36. Un weekend anormale

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[Disclaimer: Il capitolo è molto lungo per gli standard di questa storia, per cui sarà diviso in due parti.]


⚓︎ PARTE I ⚓︎


Nella sala d'attesa della dottoressa Neves è tutto troppo in ordine, al contrario dei pensieri caotici che albergano nella mia testa. La segretaria sorride dall'altro capo della stanza, e io ricambio, smettendo per un attimo di tormentare il labbro inferiore tra i denti. Nei giorni scorsi ho sentito così forte il bisogno di parlare con la mia psicologa che mai avrei pensato di essere tanto nervosa una volta arrivata al dunque. La porta dell'ufficio si apre, e la Neves fa capolino nella stanza; oggi indossa un tubino blu scuro che sta d'incanto con il suo incarnato. Le labbra piene, colorate da un rossetto ciliegia, si distendono in un sorriso sincero. «Âmbar, bom dia5. Entra.»

«Bom dia*, dottoressa Neves». Oltrepasso la porta dell'ufficio e prendo posto sulla poltroncina di fronte alla scrivania. D'istinto percorro con lo sguardo la superficie del tavolo bianco, ed è strano trovarla priva dell'ingombrante presenza del registratore.

«Da oggi saremo di nuovo solo noi due. Nessun orecchio indiscreto, nessuna paura di dire cose giuste o sbagliate», dice, prendendo posto di fronte a me.

Devo dire che l'inquietante capacità che ha di leggere i pensieri non mi è mancata. «Era ora.»

«Sono stati giorni intensi, questi.»

Sbuffo, volgendo gli occhi al cielo. «Intensi è dire poco, dottoressa.»

«Come ti senti?»

«Sopraffatta», replico con schiettezza. «Ho provato troppe emozioni, concentrate in un lasso di tempo troppo breve.»

La Neves apre il quaderno e scrive un breve appunto. «In questi casi dare un senso a quello che provi è la chiave, Âmbar. E direi di iniziare dalla cosa che ti interessa più da vicino: l'udienza. Sono molto contenta di come sono andate le cose. Tu?»

«Sì e no.»

Lei intercetta di nuovo l'andamento dei miei pensieri e chiede: «Come va con tua sorella? Le hai scritto come ti ho suggerito?»

«Un messaggio la mattina e uno la sera tutti i giorni, ma lei non ha ancora risposto.»

La dottoressa aggrotta le sopracciglia e picchietta l'estremità della penna sul tavolo. «Pensi che abbia letto quei messaggi?»

«Credo di sì. O, almeno, spero», rispondo, pensando alle spunte blu che compaiono nella chat quasi all'istante ogni volta che premo il tasto invio.

«Dovrai usare pazienza e costanza con lei. A prescindere da quello che i tuoi genitori le hanno raccontato, tu sei andata via senza darle spiegazioni, in un periodo che per lei stessa è stato di grande cambiamento. Nessuno può biasimarti per averlo fatto, bada bene, ma penso che anche tu ti sentiresti confusa e ferita al posto suo.»

Mi prendo del tempo per replicare. Ho la mascella serrata e le guance in fiamme, come se le verità che lei mi ha messo sotto al naso mi avessero presa a schiaffi. «Sarebbe tutto più semplice se con lei non ci fosse mia madre.»

Lei si aggiusta un ciuffo biondo dietro l'orecchio e osserva, in tono più accomodante: «Sai che hai fatto la scelta migliore per Violeta. E lei capirà, ha solo bisogno di comprendere i tuoi motivi, hum?» La donna sorride, incoraggiante. «In ogni caso, spero tu abbia realizzato che puoi considerare chiuso questo capitolo della tua vita. Ora hai la possibilità di ricominciare senza preoccupazioni o vincoli, a meno che non sia tu a volerli». Mi lancia un'occhiata piuttosto intensa su questa frase, ma poi continua: «Sei una donna indipendente, vivi in una nuova città, hai un lavoro promettente. E, a tal proposito, ti eri detta dubbiosa rispetto alla proposta di Tiago l'ultima volta che ci siamo viste. Cosa ti ha fatto cambiare idea?»

L'ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora