Chapter 5

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*Harry's POV*

Penso di aver corso giù dalle scale, più che camminato; al settimo od ottavo gradino ho sentito il mio cuore fare come un tuffo, e per un attimo ho temuto stesse per prendermi un altro attacco. Ho avuto paura, ancor più di quella provata stanotte durante l'incubo. Non volevo che Louis mi vedesse cadere al suolo, stremato, il battito cardiaco a briglia sciolta. Non volevo, e non voglio nemmeno ora; penso che finché non glielo dirò mai, a meno finché mi sarà possibile nasconderglielo.

Temo che se glielo dicessi si rifiuterebbe di vedermi. Forse dopo questa giornata passata insieme non ci vedremo più comunque, ma un barlume di speranza si è acceso nella mia testa e non sembra avere intenzione di lasciarmi andare. Non che io mi vergogni di questo mio difetto fisico: ho solo paura che se lo venisse a sapere mi scarterebbe come si potrebbe fare con un pallone da calcio dopo essere stato bucato.

Nessuno in questo mondo vorrebbe mai avere al suo fianco una persona difettosa, una persona in grado di esplodere nell'aria da un momento all'altro, senza lasciare dietro di sé alcuna traccia se non le cicatrici sui corpi dei feriti.

Quando ho aperto il portone d'ingresso Louis mi è scivolato di fianco, ed io non ho avuto nemmeno il tempo di accorgermene. In fretta e furia ho estratto le chiavi dalla tasca posteriore dei pantaloni, ma le mani mi hanno tradito e si sono messe a tremare, lasciandosi sfuggire il mazzo metallico dalle dita. È stato lui a raccoglierle prima che avessi il tempo di capire cosa stesse succedendo.

"Attento" mi ha detto ridacchiando, ed io penso di essere arrossito fino alla radice dei capelli. Ho mormorato un grazie veloce, accompagnandolo ad un sorrisetto intimidito, sperando di non essergli apparso maleducato, o rozzo, o qualsiasi aggettivo brutto possa essere accostato al mio nome in questo mondo.

Ho capito subito quale fosse la sua macchina, e non solo per il fatto che fosse l'unica presente sul vialetto di casa mia, ma anche perché quello era esattamente il tipo di macchina che mi sarei aspettato essere in suo possesso: nera, dalla linea pulita e allungata, datata, tirata a lucido. Una macchina a metà fra il vecchio e il moderno, a metà fra il trasandato e il lussuoso.

"È davvero così che descriveresti quel damerino in una poesia?" ha detto una voce sprezzante nella mia testa, e non so se a darmi più fastidio sia stato il termine damerino, o il fatto che stesse cercando di denigrare la mia passione per la poesia.

Ho comunque scelto di ignorare l'essere risiedente nei miei pensieri, avvicinandomi a Louis e aprendo la portiera del sedile di fianco a quello del guidatore. Lui era già all'interno, la cintura allacciata e le chiavi inserite nella serratura d'accensione.

"Allora" ha detto poi, facendo manovra, per poi dirigersi a velocità moderata fino al ciglio della strada asfaltata. "Dove vorresti andare?"

"Forse non ha capito che di questa maledetta cittadina non conosco nemmeno la strada di casa mia?" ho pensato, ma poi ho accantonato l'idea, perché andiamo, chiunque avrebbe capito che sono nuovo dopo essere entrato in camera mia e avermi trovato a rovistare in una valigia.

"Uhm, in realtà non saprei. Mi sono appena trasferito, per cui-"

"Questo lo so, mia madre me lo ha detto. Intendo, quali tipi di posti preferiresti visitare al momento?". La sua interruzione non è stata brusca, ma del tutto morbida, naturale, come se fosse scritto da qualche parte che quella mia frase lasciata a metà fosse destinata a non finire per essere surclassata dal suono della sua voce.

"Oh". Iniziai a giocare nervosamente con i capelli attaccati alla base del collo, arrotolandoli attorno al dito indice per poi lasciarli andare sotto la forma di boccoli tempestati.

Mentalmente ho passato in rassegna quei generi di luoghi nei quali normalmente mi sarei recato se fossi stato a casa, la mia vera casa, a New York, e l'unica conclusione che sono riuscito a trarre è che tali luoghi incantati fossero Central Park, o la sede del New York Times; oppure Starbucks.

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