Capitolo 2

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*Logan*
Il sole mi stava bruciando la pelle, ma non avrei interrotto quel momento per nulla al mondo. Vicino a me, Jared mandava messaggi alla sua ragazza. Non avevo mai capito l'utilità di avere una ragazza, o almeno ora non lo capivo più. Era solo uno stupido peso, perché legarsi emotivamente a qualcuno che poi ti avrebbe lasciato? Era molto più semplice stare con una ragazza facile, scopartela, e poi ciao ciao. Tu non soffri e lei neppure.
Vidi Jared sorridere come un ebete davanti al cellulare, ecco un altro motivo per non innamorarsi. Finalmente mise in tasca quell'aggeggio infernale e tornò a distendersi sul cofano della macchina.
«Ed anche quest'estate se ne va...» disse malinconico. Sospirai.
«Fratello, almeno torneremo a giocare quotidianamente a basket»
«Sei sempre così ottimista» abbozzai un sorriso e chiusi gli occhi. Io e Jared giocavamo nella squadra di basket della scuola, io ero il capitano e lui il mio braccio destro, eravamo inseparabili, amici da ormai dieci anni. E sono tanti nella vita di un diciassettenne. Jared sapeva tutti i miei segreti e la ragione di tutti i miei comportamenti, era come un angelo custode, e mi tirava sempre fuori dai casini.
Uno spiffero di vento gli smosse la folta chioma castana.
«Amico, devi tagliarti quei capelli» gli dissi con finta disperazione.
«Fratello, ci ho messo mesi per farmeli crescere così, non me li taglierei per nulla al mondo»
«Sembri mia sorella quando dici così»
Jared scoppiò a ridere. Una cosa che amavo ed invidiavo di lui? Non si arrabbiava per nulla al mondo. Lasciava sempre correre, credo di averlo visto arrabbiato veramente solo una volta, anni prima, ed è stato davvero spaventoso, non ci tengo ad assistere ad un altro spettacolo del genere.
Calò un silenzio rilassato e ci godemmo gli ultimi raggi di sole, guardando il panorama di fronte a noi. Los Angeles era davvero stupenda, specialmente vista dall'alto. I grattacieli si disperdevano a vista d'occhio ed il caos della città era completamente annullato dal rumore dei boschi alle nostre spalle.
***
Mi chiusi la porta del palazzo alle spalle «Ciao, Joe» salutai il portiere, che conoscevo da quando ero piccolo.
«Ciao, Logan, com'è andata la giornata?»
«Bene, la tua?»
«Come sempre»
Joe mi fece un sorriso genuino ed io mi incamminai verso la porta del mio appartamento «A domani».
Girai la serratura e feci un profondo respiro, la mano mi tremava leggermente. Tutto era calmo, fin troppo. Lui doveva essersene andato. Ma poi lo sentii, il rumore di un bicchiere che andava in frantumi ed un urlo soffocato. Mi precipitai verso la fonte del rumore e quello che vidi mi gelò il sangue nelle vene. Mia madre era a terra con le mani sopra la testa, rannicchiata in un angolo dell'ampia cucina, il suo stronzo di un compagno incombeva su di lei. Mia sorella non era in casa. Per fortuna.
«Mamma» dissi, calandomi la solita maschera di gelida indifferenza «Che succede?»
Mia madre mi guardò ed i suoi grandi occhi marroni si riempirono di lacrime, notai che aveva un occhio nero e serrai la mascella «Niente, tesoro, vai a cambiarti io intanto preparo la cena» mi disse con voce roca e flebile.
«Non questa volta»
«Logan...»
«NO!»
Praticamente urlai, e ringraziai mentalmente l'architetto del palazzo, che aveva progettato delle stanze insonorizzate. Mi si tesero tutti i muscoli delle braccia e del collo, poi lui si intromise «Vattene ragazzino, non sono cose che ti riguardano» sentii la testa prendere a girarmi furiosamente e, senza pensarci, gli tirai un destro. Iniziò una guerra furibonda, fino a che non riuscii a spingerlo verso la porta «Vattene per sempre, non tornare mai più!» gli urlai e lo spinsi fuori. Cadde a terra, si rialzò e mi fissò negli occhi, gli colava del sangue dalla fronte e dal naso «Giuro che tornerò e distruggerò la tua vita» mi sussurrò guardandomi con furia.
«Ti aspetto» sibilai e gli sbattei la porta in faccia. Appoggiai la schiena alla porta, mi passai una mano sulla faccia e fissai il sangue che vi si trovava sopra, mio e dello stronzo. Strinsi il pugno e mi diressi in cucina. Mia madre era ancora seduta nell'angolo, singhiozzava e si abbracciava le ginocchia con le braccia, la testa fra di esse. I capelli castano scuro le ricadevano lungo le spalle.
Non aveva reagito. Come sempre, d'altronde.

Il tuo pericoloso sorrisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora