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Søren

La mattina del quarto giorno si risvegliò per la seconda volta in quel letto troppo piccolo per lui.
Il giorno precedente, dopo la sgradita visita di Aindreas, Deirdre si era messa in testa di dover sfinirsi di lavoro. Aveva spalato la neve dal lungo vialetto e aveva tagliato altra legna prima che facesse buio. Lui aveva tentato di darle una mano, ma lei, con la scusa di non dover andare al lavoro e sfruttando la sua spalla ferita, era stata irremovibile.
Verso sera di nuovo avevano discusso su chi avesse dovuto prendere il letto e, per quanto ci avesse provato, aveva ceduto sotto l'evidenza delle argomentazione di lei sulla sua stazza che sicuramente il divano non avrebbe contenuto.
Era piccola, certo, ma compensava la figura minuta con l'enorme volontà di ferro.

Stiracchiò i muscoli indolenziti dal sonno e sprofondò il naso nel cuscino profumato. Inspirò il suo profumo. Inspirò ancora. E poi di nuovo. Delizioso.

Concentrò l'udito sui rumori della casa, ma a parte il suo respiro e lo scoppiettio del fuoco, pareva deserta. Strascinandosi fuori dal letto, si alzò perlustrando gli ambienti domestici. Sul fornello vi era una pentola ed un post-it rosa in cui la giovane femmina aveva scritto delle veloci scuse per la sua assenza prolungata ed un orribile disegnino. Lo mise da parte e sollevò il coperchio. Il profumo dello scotchbroth gli riempì le narici facendogli aumentare la salivazione. Prese il primo mestolo che trovò e, senza tanti complimenti, si mise a mangiare voracemente.

Quando ebbe finito, sistemò il pentolame e tornò a guardarsi attorno. Erano passati otto giorni da quando era sparito da casa, aveva rassicurato il branco sulla sua salute, ma il dovere lo richiamava ad Aviemore. Seppure la compagnia della femmina gli piacesse e le era infinitamente grato per avergli salvato la vita, si sentiva irrequieto così lontano da casa. Doveva andarsene, ma decise che l'avrebbe aspettata fino al calare del sole. Le doveva almeno quello.

Le ore passarono e quandk il sole iniziò a tramontare non poté più aspettare. Il paese più vicino distava solo pochi chilometri, ma se non si fosse dato una mossa anche l'ultimo autonoleggio avrebbe chiuso. Costringendolo a muoversi a piedi.

Così, come aveva fatto la sua piccola curatrice, scrisse un post-it di scuse e, richiudendosi la porta alle spalle, si avviò nella fitta foresta.

La neve cristallizzata scricchiolava sotto i suoi stivali e il profumo del tramonto lo colpì allo stomaco, tramortendolo con la sensazione di vuoto che ne seguì. Strinse i denti avanzando un passo dopo l'altro.
Gli uccelli cantavano le loro ultime canzoni prima della notte e uno scoiattolo gironzolava lì attorno, tenendolo d'occhio dai rami di un albero vicino. Camminò per diverse centinaio di metri, ma quando il senso di vuoto lo colpì ancora, si arrestò.

Non riusciva a proseguire. Oramai il cielo si era imbrunito. Si potevano già vedere le prime stelle della sera e lui non riusciva a muoversi. Il suo corpo si era bloccato prima di allontanarsi troppo, come se fosse indipendente dalla mente e volesse ancora sperare di incontrare la ragazza.

Lasciò che le immagini del giorno precedente lo investissero. Nel pomeriggio era dovuta uscire come quello stesso giorno, aveva scoperto che all'occorrenza lavorava nell'unica erboristeria del paese, dando una mano all'anziana proprietaria. Al suo ritorno si era fatto trovare sul divano, intento ad ascoltare uno di quei vecchi album che aveva trovato. Gli aveva sorriso e gli aveva chiesto della ferita. Vederla in quel modo, con le guance arrossate dal freddo, sorridente e con gli occhi luminosi, gli aveva fatto annodare lo stomaco. L'aveva trovata bellissima.

Rimase lì a rimuginare. Dritto nella sua fiera postura a scrutare il sentiero che lo avrebbe condotto a casa. Gli occhi sorridenti di lei gli occuparono la mente e la sensazione del suo sguardo si fece talmente intesa che gli parve persino di percepire il suo profumo.

WargWhere stories live. Discover now