Chapter 42

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{Dedico questo capitolo alle vittime dell'attentato avvenuto oggi in Francia, ai loro parenti, alla Francia stessa, e alla collettività generale. Un abbraccio grande anche a chi non c'è più}

*Louis' POV*

Salutare Lou e Lux, le mie due temerarie, allegre compagne di viaggio, è stata forse la cosa più difficile; motivo per il quale non tenterò di rievocare nemmeno un quarto di quei struggenti, toccanti momenti.

Niente stronzate del tipo "mi mancherai New York", niente sensazione che avrei rimpianto quegli squallidi ed enormi grattacieli nei giorni a venire; non mi sarebbe mancata la sua aria intossicata dai prodotti tossici scartati dai tubi di scarico delle macchine. Non mi sarebbe mancato nulla della Grande Mela, ma quelle due piccole e coraggiose donne, loro sì che mi sarebbero mancate.

Sono seduto in aeroporto, ora come ora; la dirigenza è stata così accorta da concedermi di accomodarmi in un salottino privato. "Qui hanno sostato persone come il defunto presidente Kennedy" mi illustra l'impiegata prima di uscire, lasciandomi solo, sgambettando fiera sopra i suoi tacchi alti.

Non posso fare a meno di chiedermi se questo aeroporto sia davvero così antico come la donna da poco scomparsa dietro l'angolo dipinto di un abbagliante blu oltreoceano ha appena cercato di farmi credere. Sospiro, abbandonandomi con tutto il peso del mio corpo contro una delle due poltrone in pelle nera, pensando che questo strano arredamento così sofisticato non fa altro che ricordarmi quello di Nick.

Stringo i pugni e serro gli occhi in due piccole fesso al ricordo di quell'uomo così pieno di charme. "Ed anche pieno di sé" penso, sorridendo al ricordo del suo volto distrutto mentre la consapevolezza che Harry gli era letteralmente scivolato fra le dita prendeva possesso del suo centro del pensiero.

Riesco a rilassare i miei muscoli, domando contro natura il mio stesso istinto, solo quando scorgo Harry camminare verso di me, il volto incrinato in un'espressione imbronciata. "Sta ancora parlando al telefono" constato un secondo prima che la sua mano stretta attorno al piccolo apparecchio elettronico si stacchi dal suo orecchio per poi posarglisi sul fianco.

Entra nella piccola stanza dentro la quale so che i suoi soldi mi hanno gentilmente consentito di accomodarmi. Sospira, e distrattamente si passa una mano fra i capelli, scrollandoli in ogni direzione, lasciandoli poi così ricadere sul suo viso in maniera confusa. Lo osservo, rapito, pensando che no- non è possibile.

Sto per decantargli quanto sia bello, e quanto il mio cuore batta per lui, proprio come farebbe una qualunque ragazzina di fronte al poster a grandezza naturale del suo vero ed unico idolo, quando un tonfo sordo causato dal corpo di Harry lasciatosi a cadere flaccidamente sulla seconda poltrona.

"Allora? Che ti ha detto tuo padre?" domando mettendomi a sedere più compostamente, il corpo quasi del tutto ruotato nella sua direzione. La sua mascella si contrae, e il suo pomo d'Adamo compie un rapido movimento che va dall'alto al basso prima di tornare a stabilizzarsi.

"Ha detto che il jet ha presentato qualche problema, e che dovremmo aspettare". Rabbrividisco mentre guardo i suoi occhi farsi grandi, quasi colmi di terrore. Sento una vena d'ansia attraversarmi le ossa, e non posso fare a meno di chiedermi cosa sia andato storto.

"Quanto dovremmo aspettare?" domando, temendo il peggio. Mi ritrovo a pregare meccanicamente Dio o chiunque si trovi Là in alto a farne le veci, affinché la permanenza in questa dannata cittadina non si riveli dover necessariamente durare più di una settimana.

"Qualche ora" commenta Harry, guardandomi contrito. Già questa prima affermazione rivoltami da parte sua mi consente di tornare a respirare, lasciando così che il mio petto possa sollevarsi ed abbassarsi ritmicamente, senza che il mio cuore sembri manifestare una corroborante e (almeno da parte mia) corroborante voglia di mettersi a battere all'impazzata, come se dentro al mio corpo si stesse svolgendo una qualche gara ad alta velocità di rilevanza mondiale.

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