Chapter 30

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*Louis' POV*

Sento urla provenire dal piano di sotto. Grida isteriche, quasi disumane. Poi, lo scoppio di una grassa, fragorosa risata. E a seguire, come ciliegina sulla torta, ecco un pianto disperato. "Questa è davvero una casa di matti" penso sollevando piano le palpebre, lasciando ai miei occhi il tempo di abituarsi all'intensa luce solare.

Per un po' resto nel letto, la testa poggiata sul cuscino, le mani congiunte sotto la testa. Inspiro profondamente mentre allungo il mio corpo, stiracchiando così la colonna vertebrale. Ieri sera mi sono addormentato sulla macchina di Harry, o almeno questo è quello che mi sembra di ricordare.

"Aspetta" penso, tirandomi di scatto a sedere. "Ma se il mio ultimo ricordo è di quando ero insieme a lui, allora-"

La porta di camera mia si spalanca, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Mia madre fa capolino, lunghe ciocche di capelli avvolte attorno ai bigodini, tenuti fermi da una retina verdastra. "Buongiorno" dice mia madre spalancando le braccia, e per un istante temo di essere finito sul set di un qualche musical casalingo.

"Vuoi qualcosa per pranzo?" domanda lei, avvicinandosi al mio letto e facendomi segno di spostarmi di qualche centimetro, giusto quel tanto perché lei possa sedersi al mio fianco.

"Pranzo?" penso ad alta voce, corrugando la fronte, spiazzato. Mi sono appena alzato, e tutto ciò che mi sarei potuto aspettare di sentirmi chiedere era cosa volessi per colazione; non per pranzo.

Mia mamma si mette a ridacchiare, divertita, una mano portata davanti alla bocca come fanno le ragazzine quando passano di fianco al ragazzo che gli piace. "Sono le due del pomeriggio, Louis; ho pensato fosse troppo tardi per proporti un qualche tipo di colazione" ribatte lei mentre i miei occhi si sgranano.

Incapace di proferir parola mi limito ad osservarla, quasi sconvolto. Non so da cosa derivi di preciso cotanto shock, eppure lo sento vivido scorrermi nel sangue. Lei ridacchia, nuovamente, prima di scuotere la testa, cercando di darsi un contegno.

"Stamattina sei rientrato tardi" spiega lei, pratica. "Ho pensato di lasciarti dormire, sai. Daisy voleva svegliarti, e mi sono trovata costretta a metterla in castigo per evitare che lo facesse. Altrimenti, caro mio" dice premendo il suo dito indice sul mio petto. "Le tue ore di sonno sarebbero state quattro; e non undici" conclude, scandendo bene la parola corrispondente al numero a due cifre.

Per un attimo il suo sguardo mi appare severo, e temo che possa essere sul punto di iniziare a farmi la predica; una delle sue solite, noiosissime ramanzine. "Ho dimenticato di chiudere la porta quando sono rientrato, non è così?". Nervosamente prendo a rosicchiarmi le unghie. Un'abitudine che, penso, non mi abbandonerà mai.

Lei fa del suo meglio per non scoppiare (di nuovo) a ridere. Scuote la testa, gli occhi chiusi a dare maggiore enfasi, prima di riaprirli di scatto, piantandoli nei miei. "È stato Harry a riportarti a casa, Louis. Mi ha confessato di non aver trovato il coraggio di svegliarti, così ti ha preso in braccio e come un sacco di patate ti ha portato qui. È stato lui" continua poi mia mamma, un sorriso rabbonito cucito sulle labbra. "È stato lui a rimboccarti le coperte, ieri notte; ed è sempre stato lui a chiudere la porta"

Il rossore non tarda ad arrivare, ma invece di dilagare tutto d'un colpo, come è suo solito fare, dilaga con lentezza estenuante, rendendolo ancor più visibile agli osservatori esterni. Abbasso lo sguardo, mordicchiandomi il labbro inferiore, evitando gli occhi vigili di mia madre.

"Louis, avete litigato, per caso, ieri sera?". La sua domanda arriva in seguito ad una lunga boccata d'aria, e quando mi giro nella sua direzione, la scopro intenta a giocherellare con le sue stesse mani, nervosa. Non ha specificato chi fosse il secondo soggetto appartenente a quel "voi" appena pronunciato, ma d'altra parte non ci sarebbe nemmeno stato bisogno di farlo.

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