Acheronta Movebo

By _AlanSmithee_

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"I poeti canteranno gli eroi, consegnandoli all'Immortalità" Ecco ciò che mi hanno insegnato. E io ho consuma... More

PARTE I - TACERE
CAPITOLO 1 - VITA NUOVA
CAPITOLO 2 - IL MIO ULISSE
CAPITOLO 3 - UNA PUNIZIONE INGIUSTA
CAPITOLO 4 - NON SONO UOMINI
CAPITOLO 5 - UNA SERATA COME TANTE
CAPITOLO 6 - SIGNOR VENTO
CAPITOLO 7 - NOTIZIE
CAPITOLO 8 - CON QUESTO AMULETO IO TI PROTEGGO
CAPITOLO 9 - MAGGIORENNE
CAPITOLO 10 - DIVENTARE ADULTI
CAPITOLO 11 - LA ZANZARA
CAPITOLO 12 - LE EROINE NON ESISTONO
CAPITOLO 13 - NIENTE PIU' FAVOLE
PARTE II - VOLERE
CAPITOLO 1 - ROMA CAPUT MUNDI
CAPITOLO 2 - I FIGLI DELL'URBE
CAPITOLO 3 - STORIE DI MEZZANOTTE
CAPITOLO 4 - MUOVERO' L'ACHERONTE
CAPITOLO 5 - UN TALENTO NASCOSTO
CAPITOLO 6 - IL FIGLIO DEL CONSOLE
CAPITOLO 7 - PORTA DI CORNO, PORTA D'AVORIO
CAPITOLO 8 - FUGGE IL TEMPO IRREPARABILMENTE
CAPITOLO 9 - LA CASA DELLA SIRENA
CAPITOLO 10 - IL MAESTRO SENZ'ANIMA
CAPITOLO 11 - NON FA RIDERE
CAPITOLO 12 - PATER FAMILIAS
CAPITOLO 13 - LA PRIMA VOLTA
CAPITOLO 14 - IBIS REDIBIS
CAPITOLO 15 - LA VIA DEL RITORNO
CAPITOLO 16 - TRA LE RIGHE
CAPITOLO 17 - LA COLPA E' DELLA SPADA
CAPITOLO 18 - UN BUON ESEMPIO
CAPITOLO 20 - UOMO D'ONORE
CAPITOLO 21 - FUGGI DOVE SORGE IL SOLE
PARTE III - OSARE
CAPITOLO 1 - SANGUE DEL TUO SANGUE
CAPITOLO 2 - PASSATO, PRESENTE, FUTURO
CAPITOLO 3 - ESTRANEO
CAPITOLO 4 - DIMMI DI PIU'
CAPITOLO 5 - LUNGA VITA AL RE
CAPITOLO 6 - UN'ALTRA SCUSA
CAPITOLO 7 - LA SOLUZIONE
CAPITOLO 8 - FIORE D'INFERNO, LUPO CANTORE

CAPITOLO 19 - ALLO SCOPERTO

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By _AlanSmithee_

«Hai chiesto di me?» le parole mi morirono in gola quando trovai Marco nello studiolo, intento a discutere col rhetor. Epidio aveva la fronte aggrottata, picchiettava le dita sulla scrivania e, appena mi vide varcare la soglia, serrò la mascella.

«Tu, che più di tutti dovevi mostrarti all'altezza» esordì, senza nemmeno congedare il figlio di Catone «Tu, che avevi così tanto da provare... Fai questo?!»

Il suo tono aggressivo mi spinse a chinare la testa. «Signore, non comprendo.»

«È inaccettabile, disdicevole, ridicolo» Epidio si massaggiò le tempie furente «Un apprendista veterinario tra i miei allievi!»

"Sanno di Palaimon" annaspai, tentando di raccogliere un po' d'aria.

Il rhetor mi rivolse un'espressione greve e prese a vagare per la stanza. «Cosa avevi in mente?»

Non osai replicare. Era umiliante subire i suoi rimproveri, specialmente di fronte a Marco che, adagiato sulla sedia, mi osservava compiaciuto. "Non aspettavi altro, vero?" lo guardai tendere le labbra in un sorriso e giocherellare con una ciocca di capelli; poi, spostai l'attenzione su Epidio. «Perdonami.»

«Non basta» esclamò lui «O ti licenzi oggi stesso, o lasci l'accademia.»

"No, ti prego!" stavo per dirgli che avrei abbandonato gli studi, quando ripensai ai miei cari, ai sogni costruiti insieme e al denaro speso per portarmi lì: renderli orgogliosi era troppo importante. «Voglio restare» sospirai «Farò qualunque cosa.»

Credevo che la risposta l'avrebbe rabbonito; invece, il rhetor mi scrutò disgustato. «Ad esempio... venderti?» sibilò «C'è chi sostiene che tu non t'intrattenga solo con cani ed equini.»

«Come, prego?»

«Hai capito benissimo.»

Lanciai una seconda occhiata a Marco e tornai a fissare il rhetor. «Ti giuro non...»

«Eviti le ragazze» dichiarò lui, in tono tanto assorto quanto tagliente «Non desideri giacere con loro, preferendo la compagnia dei giovani». Epidio si fermò di colpo, incrociò le braccia e inarcò un sopracciglio. «C'è chi ti chiama Verginella, una femminuccia travestita da avvocato.»

Strinsi i pugni e la mia mente si riempì di ricordi: il Golfo di Napoli, prima notte con Sabino, io che gli giuravo amore eterno... ma anche le incomprensioni, le gelosie e i litigi. «Sono calunnie» ansimai, sperando di non piangere.

Intanto, Epidio aveva indossato un lungo mantello di lana. «Calunnie generate dalla tua condotta» puntualizzò «La Fama è una creatura pericolosa: nasce da una voce sottile e vola da orecchio a orecchio, trasformandosi in un mostro.»

Per la terza volta, spostai lo sguardo su Marco. "Avanti, fammi intendere che sei stato tu a tradirci e che Sabino non ne sa nulla". Lui, però, rimase impassibile.

«Virgilio, vieni!» mi richiamò il rhetor «Voglio che ti licenzi in mia presenza.»

«Non ho mai svenduto il mio corpo» sussurrai, ponendomi al suo fianco. "Era Amore. È stato importante per entrambi" desideravo esserne certo; invece, i dubbi crescevano a ogni passo.

Camminammo tra le vie affollate dell'Urbe senza dirci nulla ed entrammo nella bottega di Palaimon, Epidio con atteggiamento altero e io incurvato sotto il peso della vergogna. Mi soffermai dapprima sul bancone, poi sulle erbe appese alle pareti, sui vasi colmi di pergamene, sulle tavolette d'argilla impilate sopra le mensole e su quell'uomo che sentivo parte della mia famiglia. La bottega era il rifugio in cui avrei sperato di nascondermi; eppure, stavo per dirle addio.

«Fallo di fronte a me» comandò il rhetor «E sii convincente.»

Non ricordo quali parole usai. L'unica memoria che possiedo è la risposta di Palaimon: «Domani sarò nel Foro» dichiarò, sollevandomi il mento «Domani ti ascolterò e dimostrerai che un apprendista laborioso può essere anche un ottimo avvocato. Io lo so, Virgilio, e domani lo saprà pure lui.»

Epidio non si preoccupò di ribattere – aveva solo fretta di tornare a scuola – e io, bofonchiato un maldestro "grazie", seguii il rhetor in silenzio.

"Una prigione" pensavo, attraversando il porticato dell'accademia di fronte agli occhi curiosi dei compagni. Mi additavano tutti e i loro bisbigli furono un tormento fino al calar del Sole, quando divenni preda delle ombre. Ciascuna sagoma assumeva le sembianze di un nemico o di una scelta sbagliata e, se abbassavo le palpebre, continuavo a udirne le voci. Esasperato, uscii nel cortile per ripassare l'orazione. La ripetei ancora e ancora, ma più declamavo più la mia lingua perdeva scioltezza e lo stomaco si contorceva, incapace di trattenere oltre le angosce accumulate durante il giorno. Dopo un'interminabile notte di pianto e frustrazione, giunse il momento di andare nel Foro.

Labbra livide, occhiaie, fronte imperlata di sudore e sensi annebbiati. Ecco come mi presentai davanti al pretore. La toga che indossavo non mi rendeva un avvocato; al contrario, sembravo lì per errore.

Finsi di non vedere né Palaimon né Cornelio, ringraziai gli Dei per aver allontanato il nonno da Roma e rivolsi a malapena un saluto al mio assistito. Intorno a noi, statue e bassorilievi facevano da muti testimoni e la gente si radunava a poco a poco, alcuni accomodandosi sui sedili disposti per l'occasione, altri restando in piedi.

Il pretore e i giudici ci scrutavano con supponenza; figure marmoree, dai capelli canuti e le anime inaridite. Chissà se rammentavano il primo caso a cui avevano preso parte. "No" conclusi, incrociando i loro sguardi vuoti "Stanno già pensando agli ozi pomeridiani". Nemmeno l'avvocato dell'accusa pareva coinvolto: sapeva di perdere e, forse, non aveva speso che una manciata di minuti per preparare l'arringa. Tuttavia, appena cominciò a parlare, riconobbi l'eloquenza di un professionista.

"Devo restare calmo!" tentai d'incoraggiarmi "Un'orazione appassionata non avrà la meglio sulla Verità". Poi, l'attenzione mi cadde su Epidio. Dialogava col fratello del mio assistito e tra loro c'era Marco, come sempre in abiti formali, impeccabile nella postura e nei modi. Parlano di te, sibilò una voce, insinuandosi nella mia testa, Si chiedono quanto sarai ridicolo.

Intanto, l'avvocato dell'accusa incalzava più impetuoso di una tempesta, Cornelio aveva i muscoli tesi quasi dovesse discutere lui stesso il caso e Palaimon lanciava sguardi di sfida al rhetor, aspettando il momento in cui avrei dato prova del mio valore.

"Il mio valore" inspirai "Non difendo soltanto un cliente: difendo il mio valore". In un battito di ciglia, ripercorsi ogni cosa: le risate ad Andes, la violenza del maestro Ballista, i miei amici, il tempo con Sabino, le lezioni in accademia, gli esercizi di pronuncia.

Sai chi sei.

Dimostralo.

Ma le parole rimasero sigillate nel petto.

«Cosa succede?» il mio assistito era attonito e tra la folla si levò un brusio sempre più intenso.

"Parla, parla, parla!" andava bene tutto, anche una frase banale, anche pronunciata in un pessimo accento provinciale. "V'imploro, Dei del cielo, non fatemi questo!" mi torcevo le mani, biascicando sillabe incomprensibili e ondeggiando avanti e indietro.

«Il giovane è ubriaco?» ringhiò uno dei giudici, spazientito.

Cornelio voleva intervenire e, quando un ragazzotto vicino a lui soffocò una risata, gli tirò un pugno nello stomaco. Palaimon, di contro, si lasciò inghiottire dalla gente, incapace di assistere alla mia umiliazione.

"Parla, parla, parla!" il cliente mi fissava. Il pretore mi fissava. Gli Dei mi fissavano. E io credetti di morire in mezzo al Foro, sotto centinaia di sguardi famelici. Poi, Epidio avanzò verso i rostra e pose una mano sulla mia spalla.

«Il giovane non parla poiché c'è stato un cambiamento» dichiarò, invitando Marco a raggiungerci «Sarà Catone a occuparsi del caso.»

"L'ha portato apposta" mi sentii preso in giro "Ieri era nel suo studio perché dovevano creare un'arringa dell'ultimo minuto. Attendevano solo che facessi un errore".

Marco mi rivolse un'occhiata greve. È per il Bene di tutti, mimarono le sue labbra, un attimo prima di salutare il pretore.

«Torna a scuola» sibilò Epidio, trascinandomi con sé nel pubblico.

«Maestro... non...»

«Mi hai offeso anche troppo, Virgilio.»

"Io avrei offeso te?"

La voce di Marco si diffondeva soave nell'aria mattutina, mentre la gente mi additava come ubriacone, illetterato, inetto, stupido... non potevo resistere e, più per sottrarmi alla vergogna che per accontentare il rhetor, fuggii via, percorrendo strade diverse così da impedire a Cornelio di seguirmi. Inciampai molte volte, ma non mi fermai e i miei occhi rimasero asciutti: il dolore era una lastra di ghiaccio conficcata nella parte più profonda dell'anima. Avevo bisogno di calore e pensai subito a lui.

«Sabino... poco fa... ai rostra...» boccheggiai, entrando di corsa nella sua stanza «Stringimi, ti supplico. Dimmi che andrà bene. Dimmi che non è finita». Affondai il viso nel suo petto, in cerca di quel cuore per cui volevo vivere.

Sabino era confuso, però ricambiò la stretta, mi ascoltò in silenzio e, quando ebbi terminato, iniziò ad accarezzarmi la schiena. «Marco non sbagliava» mormorò tra sé «Credeva sarebbe successo in maniera diversa, ma il risultato...»

«In che senso?»

Per tutta risposta, mi diede un bacio sulla fronte e assunse un'aria comprensiva.

«Sabino, ti prego, parla!»

«Sei inadatto alla vita pubblica» spiegò in tono distaccato «La tua gens non appartiene né ai patrizi né agli equites. Questo posto non fa per te e... sarà la nostra fortuna». Nella sua voce c'era una nota d'amarezza, quasi la fortuna a cui alludeva fosse una condanna. Poi tacque per un tempo che non saprei quantificare. «La nostra fortuna» ripeté, mordendosi il labbro «La nostra... fortuna.»

«Sabino, basta! Non capisco.»

«Eppure è semplice» prese un respiro e sostenne il mio sguardo. Mi vidi riflesso nei suoi occhi nocciola; occhi dolci, accoglienti, capaci di rapirmi. Avrei potuto specchiarmici in eterno e lui stava per propormelo, ma a condizioni ben precise. «Ora ti dico cosa succederà» esordì, tirando su col naso «Lascerai la scuola, tornerai a fare il veterinario e lavorerai per me. I nostri ruoli saranno chiari, i nostri obiettivi anche, e continueremo ad avere ciò che abbiamo adesso. Tu frequenterai i miei figli, diventeremo vecchi e nessuno ci creerà problemi.»

Aggrottai le sopracciglia. «Vuoi che viva come un liberto per seguirti?»

«Non vedo il problema» era sincero «La tua indole ti spinge verso posizioni umili. Altrimenti, non avresti accettato la proposta di Palaimon.»

«Conosci il suo nome?»

«Suvvia, quell'uomo cura gli animali dell'aristocrazia romana! Io e Marco sapevamo da mesi che passavi del tempo nella sua bottega.»

«Voi...?»

«Marco pensava che avresti scelto il lavoro di tua spontanea volontà. Così non è stato, ma il suo ragionamento è comunque valido: dopo quanto accaduto nel Foro, non intraprenderai il cursus honorum e questo significa che un...»

«Amore?»

«...Un rapporto con te sarà possibile.»

Accetta! Sabino era l'unica cosa che mi restava e la sua idea aveva senso. Tuttavia, le mie labbra agirono diversamente: «Un rapporto sarà possibile, perché tu non mi reputi un tuo pari.»

Serrò la mascella. Temeva che distruggessi il suo progetto con domande inopportune.

Lo temevo anch'io, però le parole mi sfuggirono di bocca, seguite dalle lacrime. «Se al mio posto ci fosse Marco, gli chiederesti ciò che hai chiesto a me?»

«Noi non abbiamo...» pure i suoi occhi si erano inumiditi «Non esiste un Amore senza sesso, te l'ho spiegato. Marco è il mio migliore amico.»

«Sei sicuro? Allora giuralo. Giura che non l'hai mai amato.»

Sabino serrò le labbra e, per la prima volta, vidi una lacrima rigargli la guancia. Non serviva altro – non frasi, non gesti, non premonizioni – quella singola lacrima conteneva tutto ciò che non volevo sapere. «È complicato, Virgilio» proseguì «Io confondevo l'Amicizia con l'Amore... C'è un segreto...»

«Quale segreto?» 

«Non importa. Tu eri la soluzione. Bastava rendere concreto ciò che avevo fantasticato per Marco e me.»

Smetti di chiedere. Digli che accetti. «Lo sono stato?»

«Lo sarai col tempo» promise Sabino. Poi, di nuovo, si morse il labbro. «Avrei voluto che le notti insieme... Avrei voluto sentire...» ora mi spiegavo il suo comportamento: in principio impaziente, dopo deluso e, infine, disinteressato. «Però succederà. Se gli Dei vorranno.»

«Mi avete usato» chissà quante volte avevano riso di me «Sono l'ingenuo con cui t'intrattieni per non pensare a Marco.»

«Ti sbagli» Sabino cercò di prendermi le mani e io arretrai «Marco non sa che farsene dell'Amore e, se desidero stargli vicino, posso essere unicamente un amico. La sua voce mi dà i brividi? Sì. Basta un suo sguardo per togliermi il fiato? Sì. Sprofonderei nel Tartaro, pur di non perderlo? Sì. Ma tra noi non succederà nulla» si asciugò le lacrime e mi fissò con rabbia «Sei soddisfatto adesso?»

Rimasi a studiarlo. Avrei dato qualsiasi cosa perché parlasse in quel modo pensando a me. «Dovresti dirglielo.»

«Lui lo sa» Sabino chinò il capo «E sa pure che manterrò la promessa di non ipotizzare mai più un Futuro insieme.»

«Non capisco. Non ha senso.»

«Tu non conosci l'animo di Marco e ignori in che razza di gabbia vive da sempre. Forse, un giorno lontanissimo, gli uomini navigheranno il cielo e ogni sogno diventerà possibile. Però, noi siamo mortali: limitati nel Tempo e nello Spazio, sottoposti a rigide Leggi e inermi di fronte al Fato»

L'osservai ancora. Le sue parole risuonavano incomprensibili nella mia testa. Segreto. Gabbia. Promessa. Navigare il cielo... niente aveva una logica, eppure avvertii una fitta in pieno petto. «Mi dispiace di non averti fatto provare nulla» biascicai, indietreggiando fino alla soglia della stanza «Mi dispiace di non essere stato la Soluzione» il dolore divenne più intenso e smisi di piangere. Qualcosa a cui non sapevo dare un nome si era appena rotto. «Aggiungerei che mi dispiace di averti perso, ma non sei mai stato mio.»

«Aspetta» Sabino mosse un passo verso di me, dopo si fermò. In fondo, lo stavo liberando da un tentativo fallimentare: era un sollievo.

«Ti auguro di trovare quello che desideri». Io non avevo più niente per cui lottare.


NdA

Un enorme grazie per essere arrivati qui, a pochi passi dalla fine della parte 2! <3 Si accettano scommesse: quale sarà l'epilogo (anticipo che mancano 2 capitoletti brevi)?

Non aggiungerò niente perché devo consolare Virgy, ma spero che i vaneggiamenti di Sabino non vi abbiano troppo disorientati. D_D Virgilio non ha capito nulla (che novità!), però, magari, comprenderà un minimo la situazione durante la terza parte... Di certo, sia Marco che Sabino non spariranno dalla sua vita e io, ora più che mai, sono frustrato di dover raccontare tutto dal POV di Virgy! -.-'' MA eviterò di ammorbarvi con le mie lamentele e, piuttosto, ripeterò un sentitissimo GRAZIE a chi mi sopporta ancora!

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