Disaster

By wrongperfectly

315K 16.2K 5.5K

COMPLETA. #1 in Teen Fiction il 7.02.19 #1 in Fan Fiction il 21.04.20 All'apparenza Cassie Anderson e Justin... More

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59
Capitolo 60
Capitolo 61
Capitolo 62
Capitolo 63
Capitolo 64
Capitolo 65
Epilogo
Ringraziamenti

Capitolo 40

4.1K 256 74
By wrongperfectly

Prima di leggere: volevo ringraziare tutte voi che avete votato ai Fanfiction Awards, perché abbiamo vinto!

Grazie ancora, è importante sapere che ci siete e che la storia vi stia piacendo.

Adesso vi lascio al capitolo, buona lettura!

_________

«Perché ti amo, porca miseria!»

Quelle parole fuoriescono dalle sue labbra con una tale foga, una tale forza da fare male per quanto facciano stare bene. Forse, preso dall'impeto del momento non si è nemmeno reso conto di quello che ha appena detto, ma io sì.

«Dillo di nuovo», mi convinco a dire col cuore che batte a mille nella gabbia toracica per l'agitazione.

«Porca miseria?» domanda lui con l'espressione di chi fa finta di non capire.
Scuoto la testa, «Non quello».

Il cipiglio sul suo volto, dovuto alla discussione che stavamo tenendo fino a un minuto fa, scompare; le rughette sulla fronte svaniscono completamente e la mascella, contratta, torna nella sua posizione rilassata. Mi guarda coi suoi occhi color caramello. Mi guarda e realizza, realizza ciò che ha detto; lo capisco dalla sua espressione, dallo sguardo sgomento e le labbra dischiuse.

Ho un po' di paura, lo ammetto. Ho paura che possa dire che stava solo scherzando, che non diceva sul serio, anche se è inconcepibile scherzare su una cosa simile. Ma, del resto, già in passato ha fatto un passo indietro, sminuendo quello che c'è stato tra di noi e se così fosse non credo riuscirei a sopportarlo una seconda volta.

Quelli che seguono sono attimi di frustrante silenzio e l'unico rumore che riesco a sentire è quello del mio sangue che fischia nelle orecchie. Lui passa una mano tra i capelli color grano tirandone leggermente le punte e lasciandosi andare ad un sonoro sospiro.

«Ti amo», ripete, questa volta più piano, come se avesse timore che quelle cinque lettere potessero fargli del male e gli costasse fatica dirle.

Il mio petto si gonfia e le gambe iniziano a tremarmi: non sono impazzita e non sto sognando, lo ha detto davvero.

Justin ha detto di amarmi.

Ma se una parte di me fa i salti di gioia, l'altra è confusa più che mai.

«Ma avevi detto che...»
«Lo so cosa avevo detto», mi interrompe prima che possa finire la frase, abbassando lo sguardo su un punto indefinito della moquette per poi trovare il coraggio di tornare a posarlo su di me, incerto, «E non è vero».

«Come sarebbe a dire?» chiedo sbattendo le palpebre.

Justin si tortura il labbro già abbastanza martoriato dall'incontro di poco fa, prima di rispondere: «Sapevo che se ti avessi detto quelle cose, se ti avessi detto che non provavo niente per te, dopo quella notte, ti avrei sì, fatta soffrire, ma ti avrei anche protetta».

"Ti avrei protetta", odio questa frase, odio il fatto che pensi che io vada protetta come se fossi fragile quanto un vaso di porcellana, come se non fossi abbastanza forte. Non voglio che mi veda in questo modo.

«Protetta, Justin?», gli domando sentendo la mia testa girare sempre di più, «Protetta da cosa?»

«Da me», afferma senza esitare un attimo, lasciandomi spiazzata.

È ridicolo. Non ho bisogno di essere protetta da lui.

Incrocio le braccia, accigliata, «Perché pensi una cosa simile?»

Il suo sguardo incontra nuovamente il mio e d'un tratto sento il respiro venirmi a mancare. «Guardati, Cas», sospira, un brivido mi attraversa nel sentirlo chiamarmi così, con quel soprannome che mi era mancato sentirgli pronunciare.
«Tu... Tu sei brillante, mentre io? Io sono un completo disastro. La mia vita è un disastro e sempre lo sarà», dice con voce spezzata.

Mi fa male sentirlo parlare così di se stesso, sentire che ha così poca stima nei suoi riguardi. Vorrei che, per un attimo, potesse vedersi come lo vedo io, perché quando lo guardo non vedo alcun disastro, non vedo i tatuaggi o la maschera da sbruffone che si porta dietro.

Io vedo Justin.

Il ragazzo che ha perso la madre troppo presto e troppo ingiustamente. Il ragazzo che dà soldi al suo migliore amico, affinché lui e la sua famiglia possano avere qualcosa da mangiare la sera. Il ragazzo che si è fatto arrestare solo per avermi soccorso e che, per lo stesso motivo, è stato squalificato dagli incontri clandestini che lui adora disputare. Il ragazzo che ha avuto poco dalla vita, ma che ha tanto da dare a chi ritiene meritevole. Il ragazzo di cui mi sono innamorata.

«Tu sei una cosa bella ed io rovino sempre le cose belle. Stare con me finirebbe col rovinare tutto il buono che c'è in te e non voglio che accada».

Come può pensare una cosa simile? Come può pensare che lui, che mi fa stare tanto bene, possa rovinarmi?

«Non accadrà», gli assicuro, sperando di troncare, così, tutti i dubbi che lo attanagliano, «E comunque non mi importa», affermo facendo un passo verso di lui.

«Ma importa a me», controbatte allontanandosi da me ed andando a sedersi sulla panchina che poco prima ha preso a calci. «Ammettilo, siamo troppo diversi», mormora, la testa china e le spalle ricurve. Vorrei gridargli in faccia che si sbaglia, che siamo più simili di quanto pensi o di quanto io pensassi all'inizio: entrambi abbiamo addosso le cicatrici di un passato dal quale cerchiamo di fuggire, entrambi portiamo addosso una maschera, quella dell'insofferenza, per cercare di apparire di fronte agli altri più forti di quanto siamo ed entrambi siamo spaventati dai sentimenti che proviamo l'uno per l'altra, solo che io, a differenza sua, non ho alcuna intenzione di far prendere il sopravvento alla paura, a differenza sua, io voglio lottare. Ma prima che possa dire una qualsiasi di queste cose, lui mi precede: «Tu sfrecci a tutta velocità verso il tuo futuro, mentre io resto fermo immobile, bloccato in questo posto».

È quasi buffo, perché per molto tempo e per certi versi, ho sempre pensato che fossi io quella ferma, bloccata.

«Presto andrai al college e io invece, che prospettive avrò?»

«Puoi venire al college con me», rispondo sedendomi accanto a lui e prendendogli la mano. Per un istante l'immagine di me e lui insieme all'università attraversa la mia mente. «Puoi fare tutto quello che vuoi, Justin», dico e lo penso, lo penso davvero.

I suoi occhi corrono dalle nostre dita intrecciate al mio viso e mi sorride, un sorriso amaro e pieno di rammarico, «Vorrei poterla pensare in questo modo». Scuote la testa, «Ma non è così che sono fatto, non sono il ragazzo giusto per te».

"Non sono il ragazzo giusto per te".

Quella frase mi provoca una tristezza ed una rabbia indescrivibili, ma decido di reagire seguendo una sola tra le due emozioni.

«Questo lascia che sia io a stabilirlo!» sbotto esasperata alzandomi di scatto in piedi, «Non puoi decidere per entrambi e non puoi... Non puoi voltare le spalle ai sentimenti solo perché pensi di non meritare di essere ricambiato, perché, credimi, non è così...», sospiro stringendo i pugni lungo i fianchi, «Io... Sono pronta a lottare per te, per noi, ma non posso farlo da sola», la vista si fa sempre più appannata ma mi costringo ad abbassare lo sguardo sui miei piedi per trattenere le lacrime.

Continuando a fissare la punta delle scarpe, lo sento alzarsi ed avvicinarsi sempre di più a me, fino a quando le sue mani non afferrano le mie. Solo allora mi decido ad alzare il viso verso di lui. Non so se il mio discorso lo abbia convinto, ma spero di sì, perché altrimenti non saprei che altro fare per fargli capire che lui, per me, è il ragazzo migliore che ci possa essere e che non mi importa un fico secco del resto.

«È la stessa cosa che mi ha detto Xavier, tranne la parte del lottare per lui, quella non l'ha detta e per fortuna, altrimenti sarebbe stato strano», inizia a parlare a raffica e quasi mi viene da ridere vedendo quanto sia nervoso e impacciato, due aggettivi che, di solito, non lo rispecchiano affatto. Ma vedere questo suo lato, meno duro e apparentemente debole... Beh, mi fa apprezzare di più la persona che è.

Si schiarisce la gola ed io resto in attesa di sentire qualsiasi cosa abbia intenzione di dire con l'ansia che mi scorre nelle vene, «Ma comunque... Voglio... Voglio lottare anch'io per te, per noi».

Sbatto le palpebre più volte, facendo appello a tutta la mia forza interiore per non sorridere come un'ebete.

«Adesso possiamo baciarci?» mi chiede, poi, in modo provocatorio e speranzoso. Il sua, più che un quesito, suona come un invito.

Lentamente, mi avvicino al suo viso, tant'è che i nostri nasi per poco non si sfiorano, chiude gli occhi e, infine, con uno scatto fulmineo, gli mollo un pugno sul braccio, lo avrei colpito in faccia, se non fosse già ridotta piuttosto male a causa dei colpi presi durante l'incontro.
«Ahia!», esclama lui massaggiandosi la parte dolorante in maniera, forse, un po' troppo melodrammatica, «Perché lo hai fatto?»

«Perchè per più di un mese mi hai fatto credere di non provare niente per me!» lo rimprovero, «Dico... Hai idea di come mi sia sentita?»

I suoi occhi, prima di un colore acceso, quasi dorato, si fanno più cupi, tristi, probabilmente nel ripensare alle orribili frasi che mi ha detto quel giorno, dopo essere, letteralmente, scappato dal mio letto. «D'accordo, me lo sono meritato», commenta, «Sono un idiota, mi dispiace...»

«Scuse accettate», dico finendo con l'avvolgere le mani intorno al suo collo, «Adesso possiamo baciarci», sorrido e Justin non se lo fa ripetere due volte. Mi circonda la vita con le sue braccia possenti facendo incastrare le nostre labbra alla perfezione. Dapprima il bacio è dolce, delicato. Cerco di fare piano perché ha pur sempre il labbro rotto e non voglio fargli male, ma a lui questo non pare importare e così il contatto si fa sempre più avido, intenso.

Non avrei mai pensato, prima di conoscerlo, di potermi sentire così per un semplice tocco labbra contro labbra, che le sue labbra potessero farmi sentire così viva o che quel sapore di tabacco e menta potesse, per me, essere il sapore del paradiso.

Ne avevo bisogno, ne avevamo bisogno entrambi.

Allora, spinta da una sempre più irrefrenabile eccitazione che cresce, lo attiro più vicino a me, sorridendo inconsciamente quando, lo sento emettere un verso gutturale.

Non so dire se siano passati secondi, minuti o ore e non mi importa. Potrebbe esserci pure una guerra in atto intorno a noi, non mi importerebbe comunque. Per me ci siamo solo io e lui.

Ed è proprio mentre realizzo questo pensiero che il rumore di una porta e poi una voce alle nostre spalle mi riporta coi piedi per terra.

Ci stacchiamo, col fiato corto, senza, però, allontanarci l'uno dall'altra.

«Oh merda», impreca uno Xavier stupito quanto divertito, «Scusate l'interruzione, ero solo venuto a controllare che non vi foste ammazzati a vicenda...», si giustifica ed un sorrisetto malizioso si fa spazio sul suo volto, «Alla fine avete chiarito».
«Sembrerebbe di sì», affermo io, guardando prima Justin che tiene ben salda la presa sul mio fianco e poi lui.
«Menomale!» esclama l'ispanico in un sospiro, «Stavo iniziando a rompermi il cazzo di lui e dei suoi lamenti su quanto gli mancassi».
Justin lo fulmina con lo sguardo; immagino che se sparasse raggi laser dagli occhi avrebbe già incenerito il suo migliore amico senza pensarci due volte, «Chiudi quella fogna, Xavier».
Ma il moro sembra divertito dall'espressione infastidita dell'altro e prende l'ammonizione dell'amico come un invito a continuare a sparare a zero solo per infastidirlo ulteriormente. «Dovevi vederlo: era tutto un ''Cassie di qua, Cassie di là", bla, bla e bla...» dice gesticolando su quel "bla, bla e bla" , «Diamine, lo hai reso più stupido di quanto non fosse già».
Vedo Justin irrigidirsi sempre di più. «Okay, inizia a correre», lo minaccia serio e teso scattando verso Xavier che, sempre col sorriso sulle labbra, non se lo fa ripetere due volte ed inizia a darsela a gambe levate mentre io, assistendo alla scena, rido fino a quando non mi vengono i crampi alla pancia, rido come non ridevo da tanto tempo.

***

«Sicura di volerlo fare?» domanda Justin accanto a me.
«Sì», rispondo decisa. La mia risposta è stata questa quando, venti minuti fa me lo ha chiesto sotto il portico di casa mia ed è rimasta questa anche adesso che sono seduta sul sedile della sua Range Rover.

«Sai che se scendi da quest'auto insieme a me tutti ti fisseranno?»
«Lo so», dico continuando a guardare le altre macchine parcheggiate intorno a noi.
«E parleranno», aggiunge, come se cercasse di farmi cambiare idea, ma io non ho alcuna intenzione di farlo. Niente potrà farmi cambiare idea.
«Lasciali parlare, allora», mi volto verso di lui ed i nostri occhi si incrociano, «La gente può pure andare a farsi fottere».
Un sorriso si forma sul suo volto inizialmente turbato. L'occhio è quasi del tutto guarito, mentre non si può dire lo stesso del labbro che è chiaro abbia avuto la peggio nello scontro dell'altra sera. «Mi piace quando dici le parolacce», afferma portando una mano all'altezza del mio viso e scostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, «Lo trovo molto sexy». Sento, improvvisamente, salire la temperatura all'interno dell'abitacolo, ma mi obbligo a non arrossire per il suo commento o per il modo così intimo con cui le sue dita hanno sfiorato la mia guancia. Devo ammetterlo: mi piace la piega che sta prendendo il nostro rapporto.

Si avvicina sempre di più a me per baciarmi, o almeno, penso che stia per baciarmi, tuttavia non faccio nemmeno in tempo ad inalare a pieni polmoni l'odore della sua colonia che «Bene, allora facciamo vedere a questi coglioni del liceo un po' di spettacolo», mi sussurra all'orecchio prima di allontanarsi da me lasciandomi intontita e con l'amaro in bocca. Sono piuttosto sicura che l'abbia fatto apposta, il bastardo.

Non mi concede nemmeno il tempo di tornare alla realtà o capire dove mi trovo che la portiera si apre e Justin si materializza di fronte a quest'ultima invitandomi a scendere. Mi mordo il labbro e, raccogliendo quello che rimane della mia dignità, scendo dalla Rover.

Il suo braccio destro avvolge le mie spalle mentre percorriamo prima il parcheggio e poi il corridoio della scuola, sotto gli occhi degli altri studenti. Alcuni sono sgomenti, altri ci guardano come se stessimo facendo qualcosa di orrendo. Una cosa è certa: tutti sono interessati a noi, come se fossimo delle creature mitologiche, ma mi faccio scivolare le loro occhiate addosso. Detesto stare al centro dell'attenzione, ma se avessi dato ascolto alle loro dicerie non avrei mai potuto avvicinarmi a lui, non avrei mai potuto imparare a conoscerlo. Non sono mai stata una di quelle ragazze che si cura di ciò che pensa la gente e sicuramente non ho intenzione di diventarlo adesso.

«Che materia hai alla prima ora?» chiede lui, incurante come me di tutti quegli sguardi a cui è più abituato di me, accompagnandomi al mio armadietto. La preoccupazione che aveva per me, pochi minuti fa, in macchina, si è dissolta completamente.

«Storia», gli rispondo prendendo il libro. Lui annuisce e si offre di accompagnarmi in classe, nonostante la sua sia dall'altra parte dell'edificio, tuttavia, conoscendolo, so quanto poco gli importi di fare tardi a lezione e a me sta bene così, mi fa piacere ricevere queste piccole attenzioni da parte sua.

L'insegnate non è ancora in classe quando arriviamo di fronte all'aula. Faccio per dirgli che ci vedremo più tardi, ma lui mi coglie alla sprovvista facendo una cosa che non mi sarei aspettata facesse, non adesso, almeno.

Mi bacia.
Un bacio dal sapore egoista.

«Così tutti capiscono che stai con me ora e che devono tenersi a debita distanza se non vogliono fare una brutta fine», sussurra al mio orecchio, una volta allontanatosi dalle mie labbra. Un sorriso malizioso si dipinge sul suo volto. «Ci vediamo dopo, Cas», dice guardando prima al di là delle mie spalle e poi me, addentrandosi, successivamente, in mezzo al via vai di studenti.

Mi volto e allora capisco dove fosse o, meglio, su chi fosse concentrata la sua attenzione.

Aaron.

Continue Reading

You'll Also Like

3.9K 156 21
Ciao a tutte, come vi suggerisce il titolo questo libro ha per ogni capitolo, protagonisti e vicende diversi, anche se ce ne sono alcuni che continua...
2.4K 96 10
Lui: Federico Rossi, nuovo prof di psicologia, 22 anni. Lei: Marta Pagliato, studentessa, 17 anni. Lui: Ragazzo, dolce e bello ma a volte stronzo...
2.7K 151 22
Non erano totalmente diversi, ma neanche molto simili. ~Tratto dal libro~ :- So che mi vuoi ragazzina- disse avvicinandosi pericolosamente :- Perch...
97.7K 2.3K 38
Harry Styles è un medico di 32 anni nato a Londra città in cui tutt'ora lavora. È un uomo bellissimo. Alto, muscoloso, occhi verdi capelli marroni e...