Disaster

By wrongperfectly

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COMPLETA. #1 in Teen Fiction il 7.02.19 #1 in Fan Fiction il 21.04.20 All'apparenza Cassie Anderson e Justin... More

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59
Capitolo 60
Capitolo 61
Capitolo 62
Capitolo 63
Capitolo 64
Capitolo 65
Epilogo
Ringraziamenti

Capitolo 28

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By wrongperfectly


Raggiungiamo la nostra meta in meno di dieci minuti, grazie alla guida spericolata dell'ispanico; Justin mi spiega che, per motivi di sicurezza, ogni incontro si tiene sempre in luoghi differenti che i lottatori e tutte le persone coinvolte nel giro non possono conoscere se non qualche ora prima dell'evento e questa sera è la volta del Darkness; un locale semi fallito situato nella periferia della città.

Un nome, una garanzia; è ciò che penso non appena varchiamo la soglia: le luci sono fosche e basse, al punto tale che riesco a vedere a malapena i volti dei due ragazzi vicino a me. L'aria nell'enorme stanza è pressoché irrespirabile a causa dell'intenso odore di fumo e di sudore provocato dalla calca di persone presenti, pronte a puntare sul combattente che reputano migliore.

Mi sento come una sardina intrappolata in mezzo a tutti questi corpi, per lo più di uomini desiderosi di fare soldi facili e anche di qualcos'altro, visto che più volte il mio sedere viene palpato da qualche porco che approfitta della folla per passare inosservato, provocandomi un senso di nausea maggiore di quello attuale.

«Quello è Trevor, il tuo avversario», esordisce Xavier, indicando col capo il tizio in questione. Rabbrividisco non appena il mio sguardo si sposta nella sua direzione: capelli rasati, ghigno maligno, il tutto in almeno un metro e novanta di muscoli e testosterone; è più grosso di Justin ed anche del tizio con cui l'ho visto scontrarsi l'altra volta.
Perplessa, mi volto verso il biondo, il quale si è già levato la t-shirt nello spogliatoio improvvisato del locale, lasciando in mostra l'addome scolpito e l'inchiostro sulla sua pelle, dove ha arrotolato anche il nastro intorno ai polsi. La sua mascella è contratta e gli occhi sono ridotti a due fessure come se stesse cercando di studiare i movimenti del rivale intento a riscaldarsi sul ring; è indubbiamente teso ma non sembra affatto preoccupato, «Com'è?»
«Forte, ma non imbattibile: ha subito un'operazione alla spalla destra, mira a quella e andrà ko», gli suggerisce l'amico. Justin annuisce spostando lo sguardo dall'energumeno per portarlo sulla mia figura, «Sta' vicino a Xavier, qualsiasi cosa accada», si raccomanda.

''Qualsiasi cosa accada'', frase che mi fa rabbrividire: cosa dovrebbe o potrebbe accadere? Non riesco nemmeno ad elaborare una risposta di senso compiuto, tanta è l'agitazione che provo in corpo; i miei occhi guardano quello che hanno davanti, ma la mia mente è altrove.
Justin, forse temendo per il mio apparente stato di trance, prende il mio mento con le dita, proprio come ha fatto in camera mia, e lo alza affinché le nostre iridi possano incrociarsi. «Mi hai capito?» mormora accigliato a pochi centimetri dalle mie labbra; la vicinanza tra le nostre bocche, unita al magone che sento in gola, non mi permette di proferire parola, così mi limito a fargli un cenno col capo per rassicurarlo sul fatto che non sono ancora diventata sorda.
Lui lascia la presa sul mio volto senza, però, interrompere il nostro piccolo scambio di sguardi. Improvvisamente, un braccio si poggia sulle mie spalle e «Non ti preoccupare, è in buone mani», afferma il moro che si piazza accanto a me.
Justin, immediatamente, lo fulmina con lo sguardo, non so perché, fatto sta che subito dopo Xavier molla la presa sul mio corpo. «Lo spero», bofonchia il biondo con tono severo.

Poi, il ragazzo, riluttante, si volta, incamminandosi verso il ring al centro della stanza senza aggiungere altro; non posso, né tantomeno voglio che si allontani così, perciò «Justin...», lo chiamo ad alta voce, prima che possa essere troppo distante. Lui si gira a guardarmi ed io sento il cuore battermi all'impazzata. «Sta' attento», mormoro, senza riuscire a nascondere la preoccupazione.
Sorride e non solo con la bocca, anche i suoi occhi sembrano farlo, «Sono sempre attento, bambolina», dice facendomi l'occhiolino tornando, subito dopo, sui suoi passi.

Oh Dio.

Non stacco lo sguardo dalla sua figura neanche per un istante, al punto che quasi non mi accorgo della risata del ragazzo alle mie spalle, «Che hai da ridere?» gli domando infastidita.
Xavier, colto con le mani nel sacco, alza le mani in aria con finta innocenza. «Niente, assolutamente niente», afferma, strozzando un'altra risata sul nascere. Se i miei occhi sparassero laser lui adesso sarebbe già abbrustolito. Ma lascio correre e, senza replicare, torno a concentrarmi sull'incontro che si appresta ad incominciare col fiato sospeso.

«Vincerà, puoi stare tranquilla», lo sento dire, poi, tentando di rassicurarmi; devo avere davvero una brutta cera se anche lui si è accorto di quanto sia preoccupata.

Sforzo un sorriso, anche se dentro sto morendo dalla paura; non perché non abbia fiducia nelle capacità da combattente di Justin, ma perché è normale essere in pensiero quando una persona a cui tieni rischia di farsi male. Ed io tengo a lui, più di quanto vorrei.

Justin afferra una delle corde che delimitano il perimetro del ring e con agilità sale sopra di esso, ritrovandosi faccia a faccia con il suo avversario, Trevor. I due si porgono il tradizionale saluto stringendosi la mano in maniera per niente amichevole, tuttavia non c'è da stupirsi di questo se si considera che stanno per prendersi a pugni.

L'arbitro, che riconosco essere lo stesso dell'ultima volta, presenta i lottatori alla folla dando, successivamente, il segnale di inizio del combattimento per la gioia di tutti i presenti. Tutti, ovviamente, eccetto me. Io non sono qui per l'incontro: ci sono solo per Justin.

Immediatamente, il più grosso si scaglia addosso a lui che, prontamente, si abbassa, schivando, così, un suo colpo. Sussulto, però, quando un pugno entra in collisione con il suo zigomo.

Continuo a ripetermi mentalmente di non preoccuparmi, che lui si fa colpire di proposito per far credere al suo avversario di avere la vittoria in tasca, tuttavia la vista del sangue che Justin sputa non mi rassicura affatto.

È anche peggio della prima volta che lo vidi combattere, la sera che seguii Xavier: quel giorno rimasi sconvolta dalla violenza a cui avevo assistito, oggi tutto ciò che mi importa è la sicurezza di Justin, forse perché adesso lo vedo sotto una luce del tutto diversa.

Istintivamente, mi mordo l'interno guancia sforzandomi di non urlare, ma quando il tizio lo immobilizza portandogli le braccia dietro la schiena il mio cuore perde un battito.

«Non ce la faccio», dico più a me stessa che a Xavier, chiudendo gli occhi per non guardare la scena.

Tutto questo è troppo per me. Aveva ragione Justin: non sarei mai dovuta venire.

Mi sento soffocare. Ho bisogno di aria, così mi faccio largo tra la folla, seguita dalla voce di Xavier che ignoro, cercando, invece, di raggiungere l'uscita più vicina di questo posto puzzolente; nella fuga commetto l'errore di voltarmi verso il ring: l'uomo sta ancora avendo la meglio su Justin ed all'improvviso lo sguardo del biondo incrocia il mio per un istante che sembra durare un'eternità.

La mia pelle si accappona quando noto quel Trevor alle sue spalle scrutarmi con gli occhi piccoli e maligni che, successivamente, con un ghigno, si avvicina all'orecchio di Justin per sussurrargli qualcosa di cui non ho idea, ma che non sembra piacere al biondo.

Accade tutto così in fretta ed allo stesso tempo, così lentamente; non saprei nemmeno spiegare come, fatto sta che il ragazzo riesce a liberarsi dalla morsa dell'altro ed, immediatamente, piomba addosso al suo avversario colpendolo con una raffica di colpi allo stomaco che lo portano, inevitabilmente, a piegarsi dal dolore. Justin approfitta del momento di distrazione per sferrargli un pugno ben assestato proprio sulla spalla destra rimasta scoperta, quella che Xavier ha definito come il suo punto debole, facendolo cadere definitivamente a terra, mossa che determina ufficialmente la sua sconfitta.

Urla di gioia ed altre di disapprovazione echeggiano nella stanza, sovrastate solamente dalla voce del presentatore che sale sul ring e, dopo aver fatto la conta, alza la mano di Justin e annuncia: «Signore e signori, Bieber è il vincitore!»

***

«Ottocento, novecento...», Justin sfoglia le banconote che ha in mano contandole minuziosamente. «Mille dollari», afferma soddisfatto dell'incasso della serata porgendolo, poi, a Xavier.
«Tienili tu, te li sei meritati», gli dice l'ispanico allontanando con un gesto la mano dell'amico, quest'ultimo però lo guarda storto, «I tuoi fratelli meritano di avere una bici come si deve e poi sai che non lo faccio per i soldi», controbatte.

Lo aveva detto anche a me quella sera; lui combatte solo per il gusto di combattere e per quanto possa suonare orribile o immorale, credo di capirlo; prima non ci riuscivo, ma adesso sì: ha tanta rabbia repressa dentro di sé che non riesce a sfogare se non così, l'unico avversario contro cui lotta è se stesso, in perenne conflitto coi suoi demoni interiori. Non mi sono dimenticata il discorso che abbiamo fatto la notte in cui ero ubriaca; non era l'alcol a parlare ma ero io: gli avevo detto che è una bella persona e lui mi aveva guardata come se fossi pazza, ma il fatto che ogni volta doni il ricavato all'amico, il quale sicuramente ne ha più bisogno, ai miei occhi non fa che confermare l'idea che da un po' mi sono fatta su Justin e cioè che lui è migliore di quanto voglia far credere, solo che non vuole darlo a vedere, non a tutti almeno.

E forse è proprio per questo che ho iniziato a provare qualcosa per lui.

Xavier, comunque, sembra riluttante ad accettare la generosa offerta, «Facciamo così: offrimi una birra e siamo pari», gli propone, a quel punto, Justin con un sorriso furbo per convincere l'amico che, però, sbuffa, «Va bene, ma non pensare neanche per un istante che siamo pari, ti devo almeno altri mille favori».
«Lo hai detto tu, non io», dichiara il biondo alzando le mani in aria. Il moro gli dà una pacca sulla spalla, prima di dirigersi, così, a pagare il conto lasciandoci seduti al bancone dei drink da soli. Chiaramente, dopo l'esperienza che ho avuto, l'unica cosa che mi sono permessa di ordinare è stata dell'acqua. E delle patatine fritte.

Xavier ha insistito affinché festeggiassimo la vittoria di Justin, perché "non potevamo non farlo" a detta sua e perciò ci siamo spostati sul fronte del locale, sicuramente meno inquietante rispetto al retro ma, in ogni caso, un ambiente che non fa per me, visto il tipo di persone da cui è frequentato, per lo più ubriaconi e spogliarelliste.

«Come sta il tuo zigomo?» gli chiedo.

Lui si porta una mano sulla guancia gonfia e «Un po' ammaccato, ma sempre perfetto», afferma, ovviamente scherzando, prima di bere un sorso della sua birra, «Allora? Piaciuto lo spettacolo?»
«Non lo definirei esattamente uno spettacolo», rispondo stizzita riportando alla mente le immagini di un'ora fa, insieme ad un dubbio che mi assale e che voglio provare a sciogliere, «Che ti ha detto quel Trevor all'orecchio?»
«Lui...», lo vedo irrigidirsi, posando la bottiglia sul bancone e serrando i pugni, «Ha fatto un commento infelice su di te», dice a denti stretti.

Cosa? Ma come si è permesso?

Vorrei chiedergli di cosa si tratti e soprattutto perché l'abbia fatto, ma qualcosa mi dice che non sarebbe disposto a rispondermi. E forse, per la prima volta, nemmeno io voglio sapere davvero, perciò mi limito ad annuire in silenzio; il fatto che l'abbia preso a calci nel sedere basta a farmi sentire meglio.

«Stavi per andartene», mormora, poi, con flebile voce. I suoi occhi si fanno più cupi mentre, voltandosi, incrociano i miei e, per un attimo, mi si mozza il fiato. «Perché avevo paura», confesso, spostando lo sguardo sulle mie unghie poco curate.
«Dubitavi delle mie capacità da lottatore? Perché se è così mi offendo», dice facendo il finto offeso. Immediatamente, l'atmosfera si fa meno tesa rispetto a pochi istanti fa, così aggrotto le sopracciglia con fare scherzoso e, con un sorriso divertito, gli chiedo: «Ho ferito il tuo ego?»
«Decisamente», risponde con fare altezzoso.

Istintivamente gli do un colpetto sul braccio, come invito a smetterla di fare il gradasso, lui ride ma si fa subito serio quando afferra il mio polso e «Cos'è questo?» domanda riferendosi al segno violaceo sulla pelle.

Merda.

Ho tolto il cardigan e sono rimasta in canottiera, senza pensare al fatto che si potesse notare perché, effettivamente, all'interno del locale la temperatura è alle stelle. Mi libero dalla sua presa con uno scatto fulmineo, coprendo la zona interessata col bracciale, «Niente...» sibilo.
Justin si acciglia, «Chi è stato Cassie? Tuo padre?»
«No, me lo sono procurata da sola», mento dicendo la prima scusa che mi passa per la mente che, però, mi rendo conto non essere un granché.
«Non mentirmi», ringhia, «Dimmi chi è stato o giuro che lo scopro da solo», mi minaccia serio. Ed ecco che torniamo al clima gelido e di tensione che vi era solo pochi minuti prima.
Caccio fuori un bel respiro, «Aaron, è stato Aaron», dico, quasi in un sussurro. Detesto fare la spia, ma è meglio che glielo dica io, in modo tale da poterlo fare ragionare.

Vedo la vena sul suo collo che si ingrossa sempre di più, «Si è trattato solo di un incidente», cerco di rassicurarlo, cosa difficile da fare dal momento che nemmeno io credo fino in fondo alle mie parole.
«Come puoi chiamare questo- prende il mio polso tra le mani indicando il livido -incidente?» domanda, ormai, irato.
«Ci ho già pensato io, non fare niente di stupido», la mia voce esce come una supplica; lui ed Aaron si sono già scontrati a causa mia e non voglio che la cosa si ripeta: Aaron rischierebbe sicuramente di finire all'ospedale questa volta, mentre Justin sarebbe sicuramente espulso. Oppure in carcere, se decidesse di aggredirlo fuori dalle mura della scuola. Ed io non voglio che si metta nei guai per me.
«Intendi stupido come metterti le mani addosso?»
Porto una mano sul suo avambraccio e «Justin, per favore».

Il ragazzo guarda i miei occhi supplichevoli e poi la mia mano. Successivamente, si tira le punte dei capelli, cosa che, ho imparato, fa ogni volta che è frustrato, «D'accordo, argomento chiuso», afferma, facendomi tirare un sospiro di sollievo che, però, viene interrotto dal suo borbottare: «Per ora», cosa che decido di voler ignorare.

Restiamo in silenzio l'uno accanto all'altra, immersi nei propri pensieri, per una manciata di minuti. Poi, una canzone piuttosto movimentata comincia a risuonare per tutto il locale e vedo Justin cambiare espressione con un certo luccichio diabolico, «Balla con me».
«Cosa? Scordatelo, io non so ballare», bofonchio.

Ma che assurdità gli passano per la testa?

«Posso insegnarti io, allora», propone, scendendo dallo sgabello per porgermi la sua mano, «Sono un ottimo ballerino», aggiunge ammiccando e tentando invano di persuadermi. Tempo sprecato.

«Sei proprio una fifona, Anderson», lo sento borbottare.

Questa non la doveva dire.

Spalanco la bocca, indignata, mentre a mia volta scatto in piedi.«Rimangiati tutto, Bieber», lo minaccio puntandogli un dito contro con uno sguardo di fuoco: posso essere tante cose, ma non una fifona.l
Lui si inumidisce le labbra, senza togliersi il sorriso divertito e provocatorio dalla faccia. «Dimostrami che mi sbaglio, allora».
Sbuffo e «Che bastardo!» esclamo, afferrandogli, controvoglia, la mano.

Me la pagherà cara, poco ma sicuro.

Prima che possa rendermene conto vengo trascinata sulla pista da ballo, il luogo dove sicuramente perderò la mia dignità.
Justin inizia a muoversi invitandomi a fare lo stesso, facendomi fare anche qualche giravolta; devo ammettere che aveva ragione: sa davvero come muoversi a differenza mia che non faccio altro che pestargli i piedi.

«Te lo avevo detto che ero un disastro», gli ricordo dopo la mia ennesima mossa scoordinata.
La musica ad un certo punto cambia e dagli altoparlanti, così, si diffonde una melodia più leggera, romantica.

Oh ma lo fate di proposito, allora.

Faccio tornare immediatamente a sedermi, ritenendo di essermi messa sufficientemente in ridicolo, ma Justin me lo impedisce, tirandomi per la mano.
«Sta' più vicino a me», ordina il mio insegnante improvvisato cingendomi i fianchi ed avvicinandomi di più a sé facendo, inevitabilmente, aderire i nostri petti, «Così».
Deglutisco a fatica portando impacciatamente le mie mani dietro al suo collo.

Iniziamo a dondolarci a destra e poi a sinistra, come se fossimo cullati da una sorta di ninna nanna. Il tutto senza smettere di guardarci l'uno negli occhi dell'altra.

«Cosa mi stai facendo, Cas?» mormora ad un tratto, forse più a se stesso che a me. Per un istante credo anche di averle sentite solo nella mia testa quelle parole, ma mi rendo conto che non è così.
«La vera domanda è: cosa mi stai facendo tu, Justin?» domando con lo stesso tono di voce flebile e roco, sento le mie guance andare a fuoco.

In un attimo le sue labbra si posano sulle mie, da prima in maniera delicata, poi sempre con più prepotenza, quando la sua lingua incontra la mia. Quest'ultime iniziano a rincorrersi all'interno delle nostre bocche, facendomi sentire milioni di farfalle nello stomaco. Mi era mancata questa sensazione che solo lui riesce a farmi provare. È sempre tutto così giusto e sbagliato allo stesso tempo con Justin. Mi travolge completamente.
Sposto le mani sul suo viso cercando di attirarlo più vicino a me, mentre la sua presa sui miei fianchi si fa sempre più salda, fino a quasi conficcare le unghie nella pelle.

Le mie gambe si fanno più molli ed il cuore batte all'impazzata, sta volta non per la paura; anche se a dir la verità un po' di paura ce l'ho: inizio a rendermi conto che ogni giorno quello che provo si fa sempre più intenso. E questo sì che mi spaventa.

Mi sto innamorando di lui.

E nel momento in cui lo realizzo Justin scioglie il bacio e si allontana da me lasciandomi con un senso di vuoto. Poi, mi scruta coi suoi occhi spostandomi una ciocca di capelli caduta sul volto.
«Vorrei tanto saperlo», sussurra abbassandosi e poggiando la sua fronte sulla mia. Non riesco a guardarlo in faccia in questo modo, ma sono sicura di vedere un sorriso formarsi ai lati della sua bocca e non posso fare a meno di sorridere come un'idiota insieme a lui.

Un rumoroso colpo di tosse, d'un tratto, mi riporta sulla terra ferma e fa sì che entrambi ci allontaniamo l'uno dall'altra, Justin, tuttavia, non stacca la presa dai miei fianchi. «Detesto interrompervi piccioncini, ma Cenerentola sono le due del mattino», annuncia Xavier ed io sento immediatamente il sangue gelarmisi nelle vene.
«Cazzo, mio padre sarà a casa a momenti!» esclamo. Fanculo, sono stata così presa da Justin che quasi mi dimenticavo della mia segregazione.
L'ispanico annuisce, poi «Fareste meglio a muovervi se non volete che l'auto si trasformi in zucca», sghignazza alla sua stessa, pessima, battuta sventolando di fronte a noi le chiavi dell'auto che il biondo afferra prontamente. «Tu non vieni?»
Il ragazzo si gratta il capo, «Io... Uhm, credo che resterò un altro po'», sorride sfoggiando un ghigno malizioso, «E poi non voglio esservi di intralcio per nessun motivo».

A cosa starà alludendo? Mi domando, ma decido di lasciar correre; ho cose più importanti a cui pensare, come, ad esempio, la mia vita.

Justin saluta velocemente l'amico ringraziandolo e mi conduce fuori dal locale, facendomi strada verso l'area dove è parcheggiata la sua macchina.

Nessuno dei due proferisce parola durante il viaggio di ritorno; il biondo resta concentrato sulla strada davanti a sé, mentre io inizio a farmi una serie di viaggi mentali: vorrei davvero sapere se quelle parole e quel bacio siano significati qualcosa per lui o se fossero dettati solo dalle circostanze; ma la paura di una sua risposta negativa mi impedisce di porgli la domanda. Non è, comunque, nemmeno il momento adatto per parlarne; almeno così voglio credere.

Cerco di cacciare i pensieri e di concentrarmi solo sulla canzone che risuona nell'abitacolo, per quanto possano essere il mio genere le canzoni house trasmesse nel cuore della notte.

Caccio un respiro che credevo di trattenere da una vita quando, giunti a destinazione, non vedo l'auto di mio padre nei paraggi, segno che non è ancora rientrato in casa dal momento che il garage è già occupato dalla mia Peugeot.

Appena in tempo.

«Beh, grazie del passaggio», sorrido timidamente, slacciandomi la cintura ed aprendo lo sportello per uscire.
«Cassie, aspetta», mi blocca prima che possa fare qualsiasi altro movimento. Lui apre la bocca per parlare, ma la chiude immediatamente scuotendo la testa.

Di' qualcosa, qualsiasi cosa.

Niente, nemmeno una parola.
Annuisco. Sento qualcosa rompersi in me, ma cerco di incassare il colpo, «Buonanotte, Justin».

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