KADER - Erede della Luna

By ileon_22

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Un tempo serenamente governato dalla dinastia Moongem, il trono di Domiin fu usurpato dal leader dei Cavalier... More

Prologo
☾ 1 - Benvenuti alla bottega Toymaker ☽
☾ 2 - L'amore di un padre ☽
☾ 3 - Cambiamento ☽
☾ 4 - Fragile bellezza ☽
☾ 5 - Ceneri del passato ☽
☾ 6 - I Corvi del Re ☽
☾ 7 - Discendenza ☽
☾ 8 - Agguato ☽
☾ 9 - Ai confini di Giana ☽
☾ 10 - Il Guardiano delle Sabbie ☽
☾ 11 - Insidie del deserto ☽
☾ 12 - Sol Marat ☽
☾ 14 - La figlia del sole ☽
☾ 15 - Come il giorno e la notte ☽
☾ 16 - Daazul ☽
☾ 17 - La Gloriosa Arena ☽
☾ 18 - L'Erede di Khalios ☽
✩ 1 - Ombre del passato ✩
✩ 2 - Il Bosco dei Due Mondi ✩
✩ 3 - La cittadella di Arcadia ✩
✩ 4 - L'apprendista ✩
✩ 5 - Lezioni di magia ✩
✩ 6 - Distanti ✩
✩ 7 - Sangue non mente ✩
✩ 8 - Fratelli ✩
✩ 9 - La città dei segreti ✩
✩ 10 - Vino e sangue ✩
✩ 11 - Il corvo e il vampiro ✩
✩ 12 - Irrefrenabile sete ✩
✩ 13- Eredità ✩
✩ 14 - Il peggior nemico ✩
✩ 15 - La prova finale ✩

☾ 13 - Prigionia ☽

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By ileon_22

L'atmosfera nella sala del trono era pesante, così rigida da dare l'impressione che l'aria si potesse tagliare con una lama da burro. Kader tenne gli occhi bassi per un po', finché non scelse di sollevarli sulla ragazza accomodata sul seggio alla sua sinistra, leggermente sporta in avanti come se cercasse di nascondere l'agitazione dietro un velo di pura curiosità. Lei stava facendo scorrere lo sguardo da Kader a suo padre, in attesa che il sovrano iniziasse la discussione.

Egli, sfiorandosi il mento, allargò le gambe e parve sciogliersi contro lo schienale del suo trono, più calmo e comodo che mai, mentre Ri sfiorava le mani della giovane prigioniera al suo fianco per darle conforto e chiederle di farlo parlare. Non era un segreto che lui fosse più esperto anche nell'arte oratoria, quindi forse poteva trarre entrambi in salvo in qualche modo.

Il capovillaggio respirò a fondo e, all'improvviso, girò i palmi verso il soffitto. «Due empiriani e una veziriana attraversano i confini della nostra terra, affrontano il keel voog e il deserto, e ora si trovano qui, nel Sol Marat, il cuore pulsante di questa sacra città.» con voce profonda, ma giovane e vigorosa, elencò le disavventure del gruppo.

Kader spalancò gli occhi, mordendosi le labbra. Nel suo cuore si sentiva un'abitante della Venturea, ma il capovillaggio credeva che provenisse da Empiria. Forse lo aveva dedotto dai suoi tratti somatici o aveva solo tirato a indovinare, ma ciò in qualche modo rafforzò la preoccupazione di Kader, che sempre più iniziava a credere che la Resistenza non le avesse mentito. Forse era davvero l'erede al trono di Domiin. Ma che differenza faceva, adesso? Al momento non era che una giovane ragazzina prigioniera in un immenso deserto, alla mercè del giudizio di un popolo che non sembrava gradire la sua presenza in quel luogo.

E cos'era un keel voog? Kader non spiccicava una parola di gianese ma impiegò poco a rendersi conto che forse stava facendo riferimento al grande serpente che aveva diviso il suo gruppo da quello dei Cavalieri di Cenere durante l'inseguimento ai confini del regno indipendente.

Fu distratta dal movimento del capovillaggio che, irrigidendo i muscoli, si ricompose davanti a loro. «Spero capiate la gravità della situazione. Giana è la sacra terra del Sole. Secoli orsono, quando ancora gli elfi abitavano questo continente, i miei e i vostri avi hanno stipulato un accordo di non belligeranza e indipendenza. È assolutamente proibito addentrarsi nel grande deserto senza un permesso.» ricordò loro, come se stesse spiegando una storia a dei bambini. Eppure non era intenerito, né lieto di dover fare quel discorso. Lo dimostrava la sua fronte corrugata, o il piede scalzo che di tanto in tanto picchiettava a terra. «Rientra nei miei doveri chiedervi il perché tre estranei stessero passeggiando all'interno dei confini, specialmente così in profondità nel deserto.» terminò infine.

Né la ragazza né Ri sapevano effettivamente quanto si fossero spinti nel cuore di Giana. Khepri era situata nella parte orientale del regno ma il fatto che vi fossero stati portati non implicava che il gruppo fosse effettivamente vicino alla città al momento in cui erano stati tratti in salvo.

Ri lasciò vibrare la voce sulle labbra con incertezza, prima di parlare. «Voglio sapere dove si trova la mia compagna d'arme.» quasi sibilò, nervoso. Il non aver rivisto Erys dopo il suo risveglio lo spaventava più di quanto Kader potesse immaginare. L'affetto che provava per lei non era cosa da poco e perderla sarebbe stato troppo doloroso.

La regina scoccò un'occhiataccia al giovane uomo, ma suo marito la tranquillizzò coprendole una mano con la propria prima di riprendere il discorso.

«Risponderò alle vostre domande, forse, dopo che voi avrete risposto alle mie.» alzò il tono della voce, incoraggiando un lieve vociferare nella sala, «Chi siete? E perché vi trovate nel regno indipendente di Giana?»

«Non era nostra intenzione superare i confini.» soffiò Ri, stanco di essere tenuto all'oscuro. Se non altro aveva l'occasione di spiegarsi anziché essere subito sbattuto di nuovo in cella in attesa di una sorte incerta. «Proveniamo da Diantha, nella Venturea. Ci stavamo dirigendo a nord, verso Albora, ma ci è stato teso un agguato e siamo stati circondati. La nostra unica alternativa era fuggire nel deserto e dopo aver seminato i nostri nemici abbiamo smarrito la via.» non risparmiò particolari ma, allo stesso tempo, non aggiunse dettagli che sarebbe stato meglio tenere per sé. Per esempio, non citò i Cavalieri.

Sperava di cavarsela così, tuttavia il capovillaggio non era della stessa opinione. Alzò il mento, riservando al ragazzo uno sguardo sospettoso. «Per quale motivo eravate in viaggio? E chi sono questi nemici di cui parlate?»

«Con tutto il rispetto,» tornò a dire Ri, senza perdersi d'animo, «non credo di essere tenuto a discuterne con voi, dato che la cosa non vi concerne. Lasciateci andare e non metteremo mai più piede a Giana.»

Kader fu colpita dal suo coraggio, anche se non si sarebbe aspettata niente di diverso da un uomo come lui. Cercava sempre di far sentire tutti al sicuro, di assumersi le colpe e le responsabilità di ogni cosa, ecco perché stava parlando facendo da portavoce anche per Kader ed Erys, che al momento era chissà dove.

La regina storse le labbra, suscitando un'espressione preoccupata nella figlia, che intrecciò le dita e iniziò a rigirarsi gli alluci. «Sono Cavalieri di Cenere.» disse ad alta voce, provocando sgomento, «Non possiamo lasciarli andare. Quelli come loro portano solo guai.»

Nella sala il vociferare si trasformò in una vera ondata di caos. La gente parlava e ipotizzava, qualcuno provò a porre delle domande ad alta voce, altri troppo agitati tentarono di avvicinarsi al corridoio centrale e furono respinti con un avviso dalle guardie armate.

Ri provò ad aprir bocca ma, questa volta, fu Kader a muovere un passo avanti. «Noi non siamo Cavalieri di Cenere!» esclamò, pentendosene l'attimo dopo. Si sentì pizzicare la gola e abbassò di nuovo la testa, stringendosi nelle spalle. Non era riuscita a trattenersi. Aveva visto come operavano i Cavalieri di Cenere, quello di cui erano capaci. Loro le avevano portato via tutto: la sua casa, suo padre, il suo migliore amico e, stando alle storie che la Resistenza le aveva raccontato, anche la possibilità di una vita normale e tranquilla a Selenite e la sua famiglia biologica. I Cavalieri di Cenere erano solo mostri senza cuore, una realtà del tutto diversa da quella in cui credevano Ri, Erys, la governatrice Krävinge e i loro alleati.

Il capovillaggio curvò le sopracciglia, incuriosito dal suo inaspettato moto d'audacia. Ri le toccò una spalla per riportarla indietro, al suo fianco, e nel frattempo la regina, e questa volta anche il suo figlio maggiore, la guardarono come dei leoni osservano la preda un attimo prima di ridurla a brandelli. Solo la principessa vestita di bianco e oro sembrava preoccupata per lei e provò a scuotere la testa per farle segno di non spingersi troppo oltre. Chiaramente conosceva bene ciò di cui la sua famiglia e la sua terra erano capaci.

Il capovillaggio abbassò una sola volta, con forza, il pugno chiuso sul bracciolo del trono. Il rumore causato si propagò nella sala in un'eco che andò scemando in lontananza e tutto il resto tornò immobile e ricadde nel silenzio. «Potete provarlo?» domandò dunque.

Kader guardò alla sua destra, poi a sinistra, cercando un qualsiasi ricordo che l'aiutasse a rispondere. Oramai vi era dentro fino al collo e non poteva tirarsi indietro. Si aggrappò disperatamente a una memoria, sperando fosse esatta, e annuì con forza. «I Cavalieri di Cenere hanno un tatuaggio identificativo. Una... fenice nera. Uno dei loro comandanti lo portava sul collo.» Si morse la lingua. Forse aveva parlato troppo.

Il sovrano quasi sorrise. «Sì, so dei loro marchi. La mia regina non ha torto nel dubitare di voi, dato che esistono numerosi artifici per nasconderli, se necessario. Mi domando come tu faccia a conoscere un comandante delle loro armate, però.» centrò in pieno l'argomento, facendola rabbrividire, «A quale comandante ti riferisci?»

La ragazza si disse che era una stupida. Aveva appena peggiorato la situazione. Stavolta fu Ri ad avanzare e prendere il controllo della discussione.

«Sta parlando del Corvo della Memoria, Munin Zikaron. Una divisione dei Cavalieri guidata da lui ci ha ostacolati durante il cammino verso Albora, per questo ora siamo qui.» cercò di cogliere la palla al balzo così da giustificarsi.

La regina allargò le braccia, riprendendo a parlare con il suo caloroso accento che, seppure non sgradevole, contribuì a mettere in soggezione i due stranieri. «Uno dei Corvi del re vi stava alle calcagna, quindi. Suppongo ci sia un motivo particolare se il dittatore di Domiin ha scomodato una delle sue bestie e ve l'ha sguinzagliata contro. Chi siete voi davvero? Voglio sapere i vostri nomi.» insisté e, francamente, ne aveva tutto il diritto. Se i Cavalieri di Cenere li avevano inseguiti fin dentro il deserto, questo significava che la cosa poteva verificarsi di nuovo. Giana non era mai stata attaccata dall'armata del re della cenere per interi decenni, e questa novità rappresentava una minaccia per la pace del regno, che di certo non riteneva gradevole trovare un'armata ai cancelli di Khepri per via della presenza di qualcuno d'interesse per l'usurpatore.

Ri sudò freddo e guardò Kader, visibilmente indeciso. Lei non comprese per quale motivo. I loro erano nomi qualsiasi, che non potevano fornire informazioni rilevanti su chi fossero davvero... giusto?

Il soldato titubò per più di qualche breve secondo. «Lei... è Kader Toymaker. Viene dalla Venturea, ma ha origini empiriane ed è lì che io e la mia compagna d'arme la stavamo scortando, prima dell'imprevisto.» annunciò semplicemente, limitandosi allo stretto necessario e aggirando la domanda senza mentire.

Il capovillaggio lo indicò, non risparmiandolo. «E tu?» chiese.

«Io...» L'altro uomo respirò a fondo, di nuovo guardando Kader con la coda dell'occhio. Un'altra persona, al suo posto, avrebbe mentito. Inventato un nome falso. Ma per lui mentire era come un fardello da caricare sulle spalle. Non lo faceva star bene. Per questo si limitava ad amputare la verità, raccontandone solo una parte. Faceva star bene, per così dire, la sua coscienza. «Io... mi faccio chiamare Ri. Non posso fornirvi il mio vero nome.»

Kader dischiuse le labbra, la mascella penzoloni. In effetti neanche lei conosceva la sua vera identità e, solo in quel momento, si chiese chi fosse davvero. Doveva essere molto importante, per lui, nascondersi dietro un soprannome qualsiasi. Chi stava cercando di proteggere? Forse se stesso? Di certo stava celando un segreto. E questo non piacque ai regnanti.

«Solo chi nasconde qualcosa propina risposte simili.» commentò infatti il capovillaggio, tutt'altro che contento, «Questo significa che potreste effettivamente rappresentare un pericolo per la nostra terra. Non possiamo fidarci di voi, né tantomeno lasciarvi andare.»

Il cuore di Kader le saltò in gola, soprattutto quando il suo amico avanzò così tanto da preoccupare le guardie che, sulla difensiva, puntarono all'unisono le lance contro il suo petto, costringendolo a rivalutare la sua scelta. La guardia dietro di lui lo riacciuffò per i polsi legati tra loro, strattonandolo e urlandogli contro qualcosa.

«Che significa? Noi non abbiamo cattive intenzioni nei confronti di Giana o di qualsiasi altra terra! Sono pronto a giurarlo! Liberateci e non vi causeremo più fastidi!»

Il sovrano si alzò in piedi, dimostrando di essere talmente alto persino da spiccare tra la sua gente, la cui statura era già invidiabile. La stoffa bianca dietro di lui ricadde morbida contro i polpacci, esaltandoli. Quello era il corpo di un combattente, di un guerriero veterano, costellato qui e là da cicatrici che, piuttosto che venire nascoste, sembravano essere indossate come accessori preziosi, così come gli anelli alle orecchie o i vari bracciali dorati. Una volta lasciato il trono, alzò un braccio e il valletto, che si era spostato all'ingresso della sala del trono, incaricò due guardie di aprire di nuovo le porte sotto lo sguardo di pietra della statua di Khalios.

«Non voglio ascoltare le vostre giustificazioni. La verità è che so già molte delle cose che vi ho chiesto. Questa era una prova di fiducia.» rivelò allora, «So benissimo che provenite da est, che i Cavalieri di Cenere vi erano alle costole, che avete incontrato il keel vhog e che il Corvo della Memoria lo ha ucciso mentre voi fuggivate. So che vi siete persi nel deserto, che i vostri compagni sono tornati indietro, abbandonandovi, e che le creature delle sabbie vi hanno attaccati.»

La ragazza era sconvolta. Non solo perché tutto quello che aveva detto era vero, ma anche perché sembrava sapere addirittura qualcosa in più di loro. Per esempio, non erano a conoscenza del fatto che Munin Zikaron avesse ucciso il mostruoso rettile che aveva cercato di rendere i Cavalieri di Cenere il proprio pasto. Il fatto che il giovane non fosse morto le diede un po' di sollievo, per qualche strana ragione.

Ri parve indifferente alla notizia della sua sopravvivenza, ma comunque sorpreso almeno quanto lei dal resto. «Come fate a conoscere tutti questi dettagli?» domandò mentre qualcuno attraversava i portoni alle loro spalle e si avvicinava al palco reale.

Il capovillaggio scrollò le spalle, non senza una certa soddisfazione. «Gli occhi del Sole vedono tutto ciò che le sabbie sfiorano, a Giana. Dal confine boschivo orientale alle placide coste occidentali. Ovunque i caldi raggi di Khalios possano splendere. Khepri è solo il cuore di questo grande organismo vivente, in cui tutto è collegato.»

Mentre finiva di pronunciare quelle altisonanti parole, qualcuno affiancò Ri e Kader. Una donna più alta del comandante della Resistenza, dalla nuca rasata e il viso tatuato. Un cappuccio riposava inanimato sulle sue spalle, legato a vesti larghe che le coprivano tutto il corpo.

Kader si morse la lingua per non sussultare. Era la stessa donna che l'aveva salvata, caricandola sul dorso del cammello e offrendole da bere. Lei non le rivolse uno sguardo, ma s'inchinò mostrando i palmi al cielo davanti al capovillaggio, il quale ringraziò e interruppe la formalità con un gesto distratto.

«Kaer Nubis è l'Errante alla guida del gruppo che vi ha soccorso. È merito suo se siete ancora vivi.» comunicò il sovrano, il lembo di un labbro tirato all'insù con un vago sentore di arroganza. «Vi ha seguito a distanza da quando avete messo piede a Giana. Ha garantito per voi affermando che siete fuggiti dai Cavalieri di Cenere e che non era necessario uccidervi. Ecco perché il vostro risveglio qui è stato tanto gradevole, ma non fateci l'abitudine.» rivelò l'inganno.

Ri si sentì stupido per non aver immaginato che il capovillaggio sapesse già tutto. Non mentiva nel dire che il deserto aveva occhi ovunque. E pensare che stavano per morire di fame, sete e stenti...

Kader era altrettanto allibita dal fatto che non si fossero minimamente accorti di essere seguiti, ma non ne fece una colpa per qualcuno del gruppo. Erano stanchi e provati, concentrati solo sulla sopravvivenza. Si sarebbe a stento accorta della comparsa di un altro keel vhog, in una situazione del genere. Nonostante il brusio causato dalle parole del sovrano, ne approfittò per calare la testa, attirando l'attenzione della donna.

«Grazie.» scandì bene, sperando di essere compresa. Qualcosa nello sguardo di Kaer Nubis le fece pensare di esserci riuscita, tuttavia l'espressione dell'Errante non mutò. Anzi, al minimo nuovo gesto del sovrano la donna tornò sui suoi passi, lasciando a terra quello che aveva fra le mani nel momento in cui era entrata.

«I vostri effetti personali.» spiegò il capovillaggio, indicando i due zaini che si accasciarono al suolo. «Potete riaverli, come gli abiti che avete lasciato nelle celle. Non siete tenuti a rimanere nelle nostre prigioni.»

Kader si avventò sulla propria sacca ma si sentì tirare indietro: le mani della guardia le afferrarono i polsi e un click metallico la incuriosì. Un attimo dopo, la stretta delle manette si annullò. Era libera. Tornò sullo zaino, lo aprì e per poco non pianse nel vedere la piccola Kader di pezza sorriderle con quella sua boccuccia cucita. Era sporca e un po' strapazzata, ma rimaneva comunque il suo unico ricordo di Elysia. Ma ovviamente tutta questa gentilezza aveva una motivazione e una conseguenza.

«Non siete autorizzati a lasciare Khepri, ma potrete muovervi come preferite nella città, fino al prossimo processo.» chiarì quindi il giovane monarca.

Ri e Kader sbiancarono come lenzuoli lasciati troppo al sole. «E quando avverrà questo processo?» chiese il primo di loro.

Il capovillaggio tornò a sedersi, più rilassato. «Chi può dirlo? Sono molto impegnato. Potrebbe trascorrere un po' di tempo.»

Ri sollevò senza chinare la testa il proprio zaino. Quello di Erys era vuoto e leggero, e lo inserì nel proprio.

«Non possiamo permetterci di aspettare così tanto. Abbiamo dei doveri cui sottostare. Non siamo turisti.» protestò.

«E noi non siamo stupidi, comandante.» sibilò il più adulto, sorprendendolo. «Voi siete membri della Resistenza e state scortando questa ragazzina a Empiria per ragioni che non mi sovvengono. Se e quando deciderete di parlare, valuterò l'opzione di offrirvi udienza e un valido processo. Fino ad allora... godetevi Khepri. C'è molto da esplorare.» replicò a tono, trattandoli di fatto come semplici turisti. Era chiaro che non avesse intenzione di inimicarsi i Cavalieri di Cenere e che sapesse quale rischio loro rappresentavano per Giana, ora che vi si trovavano dentro. Confinarli a Khepri non era un gesto protettivo nei loro confronti, ma in quelli della sua gente.

Bastò un cenno del mento del monarca, e subito le due guardie alle spalle di Ri e Kader li afferrarono per braccia o spalle, trascinandoli via verso le porte, ancora aperte dal momento in cui Kaer Lapis era entrata e poi uscita dalla sala del trono. Entrambi si divincolarono, rendendo il lavoro difficile ai soldati, terrificati dall'idea di essere bloccati in una città nel cuore del deserto. Kader iniziò a pensare che Giana fosse pericolosa non tanto perché era difficile entrarci, ma uscirne... e vivi, tra l'altro.

Ri stava mostrando i denti come un forsennato, una belva chiusa in gabbia. Probabilmente il soldato che lo tratteneva si beccò una gomitata o due al petto, nonché altre tallonate ben assestate dritte alle caviglie, tanto che arrivò ad afferrare il comandante per i corti capelli biondi, tirandogli indietro la testa e insultandolo con parole che non comprese.

«Tutto questo non ha senso! Non abbiamo commesso alcun crimine, cercavamo solo di salvarci la vita!» protestò rivolgendosi al capovillaggio, che però aveva già perso interesse nei due.

«Giana vuole solo salvaguardarsi. Voi e i Cavalieri di Cenere non avreste dovuto portare i vostri dissidi in queste terre.» lo liquidò semplicemente.

Ri fece per replicare, ma il soldato lo strattonò per i capelli con una scossa più forte delle altre. Kader sentì di nuovo la rabbia invaderla e puntò i piedi a terra, guardando il soldato con un'espressione che non le apparteneva, una che mai si sarebbe tinta sul suo viso fino a qualche settimana prima, quando tutta la sua vita era stata sconvolta.

«Ti ho detto di lasciarlo andare.» avvertì con tono piatto, profondo. Quando il soldato gianese si girò verso di lei, vide iridi ghiacciate perforarlo come il gelo invernale, uno sguardo che scavava nelle ossa e le faceva tremare. Comprese che in quella ragazzina, all'apparenza così fragile e ingenua, qualcosa non andava per il verso giusto. Comprese anche che era meglio non scoprire cosa fosse quel qualcosa, e con un soffio stizzito lasciò andare la testa di Ri e si limitò a intimare a entrambi di seguirlo.

Ri provò ancora a parlare con il capovillaggio, ma lui aveva smesso di ascoltare. Stava parlando con la moglie e il figlio nella lingua del posto. Il primogenito sorrideva come ad approvare la sua sentenza. Di certo lui e il padre avevano molto in comune. Anche la regina sembrava più rilassata. Come dargli torto? Avevano loro il potere di decidere per le vite altrui.

Ma la figlia dei regnanti, la giovane che aveva fatto visita a Kader in prigione... sembrava preoccupata almeno quanto i due empiriani appena scacciati dalla sala. Kader incrociò il suo sguardo, cercando di chiederle aiuto in silenzio. Tra tutti, lei sembrava l'unica sinceramente interessata alla sorte dei prigionieri. Tuttavia, la vide sparire quando la folla di nobili e altri abitanti o visitatori del Sol Marat si riversò davanti al palco reale per discutere di ciò a cui avevano assistito.

Ri e Kader furono scortati fuori e le porte si richiusero dietro di loro, mentre lo sguardo feroce e ferino di Khalios li giudicava dall'alto, attraverso la fessura tra le due ante, fino a scomparire.

Il valletto li aveva seguiti. Si posizionò di fronte a loro, mentre Ri lo fulminava con un'occhiata, e si schiarì la voce. Era molto basso, almeno in confronto agli altri, e sollevò la testa per fare il suo annuncio, senza lasciarsi intimorire.

«La vostra amica si trova all'infermeria, attualmente. Le guardie vi scorteranno lì immediatamente. Dal momento del vostro arrivo sarete liberi di visitare la città di Khepri e di entrare e uscire dal Sol Marat a vostro piacimento. Chiaramente qualsiasi crimine, tentativo di fuga o altra azione illecita verrà severamente punito secondo le leggi di Giana.» spiegò scandendo bene le parole. Doveva aver viaggiato e studiato molto, perché non sbagliò neanche un termine.

Ri, finalmente libero, si ravviò i capelli passandovi le dita in mezzo e scrollando le spalle. «Che sarebbero?» chiese provocatorio. D'altronde non avevano nemmeno ricevuto un giusto processo.

Il valletto, però, non batté ciglio. «Vi auguro di non scoprirlo, ma... immagino che lo capirete visitando la città.» terminò, battendo una sola volta le mani e ordinando qualcosa ai due soldati in gianese. I due annuirono e, non appena il valletto si congedò, fecero cenno ai due prigionieri di seguirli, muovendo la testa.

Ri e Kader si scambiarono un'occhiata ma non proferirono parola. E così il loro cammino all'interno del Sol Marat riprese.

L'infermeria si trovava presumibilmente sul lato ovest del Palazzo del Sole. Nel suo immaginario, Kader l'aveva dipinta come una piccola stanza con tre o quattro lettini, così com'era quella di Elysia, situata lontana dal porto, sulle colline venturiane tra cui era cresciuta. Inutile dirlo, la sua fantasia si sbagliava di grosso. Più che un'infermeria, all'interno del Sol Marat sorgeva quasi un vero e proprio ospedale. C'era una sala d'attesa e più corridoi collegati a diverse stanze. I medici facevano avanti e indietro tra le sale, alte e dalle pareti di pietra bianca. Ciò che colpì Kader fu che, oltre ai consueti oggetti che un medico qualsiasi avrebbe potuto tenere con sé in un'infermeria, i medici di Giana portavano appese a grandi cinture di cuoio diverse sacche di ingredienti naturali e persino boccette dal contenuto liquido e colorato. Cercò di comprendere di cosa potesse trattarsi mentre le guardie parlavano con una donna che lavorava lì. Lei annuì e raggiunse i due in attesa mentre i soldati andavano via, tornando al loro lavoro, senza neanche un saluto o uno straccio di indizio su come muoversi all'interno del palazzo.

Fortunatamente, la giovane infermiera sembrava più gentile e paziente di loro. Fece un gran sorriso ai due nuovi arrivati, senza giudicarli pur sapendo che erano appena stati ricevuti dal capovillaggio, il quale non nutriva un grande affetto per gli sconosciuti che mettevano piede a Giana.

«Ciao.» li salutò, gli occhi socchiusi e le labbra sollevate in maniera sincera. Anche lei indossava un camice bianco. I suoi piedi erano completamente fasciati, i capelli neri raccolti in uno chignon dietro la testa. Il suo tatuaggio identificativo consisteva in una croce bianca che dalla gola e la parte inferiore del mento si protraeva fino allo spazio tra le due clavicole. Ri e Kader sospirarono di sollievo nel constatare che almeno lei non sembrava ostile. «Parlo poco la lingua di Domiin, scusate.» avvisò subito, prima di indicare con il pugno chiuso e un pollice alzato il corridoio alle sue spalle. «Seguitemi. La vostra amica riposa.» spiegò, abbassando la voce.

L'ospedale era un luogo silenzioso, dove tutti portavano rispetto per i malati. Le uniche voci relativamente alte provenivano da un corridoio secondario. Un cartello con una scritta in un diverso alfabeto indicava un reparto isolato.

Kader alzò le sopracciglia mentre lei e Ri seguivano la donna. Dalle stanze che si affacciavano su quel corridoio sembravano arrivare lamenti e, in lontananza, anche qualche urlo. «Cosa... cosa succede lì?» domandò con un brivido.

La donna esitò, non capendo a cosa si riferisse. Quel sottofondo era per lei parte della quotidianità. Solo dopo comprese, aprendo le labbra e battendo le ciglia. «Chi combatte si fa male.» spiegò, muovendo una mano in aria senza smettere di camminare verso reparto vicino. «I gloriosi hanno bisogno di cure urgenti. Alcuni non ce la fanno.»

Di nuovo, Ri e Kader si guardarono. Non avevano idea di chi fossero questi "gloriosi", ma a quanto pareva avrebbero avuto tutto il tempo del mondo per scoprirlo. Quello che contava ora era verificare che Erys stesse bene.

La trovarono in una sala tutta per lei, più piccola delle altre, con una grande finestra che si affacciava su un cortiletto interno, dalla quale proveniva una piacevole luce bianca e calda.

Erys era sveglia e, grazie alla Dea, sembrava stare bene. Anzi, seduta a gambe distese con la schiena contro la spalliera del lettino singolo, stava pasticciando con una zuppa di verdure, rigirandola con il cucchiaio prima di mandarla giù a grandi bocconi. Non sembrava gradirla molto ma almeno aveva un grande appetito.

«Verdure...» mugugnò infatti, con uno sbuffo, chiudendo le labbra attorno al cucchiaio. Lo aveva ancora in bocca, quando girandosi verso la porta d'ingresso vide arrivare l'infermiera con i suoi compagni al seguito. Solo allora scostò il piatto di legno con talmente tanta fretta da rischiare di rovesciare la zuppa sulle lenzuola chiare, mettendolo su un tavolino accanto al letto. «Ri! Kader!» esclamò entusiasta.

Il giovane uomo si sentì pizzicare gli occhi e corse accanto a lei, inginocchiandosi a terra accanto al materasso e prendendole una mano. «Erys, grazie al cielo stai bene... come ti senti?» domandò con premura.

Lei balbettò per un attimo, non molto abituata a ricevere affetto, ma si riprese nonostante il lieve rossore alle guance. «Una favola. Gli ospedali gianesi sono meglio di quelli veziriani. Adorano rimpinzare di cibo i malati.» replicò con uno sbuffo ironico, «Anche se preferirei un menù di carne. Ho l'impressione che qui siano tutti vegetariani.» scherzò dopo.

Kader la salutò raggiungendola e sorridendole. Erys sembrava contenta di vederla, ma non lo diede troppo a vedere. Aveva un carattere difficile, ma si stava affezionando alla ragazza e questo per Kader significava già moltissimo.

Poco dopo, la guerriera provò a tirarsi su da letto per fare due passi, ma un dolore lancinante alla gamba la costrinse a sedersi di nuovo.

Ri strabuzzò gli occhi. «È ancora in circolo?» chiese confuso.

Fu l'infermiera a rispondere. «Il veleno è forte. La vostra amica è molto fortunata. Serve tempo per eliminarlo del tutto, tra qualche giorno migliorerà.»

Il ragazzo annuì comprensivo, soprattutto quando la donna sollevò un lembo del lenzuolo per far scoprire la gamba di Erys, la quale diede all'infermiera il permesso di rimuovere le bende che le avvolgevano il piede e il polpaccio. Kader rabbrividì vedendo la pelle martoriata dal veleno, come se una chiazza d'olio nero si fosse espansa su per l'arto, per poi ramificarsi. Alcune venature arrivavano sino alla coscia. Erys stava chiaramente soffrendo molto anche in quel momento, ma minimizzare i propri problemi a favore di una causa più importante faceva parte della sua natura.

«Deve rimanere, riposare.» spiegò la dipendente, stringendo di nuovo le bende e sistemando le coperte. «Ci prendiamo cura di lei per qualche giorno ancora. Voi non vi preoccupate.» cercò di spiegare semplicemente. «Il capovillaggio vi ha dato il permesso di visitare Khepri, è una città molto bella. Quando starà meglio, potrete trovare sistemazione dove volete.» disse loro con un sorriso. Evidentemente non trovava la loro presenza fastidiosa, al contrario, quasi interessante. Ovviamente a Giana non si vedevano spesso dei turisti.

Ri parve combattuto. Fosse stato per lui, sarebbe rimasto tutto il giorno accanto a Erys per seguire la sua convalescenza. D'altra parte, però...

«Kader.» chiamò sottovoce, prendendosi un attimo per allontanarsi, mentre lei lo seguiva, «Dobbiamo trovare una soluzione e sfruttare ciò che possiamo a nostro vantaggio. Credi di riuscire a visitare Khepri e... trovare una via di fuga sicura?» deglutì. Nessuno lo aveva udito ma l'idea era chiaramente rischiosa.

Kader strabuzzò gli occhi. Se le aveva fatto quella richiesta, significava che Ri si fidava di lei. Più di quanto lei si fidasse di se stessa, senz'altro. Non era sicura di riuscirci, ma era l'unico modo per rendersi utile in quella situazione. Tanto valeva provare, o sarebbero rimasti intrappolati a Khepri per sempre, mentre persone innocenti nel continente continuavano a essere uccise per ordine del dittatore, città venivano rase al suolo. La distruzione praticata in nome del Dio Fenix era una piaga che si diffondeva come una pandemia ogni giorno. Se poteva fare anche solo il minimo per arrestare o rallentare quel terribile male, allora l'avrebbe fatto.

«Ci proverò.» promise allora, non senza una certa paura.

Ri le sorrise e strinse le mani attorno alle sue braccia, colmo di gratitudine. «Confidiamo in te. Io cercherò a mia volta e mi occuperò di Erys. Quando starà meglio, fuggiremo tutti insieme. Magari possiamo corrompere degli Erranti per farci da guida nel deserto...» sperò. Con un sospiro, poi, tornò al letto dove la sua amica riposava e prese a dialogare con l'infermiera, chiedendole che tipo di cure le stessero somministrando. La donna elencò una serie di erbe curative e intrugli, o forse sostanze, di cui Kader sapeva poco o nulla.

La ragazza, intanto, ragionò sul da farsi. Non sapeva da dove iniziare ma, nonostante tutto, pensò che tornare alla cella dove si era risvegliata potesse essere un'idea valida. Il capovillaggio aveva specificato che lei e il resto del suo gruppo potevano scegliere se usare quelle stanze come alloggi o lasciarli. Dato che il piano era di non fermarsi a lungo in città, Kader non si fece problemi a decidere di rimanere lì, all'interno del Sol Marat, in una zona del palazzo comunque poco frequentata.

Aveva bisogno di riordinare i pensieri. In seguito si sarebbe data da fare. Questa volta toccava a lei tirare tutti fuori dai guai. E non aveva intenzione di deludere i suoi amici.

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