosto spiacevoli, ma ogni mio tentativo sembra andare in fumo e non riesco a fare a meno di chiedermi perché, poco fa, nel cortile, Justin avesse l'aria tanto smarrita o come abbia passato il pomeriggio e i giorni precedenti.

Dio, chi voglio prendere in giro? Non solo mi mangerei le unghie, ma l'intero braccio per l'ansia che mi sta divorando subdolamente.

«Aspettavi da molto?» chiede Justin tornando nella grande sala in cui mi ha lasciata per cinque minuti, cinque interminabili minuti in compagnia del mio cervello che non ha fatto altro che pensare e ancora pensare.
«No, sono appena arrivata», mento ritenendo che questa versione sia molto meglio di quella in cui ammetto di aver passato le ultime tre ore seduta su un marciapiede nei pressi della sua abitazione come una barbona aspettando che tornasse; preferisco conservare quel briciolo di dignità che mi è rimasta.
Lui si limita ad annuire e di nuovo vedo il suo bel volto attraversato da quel senso di smarrimento. «Hai sete o fame? Vuoi che ti porti qualcosa?» indaga.

Come mai queste formalità adesso?

Scuoto leggermente la testa, «No, sto bene così. Grazie», altra bugia: metterei volentieri qualcosa sotto i denti, tuttavia non mi sembra il caso di dirglielo; sono venuta qui con lo scopo di parlargli e con un panino in bocca risulterei molto meno credibile come interlocutore.

Imbarazzo e tensione si susseguono nei momenti successivi, scanditi da un silenzio fin troppo assordante per le mie orecchie.

«Io...» ci ritroviamo a parlare all'unisono, creando, così, ulteriore imbarazzo.

«Prima tu», mi esorta Justin.
Mi ritrovo a mordere con forza una guancia e «Okay», sospiro.

Alzo lo sguardo verso di lui, in piedi di fronte a me, e finisco col perdermi nel colore caldo dei suoi occhi. Non so come, né perché, la mia mente si ritrova a fare un tuffo nel passato; è proprio qui che ci siamo dati il nostro primo bacio, mesi fa, quando ci siamo aperti l'uno all'altra per la prima volta: mi aveva parlato di suo padre, di quanto le persone temessero che diventasse come lui perché "il male genera male" e di come lui glielo lasciasse credere, perché almeno non avrebbe deluso le aspettative di nessuno ed io gli avevo raccontato di mia madre e dei suoi problemi con l'alcol ed era stato liberatorio, perché non lo avevo detto mai a nessuno fino ad allora.

Cerco di riporre quel ricordo e le sensazioni che mi suscita in un cassetto da riaprire in un secondo momento e caccio un respiro profondo per infondermi il coraggio necessario per dire quello che sto per dire:

«So di avere esagerato l'altra sera e ti capisco quando dici che io ho una fortuna che tu non hai, ma non è questo il punto... Il punto è che non puoi sparire per tre giorni per una discussione simile, anzi non puoi sparire per tre giorni per nessun motivo».

«Hai ragione».

«Non è così che...» mi convinco a interrompere il mio monologo proprio sul più bello e «Aspetta, che hai detto?» domando, non sicura di aver capito.
«Ho detto che mi dispiace, Cassie».

Oh.

Credevo che sarebbe stato più difficile e che avremmo finito col litigare lanciandoci addosso insulti e magari anche oggetti. Ero preparata a tutto, ma non ad una simile ammissione da parte sua, perciò resto in silenzio aspettando che sia lui a proseguire questa volta.

Justin si volta, dandomi, così, le spalle e massaggiandosi la nuca, poi lo vedo stringere i pugni lungo i fianchi. «Sono abituato a stare da solo, a contare solo su me stesso ed è difficile levarsi questa abitudine», asserisce, la voce incrinata. Riesco a scorgere quelle che è la sua parte vulnerabile, un lato di sé che tiene ben nascosto dietro la facciata da duro, ma che non lo rende affatto meno virile, non ai miei occhi.

A nessuno piace la solitudine, ma a volte le circostanze ci costringono a conviverci: c'è chi sceglie di stare da solo perché ritiene di essere un peso per gli altri ed e li allontana credendo, in questo modo, di proteggerli e chi, invece, preferisce stare da solo perché non ha fiducia in loro e li allontana credendo, in questo modo, di proteggere se stesso. Io appartengo a quest'ultima categoria, mentre Justin alla prima: la vita mi ha portata ad essere diffidente e ha portato lui a pensare che chiunque starebbe meglio senza la sua presenza, ma io non starei meglio senza di lui; si è preso una parte di me, la più grande e la più importante.

Justin si gira nuovamente verso di me, dopo una lunga esitazione. «Questa cosa che c'è tra me e te, ecco... È tutto nuovo per me e non sempre so come comportarmi».

«Non sei l'unico a non saperlo», ammetto facendomi piccola nelle spalle, avanzando, poi, verso di lui fino a quando solo pochi centimetri si frappongono tra i nostri nasi.

Diavolo, se non lo so.

Quando si tratta di Justin il mio mondo fondato sulla razionalità e la certezza non fa altro che vacillare. Lui è l'unico in grado di farmi mettere in discussione tutto, perfino me stessa. Mi sfida, mi fa impazzire, ma mi fa sentire anche come non mi ero mai sentita prima: viva e alla fine, questa è l'unica cosa che conta davvero.

«E non sei più solo, Justin», gli dico prendendogli il viso tra le mani, i suoi occhi nei miei, lo sguardo di chi vorrebbe parlare, ma tace.

Le sue mani si posano sulle mie, quest'ultime ancora poggiate sul suo bel volto. Chiude gli occhi e, come un bambino, si lascia cullare da quel semplice tocco, quasi le mie carezze gli infondessero il coraggio necessario per togliersi un macigno dallo stomaco, forse il più pesante. «Sono andato a trovare mio padre in carcere», mi dice, a quel punto. «È lì che sono stato oggi».

Non dico niente, ma lo abbraccio forte a me. Il suo corpo, preso alla sprovvista, si irrigidisce, ma quasi subito le sue braccia si allacciano ai miei fianchi.

Non ho idea di quanto tempo stiamo così, ad ispirare l'uno il profumo dell'altra, se siano passati minuti o ore e nemmeno mi interessa; lui ne aveva bisogno, io ne avevo bisogno. «Ci sei riuscito», mormoro ancora poggiata alla sua spalla. Con riluttanza mi decido a sciogliere l'abbraccio, ma solo per poterlo guardare dritto negli occhi.

«Tu stai bene ora? Com'è stato?» indago cercando inutilmente una risposta nella sua espressione indecifrabile. Justin si siede sul divano in pelle, la schiena ricurva ed i gomiti poggiati sulle gambe.
«Sì, sto bene, credo...» asserisce incerto, «È stato... Intenso».
In silenzio, mi siedo accanto a lui, senza smettere di guardarlo. «Quando mi ha visto stentava a credere che fossi davvero io ed ha pure pianto, sai?» abbozza un piccolo sorriso che si forma solo ad un lato della sua bocca. «Abbiamo parlato per un po' e per un attimo non ho pensato a quel giorno: ho rivisto in lui l'uomo che la sera mi rimboccava le coperte e che mi portava allo stadio nel fine settimana. Nessuno dei due ha voluto toccare quell'argomento, ma forse è meglio così», conclude, abbassando lo sguardo per un istante, prima di tornare a cercare il mio, «Ci sono ancora molte cose che devo capire, ma credo... Credo che tornerò a trovarlo. Pensi sia una cattiva idea?» mi chiede, come se stesse cercando un'approvazione da parte mia. Ma non è da me che la deve cercare; l'unico a cui deve rendere conto è se stesso, la decisione è la sua ed io non sono nessuno per prenderla al posto suo.
«No, Justin», gli dico con tutta sincerità, «Penso che devi fare ciò che ti senti di fare».

La sua mano afferra la mia. «Cassie, grazie».
«Per cosa?» chiedo confusa.

Sorride, questa volta sorride davvero. «Per tutto. Per avermi incoraggiato a fare questo passo e per esserci sempre, anche quando non me lo merito e faccio di tutto per tentare di allontanarti».

Sorrido di rimando per la sua affermazione. «Dovrai tentare molto di più, perché non ti libererai facilmente di me».
«Suona come una minaccia», osserva attirandomi più vicina a sé, le mie gambe sulle sue ginocchia.
«È una minaccia, Bieber», affermo in tono severo suscitando la sua immensa risata. Mi lascio trasportare da quel momento di ilarità che si è venuto a creare ed è una bella sensazione. Riusciamo a passare da argomenti seri e delicati a scherzare e prenderci in giro in un secondo.

«Facciamoci una promessa», gli propongo, spezzando quel silenzio, un silenzio fatto di pace e tranquillità.
«Quale?» domanda Justin curioso.
Alzo la testa, dapprima poggiata sul suo petto per poterlo guardare negli occhi e dire: «Niente più segreti tra di noi».
Lui sembra esitare un attimo. «Te lo prometto.» risponde, alla fine e proprio nel momento in cui mi sento più sollevata aggiunge: «Allora immagino di dover iniziare a essere sincero da subito».

Arriccio il naso e con tutti i sensi in allerta, mi metto a sedere composta, aspettando di sentire cosa abbia da dirmi.

«Ti ho mentito», annuncia, serio.

Il mio cuore perde un battito.

Non mi piace per niente la piega che sta prendendo questa conversazione ed ecco che la mia mente inizia a programmare milioni di viaggi; su cosa mi ha mentito? Ha un'altra? Se è così non voglio conoscere i dettagli, ma mi faccio forza e cerco di mantenere il sangue freddo invitandolo a proseguire.

«Il primo giorno di scuola, te lo ricordi?» mi domanda. Onestamente, non capisco cosa abbia a che fare con quello che ha da dirmi, tuttavia decido di rispondergli, facendo finta di alzare gli occhi al cielo, «Come potrei dimenticarlo? Non sei stato affatto carino con me, quel giorno».
Lui scoppia a ridere, ma nel profondo sa che ho ragione. Poi si massaggia il collo e «Beh, a lezione ti avevo detto di spostarti perché eri seduta al mio posto... Ma la verità è che quello non era il mio posto, ecco».

«Tutto qui? Sarebbe questo il tuo segreto?» gli chiedo tornando a respirare. Chissà perché ma immaginavo che quello non fosse davvero il suo posto; troppo vicino alla cattedra per uno come lui.
«Fammi finire», mi zittisce, fintamente offeso.
Trattengo una risata per quella sua reazione. «Scusa».
«Beh, comunque... Ti avevo notata subito, probabilmente tu non te ne eri nemmeno accorta, ma è così» confessa, fa una piccola pausa ed io sbatto le palpebre più volte per la confusione. «Te ne stavi in mensa a parlare con Aaron e gli altri ed ho capito subito che fossi nuova, perché non ti avevo mai vista a scuola e si dia il caso che io conosca tutte le ragazze dell'istituto», ghigna maliziosamente ed io sbuffo alzando gli occhi al cielo: quest'ultima affermazione poteva risparmiarsela. «Hai alzato lo sguardo verso di me ed io ho pensato subito "cavolo, è molto bella, devo assolutamente portarmela a letto"». Rammento perfettamente quel momento; tutti lo guardavano ed io mi stavo chiedendo chi fosse e rammento anche il modo sfacciato in cui mi aveva guardata, quando i nostri occhi si erano incrociati. «Poi ti ho visto seduta nell'aula di letteratura e sono venuto a parlarti, o meglio, a provocarti. Ti ho detto che dovevi spostarti perché quello era il mio posto, ma tu mi hai mandato a quel paese», sorrido al ricordo di quel primo scontro; non mi ero mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno e di certo non avrei iniziato proprio quel giorno. «Mi sono sentito disorientato, nessuna ragazza si era mai azzardata a rispondermi in quel modo...» dice scuotendo la testa con fare divertito. «Ed è stato in quel momento che ho capito che avrei finito con l'innamorarmi di te e credimi, ho cercato in tutti i modi di lottare contro questo sentimento, ma non ci sono riuscito» .

Sorrido. Anch'io ho provato a lottare per la stessa ragione, ma sono contenta che nessuno dei due abbia vinto quella battaglia.

Sento il mio cuore fare i salti mortali: ogni parola, adesso, sarebbe superflua e perciò resto in silenzio mentre mi avvicino a lui spinta da un desiderio irrefrenabile di unire le sue labbra con le mie e quando ciò accade un brivido attraversa il mio corpo. Le nostre lingue si incontrano esplorando l'una la bocca dell'altro ed il bacio si fa sempre più passionale, intenso mentre l'atmosfera si surriscalda ed un calore piacevole inizia a formarmisi nel petto e poi più giù, tra le cosce. Mi abbandono completamente a Justin stringendo le dita intorno al suo collo e assaporando il suo sapore, un misto tra menta, tabacco e uomo. Il desiderio si fa sempre più grande, mi aggrappo a lui che si muove e in poco tempo mi ritrovo sdraiata sulla schiena. Justin indugia sopra di me, i muscoli delle sue braccia si flettono sotto le mie dita. I sensi mi travolgono e faccio per levargli la maglia, ma lui rialza la testa e si tira indietro, interrompendo quel contatto e lasciandomi non poco amareggiata.

«Non qui», sussurra con voce roca ed il fiato corto. Si alza dal divano trascinandomi con sé e senza nemmeno rendermene conto, ci ritroviamo nella sua camera con metà dei nostri vestiti già sul pavimento.

Mi spinge verso il letto, baciandomi con foga, ma lo fermo mettendo una mano sul suo torace muscoloso.

«Chi mi dice che non scapperai di nuovo?» gli chiedo dubbiosa, mentre i ricordi della nostra prima volta riaffiorano nella mia mente.
«Questa è camera mia», ridacchia e allora io lo guardo storto. Poi le sue labbra mi sfiorano allettanti, piene di promesse. «Ho smesso di scappare».

Mi prendo un momento per assorbire quella sua risposta e sorrido come un'ebete prima di fiondarmi di nuovo sulle sue labbra e lasciare che mi conduca fin sopra il materasso.
Justin mi aiuta a liberarmi dagli ultimi strati di tessuto che coprono la mia pelle, iniziando, poi, a torturare con la bocca il mio seno sinistro mentre con la mano massaggia il destro. Il mio respiro si fa sempre più pesante sotto il suo abile tocco e
non posso non farmi sfuggire un gemito di sorpresa quando, senza alcun preavviso, infila due dita nella mia apertura.

Sento il cuore battermi all'impazzata e l'eccitazione crescere sempre di più.

È tutto così dannatamente intenso come la prima volta, ma è anche diverso, noi siamo diversi; adesso c'è più consapevolezza e la voglia di viverci, di amarci nel modo più giusto e naturale che esista.

Lo vedo trafficare nel comodino accanto al letto estraendo da uno dei cassetti una bustina argentata dall'aspetto familiare. Una volta sistematosi il preservativo sulla sua lunghezza si sistema tra le mie cosce con le braccia tese ai lati della mia testa, in modo da non gravarmi col suo peso.

Istintivamente, mi mordo il labbro quando lo sento entrare, ma rimango piacevolmente sorpresa nello scoprire che non è doloroso come la prima volta.

I gemiti escono dalle nostre bocche e riempiono la stanza, mentre Justin inizia a muovere i fianchi, prima lentamente e poi a ritmi progressivamente più veloci.

Non so con quale audacia o con quale forza, ma spinta dalla voglia di dargli qualcosa in più, qualcosa di diverso, riesco ad invertire la posizione ed a mettermi a cavalcioni sopra di lui.

«Vuoi prendere tu il comando?» mi chiede Justin sghignazzando, «D'accordo, bambolina. A me sta bene».

A quel punto il panico si impossessa di me: le mie guance staranno sicuramente andando a fuoco ed il mio improvviso imbarazzo non passa inosservato nemmeno a Justin che, in risposta, mi bacia dolcemente, come se tentasse di infondermi coraggio. E poi lo faccio: inizio a muovermi sopra di lui dapprima in maniera impacciata, ma quando dalla sua gola esce un gemito di piacere mi decido a muovermi con più sicurezza. Le sue dita non lasciano nemmeno per un istante la presa dai miei fianchi.

Non ci sono parole per descrivere quello che provo in questo momento; come mi senta unita a lui in ogni modo umanamente possibile.

«Ti amo», gli dico col cuore a mille e gli spasmi che attraversano tutto il mio corpo, una volta spostami sotto le coperte con lui, dopo che entrambi abbiamo raggiunto il culmine del piacere.
Il biondo mi guarda con una strana espressione in viso e «Non me lo avevi mai detto prima», osserva; ora che ci penso ha ragione, io non gliel'ho mai detto, ma questo non significa che non fosse così e lui lo sa. Un sorriso si dipinge sul suo volto. «Ti amo anch'io, Cas», mormora stringendomi più a sé, «E per cronaca: ci sai fare a letto», aggiunge, poi, maliziosamente guadagnandosi una mia gomitata. «Sta' zitto, idiota».

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