Warg

By Elsyll

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[IN REVISIONE] Prima storia della serie Warg's Blood. Deirdre ha ventitré anni, una vecchia casa e l'abitu... More

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Capitolo 20 - Imprevisti
Capitolo 21 - Partenza
Capitolo 22 - Alleanze
Capitolo 23 - Confronto
Capitolo 24 - Vertigini
Capitolo 25 - Stress
Capitolo 26 - Matrimonio
Capitolo 27 - Shock
Capitolo 28 - Far
Capitolo 29 - Madre
Capitolo 30 - Epilogo
Vilia
Revisione della storia
Nuovo progetto!
ATTENZIONE!!

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By Elsyll


Deirdre

Il freddo della notte strisciava silenzioso attraverso i sottili spifferi della finestra. Il cielo scuro era ricoperto di nubi e i pigri fiocchi di neve cadevano candidi su quella piccola radura della Scozia. Nessun rumore riempiva l'aria, quella notte pure gli uccelli notturni parevano rispettare quella calma oscurità e il silenzio era tale da permetterle di sentire il cuore batterle nel petto.

Aveva avuto un incubo. Di nuovo. Come da diverse notti a quella parte, si era svegliata sudata e in preda al batticuore. Non riusciva a ricordare quasi nulla del sogno, le immagini erano troppo sfocate nella sua mente e quasi impossibili da riordinare, eppure c'era un particolare che non riusciva a togliersi dalla testa. Quello stesso particolare che la faceva tremare di terrore durante i primi attimi di coscienza.
Durante il sogno, mentre le immagini indefinite le sfrecciavano davanti, una densa nube le riempiva i polmoni. Cercava di inspirare, prendendo grandi boccate d'aria, ma il fumo era talmente concentrato che se lo sentiva scivolare melmoso lungo la gola, bruciandole la trachea fino a toglierle l'ultimo respiro. Riusciva a destarsi sempre un attimo prima che l'oscurità eterna calasse su di lei e, mentre annaspava in cerca di aria, le pareva di percepire ancora l'odore di quel fumo nauseabondo, riconoscendo tra le sfumature l'essenza pungente dei fiori di calendula.

Distogliendo lo sguardo dal panorama innevato della foresta, si mosse tremante nel bozzolo di coperte e accese la luce fioca della abat jour, illuminando la piccola stanza. Stringendosi nelle spalle, si mise a sedere sullo spazioso materasso. Inspirò trattenendo per alcuni secondi il respiro, poi espirò tentando di calmare l'andatura martellante del suo cuore. Si passò una mano gelata tra i capelli arruffati, soffermandosi qualche attimo sui nodi che si erano creati. Non li aveva più tagliati da quando sua nonna, Nineve, era morta. Non aveva avuto tempo o semplicemente non ne aveva avuto voglia. Dal giorno del funerale, poco più di un anno prima, degli strani momenti di apatia l'avevano colta facendo sì che si chiudesse in sé stessa e si isolasse in quella piccola casa in mezzo alla foresta.

Fino ad un anno prima i suoi piani avevano previsto una casa in paese, non troppo grande, ma abbastanza per permettere a sua nonna di vivere con lei. In seguito avrebbero preso un gatto o magari due. Nineve le avrebbe insegnato quel che ancora non sapeva sulla vecchia medicina e avrebbe gestito insieme a lei la piccola erboristeria che la signora MacRyan le avrebbe ceduto dopo la pensione. Era stato tutto pianificato. Ogni più piccolo particolare era stato preso in considerazione, ma non avrebbe mai immaginato che il fato si sarebbe abbattuto su di loro con tanta furia. Un cancro ai polmoni le aveva colte alla sprovvista. In soli due mesi le aveva portato via Nineve, lasciandola di nuovo sola. Sola come mai si era sentita in vita sua.

Stringendo meglio il colletto del pigiama intorno al collo, si alzò infilandosi le pantofole. Con passo leggero si affacciò sul piccolo salotto e si prese alcuni secondi per studiare la stanza. Non aveva cambiato nulla nell'ultimo anno. Il soggiorno era grande solo per contenere un divano a due posti in tessuto lavorato e una poltrona in cui lei amava accoccolarsi davanti al camino per ascoltare i vecchi album dei genitori. Non possedeva un televisore, non vi era spazio a sufficienza e anche se ne avesse avuto non ne avrebbe comprato uno. Come Nineve, anche Deirdre era un po' all'antica su certi argomenti e il televisore era uno di questi, «Spreco di tempo, spazio e denaro» questo era quello che sua nonna le ripeteva di continuo citando l'amore della sua vita, suo nonno Aonghus, morto anni prima che lei nascesse.

Lasciando che i ricordi le riempissero la mente, attraversò la stanza, spostandosi nella piccola e pratica cucina: i pannelli in legno chiaro erano rustici e leggermente rovinati dal tempo, i pomelli erano in vetro lavorato, ognuno diverso dall'altro ad indicare la passione della parente per i mercatini dell'usato.

Aprì quello subito sopra al lavello per estrarne una tazza e richiudendolo si morse un labbro nel tentativo di trattenere un sorriso. Sull'anta vi erano ancora i segni della prima volta che Nineve aveva tentato di fare una ricetta flambé. Era stato lo stesso giorno in cui aveva saputo di essere stata ammessa all'università di Aberdeen.

Un pressante magone le strinse la gola. Si sforzò di cacciare indietro le lacrime e tirando un pesante sospiro tentò di sorridere come le aveva promesso. Voleva ricordarla solo con gioia, ma pur cercando disperatamente di farlo, le lacrime a volte la coglievano di sorpresa, sommergendola nella più amara delle malinconie.

Con gesti meccanici e familiari, pose il bollitore sul fuoco e aggiunse i profumati fiori di camomilla nella tisaniera. Poi, nell'attesa, portò lo sguardo sull'esterno, oltre le graziose tende ricamate, tuffando lo sguardo nella notte innevata. Era la prima nevicata dell'anno. Sul terreno si erano depositati già diversi centimetri e cercò di ricordare dove aveva lasciato la pala l'inverno prima. Inoltre, si appuntò mentalmente di far scorta di sale il giorno seguente, non vi erano scale in quella casetta, ma il piccolo viottolo che conduceva all'ingresso sarebbe diventato piuttosto scivoloso se non avesse prese le giuste precauzioni.

Il fischio del bollitore la riportò alla realtà. Con un panno afferrò il manico bollente e con attenzione riempì la tisaniera, lasciando che i profumati vapori dell'infuso si disperdessero nell'aria. Lei non percepiva nemmeno lontanamente gli effetti del fiore, avrebbe preferito di gran lunga della valeriana, ma si era dimenticata di farne scorta ed ora si vedeva costretta a sperare almeno in un effetto placebo. Soffiando sul liquido dorato ne prese un lungo sorso. La dolcezza della bevanda la tranquillizzò e il calore l'aiutò a distendere i muscoli indolenziti del collo. Odiava quelle notti insonni. La notte poteva essere la sua più grande alleata come la sua più grande nemica. Di notte i pensieri sembrano prendere vita e i ricordi si fanno fin troppo vividi nella mente. No, quella non era decisamente la sua notte.

Bevuta anche l'ultimo sorso, depositò la tazza nel lavello e trascinando i piedi si avviò di nuovo a letto. Passando per il piccolo soggiorno, lanciò uno sguardo alle timide braci nel camino. Si avvicinò aprendo la cassa in cui riponeva i ciocchi di legna, ma ne trovò ben pochi. Aggiunti gli ultimi rimasti, si sfregò le mani per ripulirsi e svogliata si spostò sul retro. Fece scattare la serratura ed uscì sul portico in cemento che avevano fatto costruire diversi anni prima. Lì accanto, subito sulla sinistra, sotto una tettoia vi era accatastata la legna per tutto l'inverno. Cercando di evitare i piccoli cumuli di neve che si erano creati, si avvicinò e tendendosi per non bagnarsi i piedi, iniziò ad accatastarne alcuni sulle braccia. Quando si ritenne soddisfatta, li sistemò meglio contro il petto e rabbrividendo per il gelo si affrettò a rientrare, ma quando girò sui tacchi qualcosa la trattenne.

Era solo un'ombra che aveva intravisto con la coda dell'occhio. Un piccolo movimento che con ogni probabilità era dovuto alla sua mente stanca, ma che comunque l'aveva attratta come una falena alla fiamma. Strinse gli occhi e fece vagare lo sguardo tra gli alberi. Sapeva che tra quegli imponenti tronchi si nascondevano creature ben al di sopra di tassi e cervi, ma non aveva mai avuto nessun timore. O almeno non ne aveva mai avuto fino a quel momento, perché proprio mentre si diede della sciocca per essersi fatta influenzare dalla sua mente, l'ombra che le era parso di vedere si mosse.

Trattenne il respiro. Istintivamente si strinse la legna al petto, facendo un passo indietro. Non distolse lo sguardo che, dopo il primo attimo di sgomento, si era fatto ancora più sottile nel tentativo di mostrarsi più fredda e minacciosa possibile.

La grande figura nera si muoveva lenta, come se si stesse trascinando nella neve appoggiandosi ai tronchi. Dalla corporatura dedusse che aveva a che fare con un uomo. E dall'andatura doveva essere allo stremo delle forze.

Non si mosse. Rimase a studiarlo mentre usciva nella piccola radura. Ora riusciva a vederlo meglio. Distingueva i capelli lunghi, il capo chino, il braccio lasciato come privo di vita lungo il fianco e la mano dell'altro stretta contro la spalla. Deglutì appena, pensando ad un piano d'azione. Non era una sprovveduta, non avrebbe mai accolto in casa uno sconosciuto. Men che meno uno che si presentava male come quel forestiero, ma doveva anche ammettere a sé stessa che era ferito. Quanti danni avrebbe potuto causarle ridotto com'era? E poi: era realmente ferito?

No, non avrebbe rischiato. Avrebbe fatto la cosa più sicura per sé, si sarebbe chiusa in casa e avrebbe chiamato la polizia locale e un'ambulanza. Si ripeté il piano ancora una volta nella mente e annuì per darsi conferma, ma un attimo prima che voltasse lo sguardo, l'uomo sollevò il capo lasciando che gli occhi brillassero nella notte e incontrassero i suoi, pietrificandola.

Vi era troppo buio e troppa distanza tra loro per decifrare a pieno l'espressione, ma era certa che l'avesse vista esattamente come lei aveva visto lui. Continuava a tenere lo sguardo su di lei mentre, sempre con più fatica, cercava di avanzare sul terreno innevato e proprio nell'attimo in cui si decise finalmente a voltargli le spalle, come se il destino non avesse giocato ancora abbastanza con la sua coscienza, lo sconosciuto inciampò e cadde rovinosamente a terra.
Il senso di colpa per il suo egoismo mascherato da istinto di sopravvivenza le attanagliò il petto. Spalancò di nuovo gli occhi e tremante si ritrovò a prendere una decisione fondamentale sia per lei che per lui. Dal corpo sprofondato nella neve vibrò un lamento carico di dolore e tutti i suoi piani caddero come un castello di carte.

Lasciò cadere i ciocchi secchi sul pavimento e, dimenticandosi di indossare solo delle pantofole, si affrettò nella neve andando incontro all'imponente figura riversa a terra. La neve impregnò le calzature pungendole col suo gelo i piccoli piedi. Avanzò concentrandosi sullo sconosciuto, isolando dalla sua mente il freddo che provava.
Era caduto in malo modo, il viso immerso nella neve e voltato su un fianco. Il debole movimento delle spalle e il grugnito di dolore che emise, le diede la scarica di energia necessaria per aumentare il passo e avvicinarsi ancora fino a chinarsi sul forestiero.

Con le mani tremanti e intorpidite dal freddo, si chinò fino a sfiorargli una spalla. Non vi era molta luce, la luna era coperta dalle nubi, ma le luci della casa le permisero di notare il tessuto strappato della camicia in pile che portava. Era strappata e un liquido viscoso ne impregnava le fibre. Allungò una mano e aprendo delicatamente lo squarcio sulla spalla, verificò la sua intuizione. Era ferito. Il liquido viscoso era sangue e la sua origine non poteva che essere il foro di proiettile aperto nella spalla destra. Spostò lo sguardo sul viso seminascosto dell'uomo cercando di capire se fosse cosciente o meno.

«Mi senti?» Non le rispose, ma il movimento accentuato delle spalle massicce la rassicurò. Tentando di essere il più delicata possibile, scostò di nuovo il tessuto stracciato dando un'occhiata più approfondita alla ferita. Non era un'esperta, di solito si limitava a decotti, infusi e tisane, curare ferite di quel genere non rientrava nelle sue competenze, ma l'aveva visto fare diverse volte da sua nonna. Nineve ai suoi tempi era stata un'infermiera e il suo sapere l'avevano resa famosa in paese. Aveva avuto una buona insegnante, doveva solo rimanere calma e riordinare le idee. Poteva farcela. Doveva farcela almeno fino al mattino seguente. Poi avrebbe contattato qualcuno di più appropriato.

Con uno strattone strappò definitivamente la manica per avere più chiara la situazione. Non vi era nessun foro d'uscita e imprecando tra i denti si preparò psicologicamente all'estrazione della pallottola. Tornò di nuovo al foro d'entrata, tastando la pelle lacera per capire la portata dell'emorragia. La pelle dell'uomo pareva bruciare a contatto con le sue dita sottili. Senza perdere tempo, raccolse della neve per pulire il sangue in eccesso e, facendo una leggera pressione, cercò nel frattempo di rallentare l'emorragia. Il dolore doveva essere acuto, perché l'uomo si destò dallo stato di semi-incoscienza in cui era caduto. Con le ultime forze che gli erano rimaste, cercò di sottrarsi al suo tocco, grugnendo un avvertimento incomprensibile.

«Non voglio farti del male.» La frase voleva essere sicura e decisa, ma la voce le uscì troppo fine e tremolante per dargli la giusta forza. Ma pur sussurrata, parve arrivare comunque alla mente annebbiata dello sconosciuto, che si bloccò di colpo. Con fatica, piegò la testa e cercò di studiarla dietro alla coltre di capelli.

Col cuore che le batteva frenetico nel petto, con una mano tornò a premere sulla ferita mentre con l'altra gli scostò la chioma corvina dal viso, permettendogli di vederla meglio.

«Non sono un medico, ma hai davvero bisogno di cure. Capisci quello che sto dicendo?» Lo sguardo fisso su di lei e la mancata risposta le diedero la speranza di essere stata capita. Guardò la casa, calcolò mentalmente la distanza che avrebbero dovuto compiere. Più o meno dieci metri li dividevano dall'entrata. «Dobbiamo portarti in casa.»

Non era abbastanza forte per portarlo di peso, ma avrebbe fatto un tentativo. Provò a sollevarlo, ma le lunghe gambe dello sconosciuto era ancora troppo malferme e lo fecero ricadere pesantemente. Guardò mortificata il viso di nuovo immerso nella neve e si affrettò a chinarsi per dargli maggiore supporto. Un improvviso e innaturale ringhio vibrò dal petto dell'uomo facendola arrestare di colpo. Con timore lo osservò fare leva con il braccio sano fino a mettersi in ginocchio. Il respiro affannoso gli scuoteva le larghe spalle mentre, con grugniti di dolore, si issava sulle gambe tremanti. Istintivamente gli fu subito accanto. Fece passare il braccio sano oltre le sue spalle e gli circondò la vita dandogli sostegno. Cercò di non pensare a quanto, la sua sola ed imponente figura, la intimorisse e lo aiutò a compiere i primi passi.

«Andrà tutto bene.» Lo ripeté ad ogni passo. Forse per dar conforto a lui o più probabilmente per dar coraggio a sé stessa. Lo sussurrò talmente tante volte che la frase perse quasi di significato. Era pesante, ma in qualche modo riuscì a fargli superare sia la soglia di casa che il salotto senza sbattere contro i mobili. Lo accompagnò con fatica nella camera padronale e, con quanta più gentilezza possibile, cercò di posizionarlo sul letto a una piazza e mezza notando con sua sorpresa che, in confronto all'uomo, sembrava costruito per dei bambini. Era talmente alto che, pur avendolo sistemato di traverso, i piedi sbucavano ancora dal materasso, obbligandola a sistemarli su una sedia per farlo stare più comodo.

Si scostò i capelli bagnati dal viso prima di prendere profonde boccate d'aria tentando di calmare il panico che le stava ingombrando il petto e tornare lucida. Spostò l'abat jour e con la poca luce che aveva a disposizione portò di nuovo lo sguardo sulla spalla ferita. Con le mani brucianti per il cambio di temperatura, controllò meglio il foro constatando che pur essendo una ferita da arma da fuoco, fortunatamente non era molto profonda e soprattutto, se curata a dovere, non era assolutamente mortale.

Pur sentendosi le ginocchia tremare, Deirdre si affrettò a prendere la borsa che sua nonna le aveva lasciato in eredità, accese una candela e tornò dall'uomo. Appoggiata la candela e la borsa, prese alcuni asciugamani dalla sedia lì vicino e li accostò al corpo massiccio dello sconosciuto, pronti all'uso. Sapeva di non essere per nulla qualificata, ma era notte fonda, portarlo in paese con la sua auto minuscola era impensabile e anche chiamando un medico non sarebbe arrivato prima di un'ora. Allarmata per i brividi csussti dalla febbre, che pareva aumentare fi  troppo velocemente, estrasse un piccolo coltellino utilizzato per sezionare le piante dalla morbida sacca e lo passò sulla fiamma per disinfettarlo. Si alzò, trattenne per alcuni secondi il respiro per calmarsi e provando a smettere di far tremare la mano, si sporse verso l'uomo.

Era una casa molto vecchia e fino a quel momento non aveva trovato nessun buon motivo per decidersi a mettere una luce vera e propria in quella stanza. Si maledisse per non averci pensato prima. Lanciò un'occhiata al suo ospite per capire se fosse cosciente o meno e notando il respiro affannoso e le smorfie di dolore, decise di parlargli per avvisarlo e convincerlo a collaborare.

«Devo estrarre la pallottola. Devi dare una mano, intesi? Cerca di rimanere fermo più che puoi.» Lo scrutò in cerca di una risposta e quando sollevò le palpebre, lasciando spazio a delle iridi nere come la notte più profonda, e annuì leggermente, la ragazza si chinò un po' di più. Gli afferrò la spalla strappando il tessuto in eccesso che la impediva e avvicinò la lama.

Appena il piccolo ed affilato coltellino si insinuò nella carne, lo sentì irrigidirsi. Sentì il frusciare delle lenzuola mentre cercava di mantenere il controllo per permetterle di svolgere la delicata operazione e una scintilla d'orgoglio le infiammò il petto. Col cuore stretto in una morsa di dispiacere, fece più pressione e andò in profondità fino a sentire un debole tintinnio metallico. Inspirò ed espirò ancora una volta.

«Ho quasi finito, cerca di resistere.» Poteva sentire il rimbombo del suo stesso sangue nelle orecchie. Trattenne il fiato. «Andrà tutto bene.» Poi girò la lama fino a portarla leggermente sotto al proiettile e, delicatamente, fece leva fino ad estrarre il piccolo e lucente pezzo di metallo. Quando riuscì a vederlo, con le pinzette che aveva preparato, lo estrasse definitivamente dalla carne e trasse un sospiro di sollievo.

Gettò quello che aveva in mano sul comodino sostituendolo con la soluzione salina che aveva sistemato lì accanto e cominciò a pulire minuziosamente la ferita. Con gli asciugamani fermò totalmente l'emorragia e dopo aver chiuso la ferita con dei punti adesivi e coperto il tutto con garze sterili, sperò con tutta sé stessa che il peggio fosse passato, ripromettendosi di chiamare il medico appena fosse stato possibile.

Si soffermò a osservarlo con attenzione. Il respiro era tornato regolare e seppur il viso fosse ancora umido di sudore, lo sconosciuto le parve essersi tranquillizzato. Approfittando di quell'attimo di tranquillità, gettò in un posto più adatto gli asciugamani imbrattati e pulì e disinfettò sia la lama che le piccole pinze. Il proiettile, dopo averlo pulito, lo avvolse in una garza e lo sistemò di nuovo sul comodino. Non era molto, ma era pur sempre una prova che sarebbe potuta tornare utile alle autorità. Infine si concesse cinque minuti per cambiarsi e tamponarsi i capelli ancora bagnati. Dopo di che, tornando in camera da letto trovò l'uomo profondamente addormentato.

Rimase sulla soglia, intimorita dalla sua figura dormiente. Era una situazione strana anche per una come lei, che della stramberia aveva fatto il suo stile di vita. Si morse l'interno della guancia nervosa tentando di collegare le poche informazioni che aveva di lui. Era stato ferito frontalmente da un'arma da fuoco. Con ogni probabilità era stato colpito con volontà di ferire, se non di uccidere, e a quel pensiero un brivido le attraversò il corpo. Era pericoloso? Stava scappando?

Con la fortuna che aveva avuto in quell'ultimo anno immaginò di essersi portata in casa un ricercato. La sua mente le urlò di non perdere tempo e telefonare alla polizia, ma il suo istinto la tirava in una direzione totalmente illogica. Constatando che stava effettivamente dormendo e che non avrebbe corso nessun pericolo, si disse che non vi era nulla di male nel volerlo studiare un po' e così si avvicinò fino a sedersi accanto a lui.

A causa della poca luce e della sporcizia che lo ricopriva, le fu difficile distinguere bene i lineamenti del viso, ma ancora ben sveglia dall'adrenalina, riempì una piccola bacinella d'acqua calda e, con un asciugamano per mani, cercò di pulirlo nel migliore dei modi.

Sentì il cuore battergli più forte quando sotto quegli strati di terra ghiacciata e sudore, scoprì dei lineamenti granitici. La mascella dura e ricoperta da una barba pungente, il naso mascolino, le labbra socchiuse e screpolate. Era bello. O almeno una parte di lui lo era. Sull'altro lato, una cicatrice deturpava la perfezione di quel viso. E altre ancora correvano lungo il suo collo, insinuandosi sotto i vestiti. A suo tempo dovevano essere state ferite profonde che, con ogni probabilità, avevano finito per ferirlo anche nell'anima. Non erano orribili come si potrebbe immaginare, solo leggermente frastagliate e perlacee. Da quel che vedeva, dovevano essere molto vecchie. Si domandò in quale disgrazia fosse inciampato per procurarsi un danno simile, ma improvvisamente si scoprì ritrosa di conoscere la risposta. Rimase gran parte della notte seduta accanto a lui vegliando sul suo sonno profondo, assicurandosi di tenere la temperatura sotto controllo.

Il mattino seguente, dopo essersi concessa qualche ora di riposo, come prima cosa chiamò il medico a cui era solita riferirsi quando trovava qualche animale ferito e, omettendo che l'animale in questione fosse un uomo, chiese informazioni su come procedere con una ferita di quel tipo. Il dottore si dimostrò collaborativo e seppur Deirdre notò la diffidenza nella sua voce, la rassicurò sul buon lavoro che aveva svolto.

Il resto della giornata la passò tenendo d'occhio la salute del suo ospite e spalando neve. L'uomo dormì per tutto il dì e la notte successiva. Il secondo giorno lo trovò spesso e volentieri sveglio, ma comunque semi-incosciente. Pur essendo quasi sicura che non riuscisse a comprenderla nello stato in cui si trovava, gli parlò parecchio e cercò di nutrirlo quel poco che le permetteva. In quei due giorni aveva potuto sistemarlo meglio sul materasso e togliergli la camicia strappata lasciandolo col torace completamente esposto.

Alla luce del sole, le cicatrici erano ancora più marcate, ma molto meno inquietanti che alla fioca luce della lampada da camera. Come aveva intuito, le linee frastagliate di estendevano lungo il collo, su parte del petto e della schiena quasi asimmetricamente. Simile ad un morso, pensò. Dandosi della sciocca e scacciando via quel pensiero, fece scivolare lo sguardo sul torace tonico e muscoloso. Il ventre piatto e sodo si contraeva ogni volta che tentava di muoversi nel dormiveglia, lasciando in bella mostra gli addominali appena accennati. Era in forma, su questo non aveva dubbi, e ringraziando il cielo che avesse un fisico così forte sperò ancora in una perfetta guarigione.

Al mattino del terzo giorno, dopo un'altra telefonata al medico e rassicurata dal fatto che ormai lo sconosciuto non corresse più nessun pericolo, dopo essersi assicurata che avesse un ricambio di vestiti presi in prestito dal guardaroba del nonno se mai si fosse svegliato, si decise ad allontanarsi dalla casa per dirigersi in paese in modo da far rifornimento di provviste e di altre piccole cose che iniziavano a scarseggiare. Schivando abilmente le domande e i saluti dei vari paesani, fin troppo curiosi per i suoi gusti, caricò la ricca spesa sulla sua vecchia e sgangherata Mini e ripartì, curiosa di scoprire se l'uomo si fosse svegliato o meno.

Di ritorno a casa, lasciò le buste sullo stretto ripiano della cucina. Canticchiando fra sé una vecchia canzoncina, sistemò con calma i vari elementi, spuntando un'altra volta la lista mentale che si era fatta.

Finito di riordinare e controllato il fuoco, cercando di fare il meno rumore possibile, iniziò a prepararsi il pranzo e, come era sua abitudine fare da ormai tre giorni, preparò anche per il suo bizzarro ospite. Era tornata a casa con l'idea di fare qualche piatto a base di carne, proteine e ferro, che avrebbero fatto un gran bene al suo sconosciuto.

Il profumo delizioso e il delicato borbottio della pentola in terracotta le indicarono che mancava poco alla fine della cottura. Spense la fiamma e si girò per prendere ancora un pizzico di sale, ma col viso rivolto sul piccolo soggiorno il suo istinto la portò a sollevare lo sguardo. I suoi occhi incontrarono un'imponente figura, immobile sulla soglia del salotto, intenta ad osservarla con sguardo severo.

Ogni suo muscolo si immobilizzò mentre realizzava: lo sconosciuto si era svegliato.

Curiosità

Deirdre, scritto in questo modo, è un nome di origine scozzese. Non vi è un significato vero e proprio, ma molti traducono questo nome come "malinconia" o "dal cuore spezzato". Dalle diverse pronunce trovate sul web, Deirdre si pronuncia "Dirdre" o "Dirdra". Io l'ho sempre pronunciato "Dirdre".

La Calendula è un fiore piuttosto usato in erboristeria. Viene sfruttato molto per curare le scottature e nel linguaggio dei fiori indica "dolore".

Profilo instagram della serie: elsyll_

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