Chapter 55

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*Louis' POV*

Era da circa quattro giorni che Harry mancava a scuola. Ricordo di essere passato sotto casa sua, la prima mattina, pronto a ritirarlo dalle braccia di sua madre, per portarle nelle ancor più sicure mie. Più volte ho scorto questo pensiero girovagarmi libero nella mente; e ogni volta, puntuale come un orologio svizzero, sentivo le vocine alternarsi per insultarmi, a turno, ricordandomi quanto fosse sudicio e megalomane il mio modo di pensare.

Continuavo a pensare a quella volta, quando Harry era sparito per giorni senza lasciare alcuna traccia dietro di sé. Alla chiamata che era giunta al telefono del mio migliore amico il primo giorno dell'anno, e quella folle corsa che avevo compiuto per arrivare in aeroporto, risoluto a portarlo indietro, con me, dove sapevo fosse giusto che lui si trovasse; o, quantomeno, lontano da Nick.

Avevo trascorso giorni inondati dalla depressione, e poi notti insonni, durante le quali mi ritrovavo senza sapere il perché con gli occhi lucidi, stringendomi poi spasmodicamente il cuscino sul quale avrei dovuto poggiare il capo al petto, cercando conforto; pensando che fosse lui, e in tal semplice modo l'ansia sembrava defluire dal mio corpo, lasciandomi così modo di riposare, anche se talvolta si trattava semplicemente di un paio d'ore.

Era poi stata mia madre, stanca di vedermi in preda ad un tremendo, pauroso stato comatoso, a consigliarmi di chiamarlo. E quando avevo seguito il suo consiglio, le mani tremanti e il battito cardiaco accelerato all'impazzata, ero stato davvero colto da un brivido di vivida speranza: specialmente quando sentii un rumore di stacco telefonico dall'altro lato della linea, che si rivelò poi essere il preludio dello spettacolo messo in atto dalla voce elettronica della segreteria telefonica.

Questo successe almeno un centinaio di volte. Ero seriamente ossessionato, come mi fece notare Daisy, dotata di un notevole acume per una bambina della sua età; del tutto divorato dalla paura che Harry potesse essersene andato un'altra volta, lasciandomi così solo.

"Non finirà così, non questa volta" ricordo di aver eroicamente pensato mentre, colto da un lampo di fugace coraggio misto ad una quantità indecifrabile di frustrazione avevo sollevato la cornetta del telefono fisso di casa, digitando poi in fretta il numero di casa di Anne.

Al terzo squillo, la donna aveva risposto, il respiro corto come se la avessi costretta a compiere una brutale corsa per le scale perché lei potesse raggiungermi in tempo.

"Pronto?" mi aveva chiesto lei, respirando pesantemente.

"Anne? Sono Louis. Stai- va tutto bene?" le avevo domandato, la voce venata da una sottile traccia di preoccupato dubbio.

"Oh, Louis" aveva detto lei, e la sua voce si era tutto d'un tratto ravvivata. "Sì, sto bene, grazie. Stavo rientrando in casa quando ho sentito il telefono suonare, così ho compiuto tutto in fretta-". Si era interrotta, inspirando poi una grossa, pulita quantità d'aria. "Non penso di avere più l'età per fare certe cose" aveva concluso infine, ed entrambi ci eravamo messi a ridacchiare, divertiti.

"Uhm, Anne, potrei parlare con Harry? Ho provato a chiamarlo, ma non so per qual motivo non mi risponda. Forse-"

"È malato, Louis" aveva detto lei con tono così greve che per un attimo mi ritrovai a temere il peggio, il cuore collassato nel petto. "Credo abbia preso una brutta influenza" conclude poi, ridonandomi sufficiente forza perché io possa tornare a controllare il mio stesso respiro.

"Oh, capisco" ho detto, notevolmente e sensibilmente sollevato. "Nel caso che- sì, insomma, nel caso si sentisse meglio, puoi dirgli che lo ho cercato? E che mi- okay, quello non importa" mi sono affrettato ad aggiungere, rosso in viso, ringraziando Dio perché lei non potesse vedermi, ridacchiando imbarazzato.

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