21. Incontri inaspettati

219 30 38
                                    

Ileana stamattina è stranamente silenziosa. Ha buona parte del viso nascosto sotto gli occhiali da sole, e penso sia molto stanca. Ieri sera è tornata più tardi dal lavoro e stamattina, nonostante io le abbia proposto più volte di restare a casa, ha insistito comunque per uscire. Mi ha portata in una vecchia fabbrica dismessa trasformata in un museo a cielo aperto e io, a differenza sua, non riesco a smettere di sorridere.

«Passo a poche centinaia di metri da qui tutti i giorni per andare a lavoro e non sapevo dell'esistenza di questo posto. Non riesco a crederci!»

«Aspetta di vedere dentro. Ci sono artisti e artigiani di ogni tipo.»

«È bellissimo», le dico, riempiendomi gli occhi dei colorati murales che adornano le facciate degli edifici intorno a noi. «Grazie per avermi portata qui.»

La mano di Ileana crea uno stretto intrico con la mia. «È un gesto insignificante, solo per vederti felice.»

Assecondo la stretta e cammino, un po' rigida, con le dita intrecciate alle sue. Non mi crea disagio farlo, ma l'avversione nei confronti di Felipe, gli sguardi criptici che mi lancia, la continua ricerca di un contatto fisico tra noi cominciano a farmi sospettare che...

No, calma, calma.

So che le piacciono le donne e mi sto lasciando influenzare da un pregiudizio. Se non l'avessi saputo, non avrei trovato ambiguo camminare mano nella mano con un'amica. Pensavo di essere più aperta, invece sono ricaduta nel vortice degli stereotipi come una stupida e me ne vergogno. Ora che ci penso, l'avversione che prova si estende a tutto il genere maschile. Odia Ivo almeno quanto Felipe, forse anche di più. Ed è affettuosa con Viviane così come lo è con me.

Sì, sto fraintendendo tutto, senza dubbio.

Mi lascio guidare verso il primo padiglione e, quando lei spalanca la porta, l'odore di carta stampata mi fa intuire subito che ci troviamo in una libreria. Scaffali colmi di tomi si susseguono a perdita d'occhio lungo tutte le pareti della stanza, e due lunghe scalinate conducono a un secondo piano soppalcato e aperto alla vista. Ileana molla la mia mano e si dirige alla parete di fronte, come se già sapesse dove trovare ciò che sta cercando. Io ammiro a bocca aperta i tavoli tutti diversi e coloratissimi sparsi per la sala, sui quali troneggia, sospesa in aria, una scultura raffigurante una persona che guida una bicicletta volante. Sul soppalco si intravede il laboratorio dell'artista, e salgo le scale per raggiungerlo. Lui (o lei) non c'è, ma io mi perdo tra le opere lasciate incomplete sui tavoli da lavoro, tra vecchi ferri arrugginiti, legno tarlato e odore di vernice fresca che impregna l'aria. La voglia di creare si è sempre manifestata in me con la stessa sensazione della fame fisica, e ora mi sento affamata. Ho bisogno di sentire la ruvidezza di un foglio tra le dita e il rumore della matita che vi gratta sopra per appagare questo appetito. Cedo alla tentazione di farlo qui, adesso; mi metto seduta sui gradini, tiro fuori quaderno e matita dallo zaino e perdo la cognizione del tempo.

«Ah, a volte ritrai anche me, allora.»

Ileana regge una busta colma di libri nell'incavo del gomito. Ha tirato gli occhiali sulla testa e sul viso struccato ha un'espressione compiaciuta e stupita. Mi alzo in piedi e le mostro il quaderno. «È solo uno schizzo, lo completerò con l'acquerello. Ti piace?»

I suoi occhi azzurri percorrono il foglio senza sosta. L'ho immortalata nell'atto di sfilare un libro da uno scaffale troppo alto, con il braccio teso e il corpo slanciato ad assecondarne il movimento. «È stupendo. Posso tenerlo?»

«Quando l'avrò finito, certo.»

Lei squittisce qualcosa in una lingua che non conosco e mi spinge fuori dal padiglione. Ha finalmente ritrovato il solito brio perché non smette più di parlare. Mi porta a fare compere nei suoi stand di fiducia per i vestiti di seconda mano e mi fa scoprire un padiglione zeppo di piccoli banchetti di artigiani che, ben presto, diventa il mio preferito. Uno stand in particolare richiama la mia attenzione per lo spirito minimal. Mi avvicino al tavolo, ingombro di vecchie scatole di scarpe griffate, ognuna delle quali custodisce disegni e stampe con stili diversi. Alcuni disegni molto intricati, fatti interamente a penna, sembrano davvero familiari. Li osservo più da vicino e un freddo rivolo di sorpresa attraversa la mia spina dorsale quando riconosco la firma dell'artista nell'angolo del foglio. Al pari di un fantasma che arriva da una vita passata, il ragazzo riccioluto chino sul foglio dietro al banchetto alza la testa: si tratta di Tiago, uno dei miei compagni di corso all'università. Vorrei agguantare il braccio di Ileana e fuggire a gambe levate, ma Tiago alza la testa e i suoi occhi si posano su di me.

L'ancoraWhere stories live. Discover now