Capitolo 36

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*Lajyla*
Aprii lentamente gli occhi e misi a fuoco ciò che avevo intorno. Riconobbi mio padre che mi stava stringendo una mano e che mi sorrideva rassicurante.
Provai a tirarmi a sedere ma un'infermiera mi fece cenno di restare giù.
Che diavolo ci facevo in ospedale? Ospedale... Tutto andò al suo posto.
«Logan?» chiesi allarmata tossendo.
«Sta bene» rispose l'infermiera. «L'abbiamo dimesso una settimana fa».
Sta bene. Sentire quelle parole annullò per un attimo il dolore fisico ed emotivo che provavo.
«Dov'è?» chiesi più tranquilla ma con una punta di ansia nella voce.
«Tesoro, ora non preoccupartene» rispose con un sorriso forzato mio padre.
«Che... che vuol dire che non devo preoccuparmene?» chiesi con voce tremante.
«Bene, salve signorina Vasilyev, come si sente?» chiese un dottore con i capelli brizzolati e gli occhi grigi come quelli di Logan.
«Io... bene» risposi confusa.
«Eccezionale, la dimetteremo fra tre giorni, prima vogliamo fare qualche accertamento. È rimasta in coma per circa undici giorni» concluse uscendo.
«In coma per undici giorni?» chiesi a mio padre con gli occhi sgranati.
«Già» rispose carezzandomi una mano.
Potevo solo immaginare quanto era stato terribile per lui. Nonostante si sforzasse di mantenere un comportamento composto tipico del suo lavoro, i suoi occhi tradivano tutta la preoccupazione e il dolore che aveva provato.
Chissà Logan come stava. Magari non voleva più vedermi perché lo avevo riportato in quella situazione...
Cercavo di nasconderlo, ma ero davvero delusa che non fosse venuto a trovarmi.
«Bene, ho sistemato i macchinari, se vuoi puoi alzarti, anche se molto lentamente, e provare a camminare».
Avevo troppo bisogno di distrarmi, perché sennò sarei impazzita. Perché non c'era Logan? Dov'era? Stava davvero bene? Ce l'aveva con me?
Annuii all'infermiera e riuscii ad alzarmi dopo qualche tentativo.
Sorretta da un lato da mio padre e dall'altro da Mrs Fibel - così c'era scritto sulla sua targhetta - mossi qualche passo nello spazio ristretto della mia stanza.
Piano piano ogni pezzo dell'incidente andava al suo posto.
Tutto stava andando bene, finché non avevo chiesto a Logan di svoltare in una strada dove non passava nessuno, mi sembrava più adatta della strada principale. Lui si era come bloccato, io l'avevo pregato di muoversi, ma qualcosa ci aveva preso in pieno. E ci eravamo risvegliati entrambi in ospedale.
Mi sdrai nuovamente e parlai con mio padre del più e del meno. Ogni volta che toccavo l'argomento Logan restava sul vago e deviava il discorso su qualcos'altro.
Dopo un'ora dovette andarsene per il lavoro, ma per fortuna arrivarono Jared e Lib a strapparmi dai miei pensieri che minacciavano di farmi uscire di testa.
«Ciao Lajyla» mi salutò Lib abbracciandomi. «Mi hai fatto morire di paura».
«Come ti senti?» mi chiese Jared sedendosi sulla sedia lì accanto.
«Ho veramente bisogno di una doccia» constatai toccandomi i capelli.
Risero entrambi, poi calò un silenzio sollevato.
«Insomma... come sta Logan?»
Lib e Jared si scambiarono uno sguardo rapido poi mi fissarono entrambi.
«Bene» rispose infine Jared.
«Okay, mi sono stancata di fingere. Perché non è qui?» mi sentivo sull'orlo di una crisi di nervi.
«Io... non sappiamo dov'è. Non è tornato a casa» rispose preoccupata Lib. «Ho paura che possa aver fatto qualcosa di stupido perché si sentiva in colpa» concluse con la voce incrinata.
«Sono sicuro che sta bene. Devo andare agli allenamenti, sicuro ci sarà, poi ti mando un messaggio» ci rassicurò Jared.
«D'accordo» gli sorrise Lib.
Jared si chinò e mi diede un bacio su una guancia. «Fatti forza» mi sussurrò in un orecchio. «Lui ti ama».
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime che non volevano altro che scorrere e disperdersi a terra.
Jared posò un altro bacio sulla guancia di Lib e lei arrossì lievemente e gli diede un buffetto sulla guancia. Poi se ne andò.
«Cosa succede fra voi?» chiesi con un sopracciglio alzato.
«Jared ha rotto definitivamente con Lacy circa due settimane fa, e abbiamo passato praticamente ogni secondo degli ultimi undici giorni insieme. Abbiamo scoperto di avere un sacco di cose in comune e... siamo amici» disse arrossendo sempre di più.
«Amici? Seriamente Lib? Amici?»
«Amici stretti» ribadì lei scrollando le spalle.
Alzai gli occhi al cielo ma tacqui.
Guardai oltre il vetro la gente che andava e veniva. Qualcuno piangeva, qualcun altro rideva.
Lib mi aggiornò su tutto ciò che era successo da quando avevamo avuto l'incidente. A scuola tutti sapevano cosa era successo.
«Lib, toglimi un dubbio. Quanti in realtà sanno di Caitlyn?»
«Beh, tutti sanno che Caitlyn è morta in un incidente d'auto, ma che c'era anche Logan lo sappiamo solo io, te, Derek e Jared. Ho chiesto io stessa di non parlare anche della presenza di mio fratello, era già distrutto e non volevo che a scuola gli creassero altri problemi. L'hanno compatito per un po', poi l'hanno lasciato in pace» rispose Lib mordicchiandosi distrattamente un'unghia.
«Capisco» riflettei.
«Perché me lo chiedi?»
«Nulla, mi sembra solo strano che nessuno dica mai nulla riguardo alla "colpevolezza" di Logan. Nessuno eccetto Derek, ovviamente».
«Logan mi ha detto che sta cercando di migliorare» disse Lib con un sorriso sarcastico.
«Non succederà mai» risi.
«Oh, lo so» scosse la testa lei.
Dopo un pomeriggio di chiacchiere e pettegolezzi Mrs Fibel venne a comunicarci che l'orario delle visite era finito, mi portò la cena che non toccai e mi lasciò di nuovo sola coi miei pensieri.

*Logan*
Continuai a camminare senza una meta precisa. Vagavo lungo le strade della Downtown, pensando a ciò che avevo fatto pochi minuti prima.
Avevo davvero lasciato Lajyla?
Lo facevo per lei.
Salii su un autobus senza pensare e mi sedetti in fondo. Per fortuna non passò il controllore.
Appoggiai la testa al finestrino e feci dei lunghi respiri regolari, nella remota speranza di ordinare il casino che avevo nel cranio.
Tutto ciò in cui avevo confidato negli ultimi mesi lo avevo lasciato andare. Lajyla si meritava qualcuno migliore di me, senza casini, che potesse darle un futuro migliore e concreto, e non una vita completamente casuale. Aveva bisogno di certezze, ed io non ero in grado di dargliele.
Mi ripetei che era la cosa giusta da fare finché l'autobus non raggiunse l'ultima fermata.
Lentamente mi alzai e scesi, ritrovandomi di fronte alla spiaggia magnifica di Venice Beach. Ci voleva un'ora con l'autobus, e non potevo credere che fosse passato tutto quel tempo.
Girovagai un po' nel quartiere, comprai una granita e mi diressi verso la spiaggia.
Tolsi le scarpe da ginnastica ed iniziai a passeggiare sul lungomare.
Era incredibile il modo in cui riuscivo a sentire tutto. Il ghiaccio della granita che mi congelava i denti, il sole battente che mi rifletteva sulla pelle, la sabbia fra le dita che mi faceva il solletico, le onde dell'oceano che si infrangevano sulla spiaggia...
Ma ero turbato. Sopraffatto dalla malinconia, dal senso di colpa.
Quando i piedi mi fecero talmente male da non riuscire a camminare, mi sedetti sulla spiaggia.
Osservai il sole che calava sull'acqua che lo inghiottiva, fino a lasciarne appena uno spiraglio visibile.
Le mille sfumature che si riflettevano sull'acqua mi rincuoravano un po', facendomi sentire meno solo.
Avevo saltato gli allenamenti, ma non mi importava. Tanto il coach non mi avrebbe fatto giocare lo stesso.
Quando il sole tramontò definitivamente salii sul primo autobus diretto verso la Downtown - questa volta con il biglietto - e mi diressi verso casa sentendomi un po' meglio rispetto a quando ero arrivato.

*Lajyla*
I tre giorni erano passati e finalmente ero tornata a casa.
Logan non era mai venuto a farmi visita. Avevo aspettato tutti i giorni fissando fuori dal vetro. Mio padre non sapeva più cosa fare, non facevo altro che chiedergli di Logan. E lui non rispondeva.
Appena ero entrata nel palazzo avevo sentito il forte impulso di andare a casa di Logan e chiedergli che diavolo aveva, poi però avevo salito le scale e me ne ero andata nel mio appartamento. Forse perché volevo che fosse lui a fare il primo passo.
Mi rannicchiai fra le coperte ed abbracciai il cuscino, fissando fuori dalla portafinestra l'ormai familiare sfilza di palazzi della Downtown.
«Tesoro, come ti senti?» chiese entrando mio padre.
Era in giacca e cravatta, ancora slacciata, e i capelli biondi erano bagnati e tirati indietro.
«Mh» risposi affondando la testa nel cuscino.
Con la coda dell'occhio vidi mio padre contrarre la mascella e stringere i pugni. «Vedrai che verrà».
«Non ci credi nemmeno tu» dissi sarcastica.
«Senti, Lajyla, ormai credo che tu lo sappia meglio di me: quando c'è una difficoltà Logan tende a... sparire per un po'. Dagli tempo» disse.
«Mi sono stancata di dargli tempo! Tutti che mi dite la stessa cosa! Ma nessuno ci pensa a me?! Sono russa, mia madre tradiva mio padre, lui lo ha scoperto, mia madre mi ha buttato fuori di casa e mi sono dovuta trasferire a Los Angeles, in America! Da Mosca a Los Angeles, cazzo! Ho lasciato tutta la mia vita, anch'io ho bisogno di tempo, di certezze, di realtà!» urlai fino a rimanere senza fiato.
«Mi dispiace Lajyla, ma a volte la vita ci mette di fronte a delle scelte che non ci piace fare» mi rispose cupo. «Devo andare al lavoro, ci vediamo dopo» e se ne andò.
Sbuffai e provai a riaddormentarmi, ma il suonare insistente del campanello mi costrinse ad alzarmi.
«Che palle» borbottai scendendo le scale.
Guardai le mie gambe nude e corsi a mettermi un paio di pantaloni. L'ultima volta che avevo aperto la porta in mutande c'era Derek che mi diceva di stare alla larga da Logan. Scossi la testa con un sorriso amaro: avrei fatto bene a dargli retta.
Aprii la porta e rimasi sgomenta.
«Ciao Lajyla» disse Logan evitando il mio sguardo.
«Ah» riuscii a rispondere solamente.
«Io...» iniziò, ma lo interruppi.
«Perché non sei mai venuto a trovarmi?» chiesi mordendomi un labbro per non piangere.
«Io ci sono venuto» la sua voce era roca, continuava a evitare il mio sguardo. «Sempre, ogni giorno da quando mi hanno dimesso. C'ero anche il giorno in cui ti sei svegliata, ma ho semplicemente capito che non ti meritavo, e me ne sono andato» concluse sempre con gli occhi bassi.
«E questo che significa, scusa?» chiesi mentre una lacrima sfuggiva al mio controllo, e un'altra, e un'altra ancora...
«Io non sono la persona adatta a te, non sono ciò di cui hai bisogno» rispose deglutendo notevolmente.
«Che cazzo dici, Logan?!» urlai iniziando a singhiozzare. «Non puoi farmi questo! Ho messo tutto in gioco per te! Me stessa, il mio cuore, tutto!» crollai appoggiando la schiena allo stipite della porta, continuando a singhiozzare senza ritegno.
«Mi dispiace, io non posso proteggerti» sussurrò Logan.
«Non pensi nemmeno una parola di quello che stai dicendo! La tua voce ti tradisce, Logan!» dissi in un sussurro urlato.
«Addio, Lajyla».
Si girò e se ne andò, lasciandomi lì a piangere assieme al mio cuore spezzato.

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