Disaster

De wrongperfectly

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COMPLETA. #1 in Teen Fiction il 7.02.19 #1 in Fan Fiction il 21.04.20 All'apparenza Cassie Anderson e Justin... Mais

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59
Capitolo 60
Capitolo 61
Capitolo 62
Capitolo 63
Capitolo 64
Capitolo 65
Epilogo
Ringraziamenti

Capitolo 42

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De wrongperfectly

«Ti rendi conto?» gli domando indignata, una volta poggiatami agli armadietti.

«Credevo fossi in comunità», osservai senza alcun entusiasmo nella voce. Vederla di fronte a me dopo tutti i mesi passati e le cose che erano successe mi aveva provocato una gran confusione, che presto si era trasformata in rabbia verso la donna che mi aveva messa al mondo e che, però, mi aveva anche lasciata andare alla deriva.
«Ci sono stata», disse incurvando in un debole sorriso le labbra coperte da una leggera passata di rossetto. Fece un passo verso di me ed io, come di istinto, mi ritrovai ad indietreggiare; non perché temessi che potesse farmi del male, quello me lo aveva già fatto abbastanza, ma perché non mi sentivo pronta a starle troppo vicino e volevo mettere più distanza possibile tra noi due.

Lei parve accorgersi della mia riluttanza. «Ne sono uscita, sono pulita adesso».

Non dissi niente, semplicemente perché non bastava, non bastava affermare di essere cambiata, -sempre ammesso che lo fosse-, per cancellare dalla mia memoria tutti i torti subiti sulla mia pelle e su quella di mio fratello e probabilmente niente sarebbe mai bastato.

Restai ferma, immobile, avvolta in una sorta di apatia apparente mentre la mia mente correva alla velocità della luce.

Mi voltai verso mio padre che era rimasto in silenzio dietro di me. Potevo leggere la preoccupazione nei suoi occhi azzurri; probabilmente si stava aspettando un qualsiasi segnale da parte mia. Entrambi lo stavano aspettando.

Deglutii a fatica, prima di ritrovare la forza per parlare, «Voi due state...»
«No», mi interruppe lui ancor prima che finissi la frase, «Io e tua madre non siamo più legati da alcun sentimento, non di quel tipo, almeno».

Mi sentii sollevata sentendo quell'affermazione. A differenza di molti altri figli di persone divorziate, non avevo mai desiderato vedere i miei genitori stare insieme a tutti i costi, non se questo avrebbe significato ributtarsi a capofitto in una relazione tossica. Volevo che soprattutto mio padre trovasse una persona che potesse renderlo felice sul serio.

E sapevo che quella persona non era lei.

«C'è solo un profondo rispetto tra di noi», asserì mia madre ed io mi chiesi come una donna che non aveva mai avuto rispetto neppure per se stessa potesse provarlo nei confronti di qualcun altro.

Arricciai il naso. «E allora, che ci fai qui?»

«Una madre non può voler passare del tempo coi propri figli, adesso?»
Avrei voluto dirle che la sua affermazione era inattaccabile... Se avesse parlato di un'altra madre, perché, purtroppo, io la conoscevo fin troppo bene per capire che non erano quelle le sue intenzioni. Ma, ancora, tacqui.
Mi scrutò attentamente da sotto le lunghe ciglia, folte come le mie. «Dio, sembri così... Diversa».

«Sono diversa, ma tu questo non puoi saperlo perché non ci sei stata», questa volta non potei fare a meno di replicare.

«Cassie», mi chiamò con tono severo papà, ma tutti, in quella stanza, sapevamo che avevo detto la cruda verità.

«No, Robert», lei gli fece un cenno e si avvicinò di nuovo a me. Mi convinsi a restare ferma ed impassibile sul posto, senza allontanarmi, perché non gliela volevo dare vinta nuovamente. Quando giunse a una distanza ravvicinata, parlò: «Hai ragione, non sono stata un buon modello per te e Tyler. Ho fatto tanti, troppi sbagli e per questo sono qui a chiederti scusa», confessò e a quel punto gli occhi le divennero leggermente lucidi. Mi afferrò le mani cogliendomi alla sprovvista e quasi volli ritrarmi dal suo tocco freddo. «Mi dispiace per tutte le cose che vi ho fatto subire, ma ti assicuro che non sono più quella persona».

«E tu le credi?» chiede Justin.
Mi allontano dall'armadietto, drizzando, così, la schiena. «Certo che no!» esclamo sicura come la morte.
Il biondo mi guarda torvo dall'alto dei suoi occhi color caramello. «Secondo me dovresti darle una possibilità».
«Non puoi essere serio», asserisco, trattenendo a stento una risata per l'assurdità appena uscita dalle sue labbra.
«È sempre tua madre, Cassie», osserva lui, come se io non lo ricordassi.

Mordicchio il labbro inferiore, non ho intenzione di iniziare una discussione con lui sul perché non mi fidi o non sopporti la mia stessa madre. «C'è dell'altro».

Parlammo per mezz'ora, o meglio, mia madre aveva parlato, dopo che mio padre era andato a prendere Tyler ai corsi di recupero pomeridiani, cogliendo l'occasione per prepararlo all'incontro per il quale io non ero stata preparata. Ma mio fratello si dimostrava più sensibile di me a determinati eventi e aveva bisogno di un occhio di riguardo adesso che la terapia col Dottor White iniziava a dare i suoi risultati.

Non avevo ascoltato una parola di quello che aveva detto, comunque, fino a quando non aveva fatto un'unica, semplice, domanda:

«Chi era quel bel ragazzo che tuo padre voleva quasi uccidere?»

All'inizio, non avevo alcuna intenzione di risponderle, semplicemente perché non volevo coinvolgerla nella mia vita più di quanto non lo fosse già, ma lo strano luccichio nei suoi occhi mi fece intuire che non si sarebbe arresa fino a quando non lo avesse scoperto. «Si chiama Justin» le dissi, «Stiamo insieme», a quel punto arrossii. Era strano per me avere quella conversazione con lei, nonostante sapessi che, invece, per molte ragazze dovesse essere una cosa speciale, parlare del proprio ragazzo con la loro madre e, in più, dovevo ancora abituarmi al mio cambiamento di status sentimentale. Sembrava tutto così surreale.
«Mi piacerebbe molto conoscerlo», affermò col sorriso a trentadue denti.
Sbattei le palpebre, non sicura di aver capito. «Cosa?»
«Se questo Justin è importante per te mi sembra doveroso invitarlo a cena»,
suggerì, «Facciamo... Domani?»

«A che ora?» domanda Justin.
«Cosa?» gli chiedo confusa. Lui sorride, probabilmente divertito dal mio stato confusionario e dall'espressione strana che di sicuro ho stampato in faccia.
«A che ora devo venire stasera?»
«Aspetta, mi stai dicendo che verrai?»
«Sì, sempre se per te non è un problema», dice scrollando le spalle ed iniziando a camminare nel corridoio insieme a me e agli occhi curiosi di tutti gli studenti presenti, come se noi fossimo delle cavie da laboratorio da osservare e loro gli scienziati pazzi; anche se ciò non mi tocca per niente.
«No, certo che non è un problema...» Beh, almeno per me non lo è, ma non posso dire la stessa cosa per il mio adorato padre, tuttavia questa potrebbe essere un'occasione per farlo ricredere su Justin e sul tipo di persona che pensa sia. «Alle otto», gli rispondo pentendomene subito dopo perché diversi scenari horror iniziano ad attraversare la mia mente. Justin, invece, non sembra minimamente turbato al pensiero di cenare con la mia disastrosa e complicata famiglia, ma ora che ci penso, lui non sembra mai turbato per niente.
Si gira e «D'accordo. Ci vediamo stasera, allora», ammicca.

Speriamo non si riveli una catastrofe.

***

Il suono dei miei stivaletti sul parquet è l'unico rumore che riesco a sentire, oltre a quello incessante dei miei pensieri. Cammino avanti ed indietro da una stanza all'altra senza un vero perché, le mani mi sudano e sento lo stomaco contorcersi in maniera davvero poco piacevole.

Sul serio, il mio padre iperprotettivo, la mia madre problematica ed ex alcolista appena tornata in città e Justin seduti alla stessa tavola?

È una pessima idea.

Pessima. Pessima idea.
«Sto per vomitare», dichiaro sospirando rumorosamente dopo essermi appoggiata ad una delle sedie disposte intorno alla tavola per la cena.
«Non vorrei essere nei tuoi panni», commenta Tyler affiancandomi. L'arrivo inaspettato -e anche indesiderato- di nostra madre ha scosso inizialmente anche lui, ma non è la sua vita che dipenderà dagli avvenimenti delle prossime ore; quindi non lo biasimo se non vuole essere nei miei panni, neanch'io vorrei esserci. Justin, ormai, sarà qui a momenti e il panico si fa sentire. Mi maledico per non essermi inventata una scusa all'ultimo momento per disdire la cena, sebbene, tuttavia, la codardia sia una cosa contro i miei principi.
«Prima compare all'improvviso e poi vuole giocare alla famiglia felice...» penso ad alta voce, «Secondo te cos'ha in mente?»
«Non ne ho idea», ammette mio fratello stringendosi nelle spalle. Dal tono che ha assunto, però, deduco che nemmeno lui si fidi delle buone intenzioni dichiarate dalla donna che ci ha messo al mondo.

Mi concedo di dare un'occhiata all'orologio sulla parete e, diavolo, era meglio se non lo avessi mai fatto!

L'oggetto segna le sette e quarantotto. Ci avviciniamo sempre di più a l'ora x ed io inizio a sudare freddo.

Il rumore di alcune stoviglie mi induce a spostare lo sguardo quando Robert Anderson fa il suo ingresso nella sala. «Papà, ho già apparecchiato io e poi siamo cinque, non sei», dico all'uomo che sbadatamente sta aggiungendo un posto in più.
Lui alza il capo verso di me. «In verità siamo sei», afferma, il tono calmo e serio.

«E chi sarebbe la sesta persona?» domando confusa sperando che non abbia invitato qualche altro parente solo per imbarazzarmi ancor di più.

Non faccio in tempo a sentire la sua risposta che qualcuno suono al campanello ed io sobbalzo leggermente. Accidenti. È in anticipo.

No, no, no, mi serve più tempo, grida una parte di me, ma cerco di dare ascolto a quella che mi dice di non farmi prendere dal panico.

Mi dirigo verso la porta e, prima di aprirla, faccio un respiro profondo, giusto per tranquillizzarmi.

È solo una cena, cosa può andare storto? Mi domando, costringendomi, però, a non pensare a una risposta negativa.

Mi decido ad afferrare la maniglia e a sfoggiare uno dei miei sorrisi più rassicuranti, ma quello che vedo quando spalanco la porta non è Justin.

«Aaron», il sorriso sulle labbra mi muore inevitabilmente. «Che ci fai tu qui?» l'ultima volta che gli ho parlato abbiamo litigato nel bel mezzo del corridoio scolastico, dicendoci a vicenda cose poco carine. Mi sorprende il fegato che ha avuto per presentarsi a casa mia.
«Tuo padre mi ha detto che tua madre è venuta in città e, quando mi ha invitato a cena non mi è sembrato carino rifiutare il suo invito», spiega leggermente imbarazzato.

Non. Ci. Credo.

Resto sulla soglia, ancora sconvolta dalla presenza dal ragazzo dagli occhi di ghiaccio e da quello che potrà succedere da qui a poco.
«Aaron? Cavolo, sei diventato un uomo, ormai!» la voce di mia madre alle mie spalle mi ridesta dai mille pensieri. «Non sapevo che venissi a cena»l

«Già, nemmeno io...» mormoro così piano per non farmi sentire da nessuno.

Il moro, per fortuna, non sembra prestare molta attenzione a me. Ancora fermo all'ingresso, fa i suoi primi passi all'interno del soggiorno, dirigendosi verso la donna.
«Questi sono per lei», dice porgendole un mazzo di orchidee con molto garbo, il garbo che invece non ha avuto nel dirmi quelle cattiverie, l'altro giorno. Lei li afferra avvicinando il naso per poter annusare il profumo dei fiori. «Ma che tesoro!» esclama estasiata, prendendolo poi a braccetto, «Dimmi, come sta tua madre?»

Mentre mia madre si allontana con lui, intenta a intrattenerlo con le sue chiacchiere io progetto un suicidio.

Sto per richiudere la porta, quando un piede si mette in mezzo a quest'ultima e lo stipite, impedendomi, così, di chiuderla.

«Ciao, scusa per il ritardo», un Justin dai capelli scompigliati, camicia bianca e jeans stretti si materializza davanti a me. Non riesco nemmeno a pensare come stia da Dio vestito in questo modo o a chiedermi perché non indossi una giacca, perché la mia attenzione viene attirata da qualcosa tra le sue mani.

Orchidee. Le stesse orchidee che Aaron ha dato a mia madre circa due minuti fa. Mi ha chiesto, per messaggio, se ci fossero dei fiori che preferisse ed io gli ho detto che ricordavo le piacessero quelli. Ma adesso la loro vista mi provoca l'orticaria.

«Butta quei fiori», gli ordino.
«Cosa? Perché?» chiedo lui, giustamente confuso.
«Buttali!» esclamo con enfasi afferrando il mazzo e lanciandolo in mezzo alle altre piante del giardino. Probabilmente devo aver assunto l'espressione di una pazza perché vedo una nota di terrore attraversare il volto di Justin. «Va tutto bene?»
«No, infatti c'è una cosa di cui ti devo parlare...» gli afferro la mano e lo faccio entrare, o meglio, lo trascino, in casa per parlargli in disparte, ma qualsiasi mio discorso viene spazzato via da una semplice parola:

«Bieber?» mormora una voce alle mie spalle.
«Evans?» dice Justin usando lo stesso tono pieno di disprezzo del ragazzo.

Ecco, appunto. Di questo gli volevo parlare.

«Che ci fa lui qui?» mi chiede il biondo, vedo il suo corpo irrigidirsi alla vista dell'altro.
«No, che ci fa lui qui?» ripete Aaron facendo un passo in avanti.

Oddio.

Fortunatamente per me, l'intervento di Tyler che ci informa che la cena è pronta, si rivela fondamentale. Almeno, così, non rischieremo che ci siano spargimenti di sangue prima del dessert, spero.

Aaron è il primo ad uscire dalla stanza ed io ne approfitto per prendere nuovamente in disparte Justin.

«Non sapevo che sarebbe venuto Aaron. Ma per favore, non fare niente di stupido.» la mia esce come una supplica. Non mi sono dimenticata di ciò che mi ha detto sia successo tra di loro, però ora come ora non voglio nemmeno pensarci.
I suoi occhi infuocati di rabbia. «Non posso prometterti niente», sospira, poi, «Ma ci proverò»l

***

«E così sei nato in Canada e sei venuto con la tua famiglia negli Stati Uniti quando eri un bambino?» domanda mia madre curiosa. Se non altro so da chi abbia preso la mia vena da ficcanaso, penso ironicamente.

Non so se mi dia più fastidio lei che cerca di interpretare la parte della mamma modello che cucina e fa conversazione col ragazzo della figlia come se le importasse qualcosa o le occhiatacce poco velate che mio padre continua a mandare in direzione di Justin, il quale, seppur non lo dimostra, se ne è sicuramente accorto; anche un cieco se ne accorgerebbe.

Ma la ciliegina sulla torta è il fatto che io sia seduta in mezzo a lui e ad Aaron per evitare eventi spiacevoli. Mi sento come in mezzo a due fuochi.

Almeno c'è Tyler che cerca di smorzare la tensione che aleggia nella stanza, ogni volta che gli scocco un'occhiata supplichevole, facendo alcune delle sue battute, anche se sono sicura sia piuttosto divertito dalla posizione scomoda in cui mi trovo.

«Sì, signora Anderson», le risponde gentilmente Justin. Sono davvero fiera di lui e di come sia educato e posato nonostante sappia quanto la presenza di Aaron lo infastidisca.
«Ti prego, non sono più la signora Anderson, infatti dormo nella stanza degli ospiti- lei e le sue rivelazioni fuori luogo -Chiamami pure Laurel», gli sorride, poi, «E i tuoi genitori che lavoro fanno?»

Silenzio.

Un lungo ed interminabile silenzio.

Il mio sguardo cerca immediatamente quello del biondo che, una volta incontrato, mi fa cenno per dirmi che è tutto okay. «In verità, ho perso mia madre sei anni fa».
«Oh, mi dispiace», il sorriso sul volto della donna scompare per un momento. «E tuo padre?»

Questa volta lascio cadere rumorosamente la forchetta nel piatto.

«Chi vuole altro pollo?» domando cercando di spostare l'attenzione su altro.

Lei il tatto e la discrezione non sa nemmeno dove stanno di casa.

Come per magia, però, il mio tentativo sembra funzionare, perché la discussione cade lì, senza più essere ripresa ed io sono infinitamente grata per questo.

Justin ci ha messo mesi per aprirsi con me e ancora ci sono cose che non so e che vorrei sapere, ma c'è un limite a tutto e mia madre lo stava superando.

«Allora, Justin, tu sai che ho una pistola, giusto?» esordisce mio padre, aprendo bocca per la prima volta in tutta la serata.
«Papà!» lo richiamo io sgranando gli occhi.

Non può averlo detto davvero.

«Che c'è? Stavo solo scherzando», afferma con le mani in aria e «Beh, in realtà ce l'ho davvero, sono un poliziotto», dice con tono cantilenante.

Scuoto la testa con disapprovazione, tuttavia il ragazzo accanto a me non si lascia intimidire dalle provocazioni del mio vecchio che ce la sta mettendo tutta per rovinare la serata.

Papà mi scocca un'occhiata indecifrabile e si porta in bocca un altro pezzo di pollo, masticando lentamente il boccone. «Aaron, ho saputo di Yale, congratulazioni», dà una pacca sulla spalla al diretto interessato che in risposta dice: «In realtà sto aspettando ancora una risposta da Yale».
«Sono sicuro che verrai ammesso, così come Cassie verrà ammessa a Stanford», continua, parlando a sproposito. «E tu, Justin? In quale college vorresti andare?»

Chissà perché una domanda simile me l'aspettavo.

«Non credo che andrò al college», gli risponde tranquillamente.
Mio padre incrocia le mani sopra la tavola e per un attimo la sua bocca assume la forma di una 'o'. «E cos'hai intenzione di fare nella tua vita senza una laurea?» indaga, arricciando il naso.
«Papà», provo a fermarlo; so dove vuole andare a parare.
«La laurea non è tutto nella vita», replica il biondo con tono sicuro, quasi di sfida. La situazione sta precipitando a picco.
«Ma è essenziale se vuoi garantire un futuro a te e a chi ti sta vicino», osserva il più anziano guardando torvo prima lui e poi, di nuovo, me. Ecco, ci siamo appena sfracellati al suolo.

È arrivato al suo scopo: dimostrare quanto le nostre vite siano diverse, per il semplice fatto che io ho già quasi pronte le valigie per il college, mentre Justin nemmeno pensa di avere o meritare un futuro e che, comunque, sarà sempre segnato dal suo passato. È una realtà triste, per quanto io cerchi in tutti i modi di fargli cambiare idea.

Grazie, papà.

«Chi ha spazio per il dessert?» chiede con un sorriso compiaciuto.

***

«Mi dispiace per... Beh, per tutto», mormoro mortificata e allo stesso tempo tremendamente imbarazzata per quanto successo a cena, seduta accanto a Justin nella sua auto. Volevo poter parlare da sola con lui, ma avevamo constato che ogni angolo della casa era tremendamente affollato e, così, l'unica alternativa è stata quella di raggiungerlo nella Range Rover, l'unico posto in cui potevamo avere un po' di privacy.
«Non devi preoccuparti», mi assicura lui, spostando le mani che mi coprono il viso.
«Invece sì!» esclamo voltandomi sul sedile, «Mio padre è stato terribile, non avrebbe dovuto invitare Aaron. Per non parlare di mia madre che è stata totalmente fuori luogo», scuoto la testa, ancora incredula per la scena recitata da lei. «Non so nemmeno con che coraggio si sia seduta a tavola fingendo che fosse tutto okay».
«Adesso devi darci un taglio»l
«Come?»
«Possibile che non ti rendi conto di quanto tu sia fortunata?» domanda, il tono di voce alterato.
Sbatto le palpebre. «Io sarei fortunata?»

In cosa sarei fortunata? Io e la fortuna non siamo mai andate a braccetto e quasi mi viene da ridere per la sua affermazione.

«Dannazione, Cassie. Tu almeno una madre ce l'hai ancora!» sbotta all'improvviso, «D'accordo, forse non sarà la migliore del mondo, ma è viva, cazzo. Io farei qualsiasi cosa, qualsiasi cosa per rivedere la mia anche solo un'ultima volta. Puoi costruire un nuovo rapporto con lei e vuoi davvero sprecare l'occasione che ti è stata data?» le parole escono dalla sua bocca a fiumi, come se se le fosse tenute dentro per troppo tempo.

Rimango senza parole.

Ha ragione, mia madre è viva e per quanto potrei stare ore a spiegargli il motivo del mio disprezzo nei suoi confronti, per un attimo provo a mettermi nei suoi panni e lo capisco. Capisco quello che vuole dire, capisco il suo dolore e mi sento terribilmente in colpa.

Mia madre è viva. La sua no.

Dio, come ho fatto ad essere tanto egoista?

«Hai... Hai ragione», è l'unica cosa che riesco a dire.
Lui si passa una mano tra i capelli, nervoso. «Lo so».

Immediatamente un profondo silenzio cade all'interno del veicolo, uno di quei silenzi pungenti, in grado di pizzicarti nel profondo. Esito un po', ma poi, senza aggiungere un'altra parola o trovare il coraggio di guardarlo un'ultima volta, apro lo sportello ed esco dall'abitacolo. Non tenta nemmeno per un istante di fermarmi e in pochi attimi mi ritrovo ad attraversare il portico di casa con un nuovo macigno sullo stomaco.

Spazio autrice


Domandina: che ne pensate della madre di Cassie? Secondo voi vuole davvero riallacciare il rapporto coi suoi figli?

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