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Salii con calma le scale, sentivo la testa pesante e le gambe che cominciavano a cedere a causa della stancante corsa di prima.
"Dove sei?" chiesi ritrovandomi di fronte un corridoio con più porte.
"La prima a sinistra" sentii dire dalla porta più vicina a me.
"Eccomi" dissi entrando nella stanza che si rivelò essere il bagno.
Era appoggiato al lavandino, stava guardando all'interno di una scatola e quando entrai io volse subito i suoi occhi verso di me.
Il suo sguardo sembrava essere malinconico ed in quel momento mi si sbloccò un ricordo: era tutto come la prima volta che parlammo, in bagno, io graffiata e lui che si offrì di medicarmi.
Forse era per quello che aveva l'aria malinconica, o forse era semplicemente stanco.
Mi misi per terra appoggiando l mia schiena al muro e lui si sedette di fianco a me.
Frugò nella scatola che aveva e prese in mano il disinfettante ed il cotone.
"Dimmi se ti faccio male" disse imbevendo il cotone con il liquido e cominciando a picchiettare sulla mia mano.
Restammo in silenzio, lui continuava a disinfettare la mia mano e poi il mio ginocchio ed io tentavo di tenere all'interno il dolore che mi provocava quel contatto.
Prese poi una benda e cominciò a passarla attorno alla mia mano, che era la parte che stava messa peggio.
Continuava a non parlare e non guardarmi, io nel frattempo fissavo i suoi ricci biondi.
Eravamo a poca distanza e percepivo l'odore fruttato del suo shampoo. Ripensai a tutto il tempo passato assieme, agli abbracci, ai momenti di tristezza ed agli altri litigi.
Poi mi vennero in mente le parole di Ryland, il suo consiglio, la determinazione di prima.
"Ho finito" mi disse lui riportandomi alla realtà e sollevando improvvisamente lo sguardo verso di me.
Annuii e non riuscii a dire altro, ero come immobilizzata.
Mi guardò negli occhi, mi scrutò per un attimo e poi si voltò, riponendo la scatola al suo posto.
Mi decisi di punto in bianco di parlargli, non potevo più aspettare e non potevo più esitare.
"Scusami" dissi alzandomi in piedi.
Lui si girò subito confuso verso di me.
"Per?" mi chiese.
"Per quello che ho fatto, per le parole che non sono riuscita a dire, per la paura e l'ansia che mi hanno portata a non chiarire le cose e che soprattutto mi hanno portata a rovinare tutto" dissi continuando a guardarlo negli occhi.
"Ehm, tranquilla, non fa niente" disse distogliendo lo sguardo.
Non fa niente?
Cosa voleva dire non fa niente?
Chiuse lo sportello dove aveva risposto la scatola e fece per uscire dal bagno.
Ero delusa dalle sue parole, speravo sinceramente in qualche parola di più.
Chiusi le nocche con rabbia e la benda cominciò a bruciare attorno alla ferita.
Ogni attimo  che passava la rabbia che avevo in corpo aumentava.
Passarono dei secondi, lui era uscito dal bagno ed io ero lì a non fare niente.
Uscii spedita e seguii i suoi passi, era andato sicuramente in camera sua perché non l'avevo sentito scendere.
Provai con la porta di fianco al bagno, bussai.
"Vieni" sentii dire da dentro.
Entrai e lo trovai spaparanzato sul letto, intento a guardare il telefono.
Si era cambiato, aveva una tuta.
Aveva il viso stanco ma era ancora bellissimo; decisi di fare forza su me stessa e tentai di rimanere normale.
"Puoi prestarmi il telefono per favore?" gli chiesi rimanendo sulla porta.
"Sì certo" disse semplicemente porgendomi il telefono e non mostrando minimamente l'intenzione di alzarsi.
Fui costretta così ad avanzare verso di lui, senza alcuna emozione in particolare.
La delusione aveva preso il sopravvento, la sua noncuranza mi aveva portata a voler andarmene e a pentirmi di avergli parlato.
Presi in mano il telefono e tentai di sbloccarlo, rimasi sorpresa nel momento in cui notai che c'era ancora una foto nostra come blocco schermo.
Mi fermai per un instante a ricordare quel momento, eravamo a casa mia e lui aveva appena smesso di farmi il solletico.
Ero rossa in viso ed entrambi ridevamo.
Sorrisi istintivamente.
"Ti ho preso una tuta come pigiama"mi disse mentre io cercai la rubrica.
"Sto chiamando Caterina, stai tranquillo" dissi sottolineando la parola tranquillo.
Okay forse avevo esagerato, ma la frase di prima era stato nulla di fronte a ciò che gli avevo detto.
"Non serve, puoi rimanere qui" disse sporgendosi per riprendere il telefono.
"Serve invece, non penso sia il caso di rimanere qui con te" dissi forse troppo acida.
"Non ti ho detto di rimanere a dormire con me infatti, ma so per certo che lei si sarà organizzata con Chase quindi non andarla a disturbare" mi rispose freddo.
Usò lo stesso tono di qualche settimana prima, quel tono freddo, distaccato e cattivo.
Le sue parole arrivarono pungenti al mio cuore e fu quello il momento in cui non sostenni Nick per la seconda volta nella serata.
Non potevo però ricominciare a correre e piangere, decisi quindi di reprimere la mia tristezza e aspettare che la nottata passasse, in modo da poter ritornare a casa mia e dimenticare quel brutto incubo.
"Va bene"dissi quasi trattenendo il respiro "Grazie per la tuta, mi metto sul divano, buonanotte" la mia voce era tremolante.
Presi la tuta ed uscii velocemente dalla stanza, dirigendomi verso il bagno e chiudendomici dentro a chiave.
Girai la chive e mi voltai con la schiena alla porta, lasciandomi scivolare per terra.
Portai le gambe al viso e lasciai che le lacrime scendessero dai miei occhi.
Quello non era il Nick che conoscevo, non era il ragazzo tenero e dolce con cui avevo passato momenti bellissimi assieme, non era quello che aveva fatto di tutto pur di non farmi pensare alla mia situazione familiare, non era lui.
Passava il tempo a guardare male i ragazzi che mi stavano attorno, per poi stare con Amelie e venire a soccorrermi.
Mi aveva appena sputato contro parole taglienti, che colpirono il mio cuore crepandone ancora di più i pezzi.
Dicono che la verità ripaghi sempre, nel mio caso non era stato così .

please don't go// Nick AustinWhere stories live. Discover now